CORTE di CASSAZIONE – Ordinanza n. 36478 depositata il 29 dicembre 2023
Tributi – Rimborso IRAP – Carenza di autonoma organizzazione – Valore dei beni strumentali in rapporto all’interezza del fatturato – Decadenza dal diritto di rimborso – Accoglimento
Rilevato
Il contribuente svolge attività di intermediario di commercio e, sull’assunto di non avere autonoma organizzazione, richiedeva il rimborso dell’IRAP versata per gli anni 2009-2013, impugnando il silenzio rifiuto e trovando apprezzamento delle proprie ragioni presso il giudice di prossimità. Donde l’Ufficio appellava, sollevando la decadenza, almeno per l’anno 2009, atteso che la domanda era stata spedita il 20 dicembre 2013, quindi oltre il quarantotto mesi dalla data del versamento, affermando il contribuente non aver dato la prova -che su di esso grava – della mancanza di autonoma organizzazione, anche in considerazione dei beni elevati da lui usati e delle spese sostenute per i servizi necessari alla sua attività, inoltre rilevava che erano state richieste a rimborso somme già portate a compensazione. Il collegio di secondo grave accoglieva parzialmente l’appello, ritenendo non dovute le somme già portate a compensazione, mentre per il resto riteneva insussistente l’autonoma organizzazione.
Spicca ricorso per cassazione l’Avvocatura generale dello Stato, articolato su due motivi, cui replica la parte contribuente, spiegando tempestivo controricorso.
Considerato
Vengono proposti due motivi di ricorso.
Con il primo motivo si solleva censura ex art. 360 c.p.c., n. 3 per violazione D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38 nonché del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57 codice del processo tributario (c.p.t.), laddove sia stata ritenuta inibita in appello l’eccezione ivi sollevata per la prima volta circa la decadenza dal diritto di rimborso, perché avanzata oltre i quarantotto mesi dal versamento effettivo. Afferma il patrono erariale trattarsi di eccezione rilevabile d’ufficio, quindi proponibile anche in secondo grado. Al proposito questa Corte, con risalenti pronunce, era intervenuta affermando che in materia tributaria, la decadenza dell’amministrazione finanziaria dall’esercizio di un potere nei confronti del contribuente, in quanto stabilita in favore e nell’interesse esclusivo del contribuente, in materia di diritti da questo disponibili, non può essere rilevata d’ufficio dal giudice, ma deve essere dedotta dal contribuente in sede giudiziale, mentre la decadenza del contribuente dall’esercizio di un potere nei confronti dell’amministrazione finanziaria, in quanto stabilita in favore di quest’ultima ed attinente a situazioni da questa non disponibili – perché disciplinata da un regime legale non derogabile, rinunciabile o modificabile dalle parti -, è rilevabile anche d’ufficio. Ne consegue sul piano processuale, alla luce del d. lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 57, comma 2, e dell’art. 345, comma 2, c.p.c., l’inammissibilità della deduzione, effettuata per la prima volta in appello, della violazione di un termine di decadenza sostanziale stabilito in favore del contribuente, e, per converso, la deducibilità per la prima volta in appello della decadenza stabilita dalla legge fiscale in favore dell’amministrazione finanziaria, come nel caso di decadenza del contribuente dal diritto al rimborso per non aver presentato la relativa istanza nel termine previsto dal D.P.R. n. 29 settembre 1973, n. 602, art. 38 salvo che sul punto si sia già formato un giudicato interno. (cfr. Cass. V, n. 11521/2004).
Più recentemente è stato affermato che in tema di contenzioso tributario, il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, comma 2, preclude in appello esclusivamente le nuove eccezioni “in senso tecnico” dalle quali, cioè, deriva un mutamento degli elementi materiali del fatto costitutivo della pretesa ed il conseguente ampliamento del “thema decidendum”; conseguentemente, l’Amministrazione finanziaria può difendersi dall’impugnazione, da parte del contribuente, del silenzio-rifiuto su un’istanza di rimborso d’imposta eccependo, anche in appello, il mancato versamento degli importi richiesti o la loro utilizzazione in compensazione, poiché il rilievo integra una mera difesa o un’eccezione “in senso improprio”, ammissibile in quanto mera contestazione delle censure avanzate col ricorso, non introduttiva di nuovi elementi d’indagine (cfr. Cass. T. n. 11284/2023).
Peraltro, il termine di decadenza per la presentazione dell’istanza di rimborso delle imposte sui redditi in caso di versamenti diretti, previsto dal D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38 (il quale concerne tutte le ipotesi di contestazione riguardanti i detti versamenti), decorre, nella ipotesi di effettuazione di versamenti in acconto, dal versamento del saldo solo nel caso in cui il relativo diritto derivi da un’eccedenza degli importi anticipatamente corrisposti rispetto all’ammontare del tributo che risulti al momento del saldo complessivamente dovuto, oppure rispetto ad una successiva determinazione in via definitiva dell'”an” e del “quantum” dell’obbligazione fiscale, mentre non può che decorrere dal giorno dei singoli versamenti in acconto nel caso in cui questi, già all’atto della loro effettuazione, risultino parzialmente o totalmente non dovuti, poiché in questa ipotesi l’interesse e la possibilità di richiedere il rimborso sussistono sin da tale momento (cfr. Cass. VI-5, n. 14868/2016). In altri termini, il termine decadenziale comincia a decorrere dal momento in cui è stato versato l’indebito, in toto o per singola rata, a prescindere da eventuali ricalcoli (cfr. Cass. VI-5, n. 31433/2018).
Il primo motivo è quindi fondato e merita accoglimento.
Con il secondo motivo si prospetta censura ex art. 360 c.p.c., n. 3 per violazione del D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 2, comma 1 e art. 3, comma 1, lett. c) lamentando la violazione delle norme regolatrici i presupposti impositivi dell’IRAP, segnatamente perché è stato fatto riferimento al valore dei beni strumentali in rapporto all’interezza del fatturato, nonché le prestazioni di consulenza di società terze. Trattasi di aspetti costituenti indici-spia, ma che non assolvono l’indagine rigorosa cui è chiamato il giudice di merito, secondo l’insegnamento di questa Corte, a seguito di S.U. n. 9451/2016, ove ha più volte ribadito doversi accertare in concreto la presenza di autonoma organizzazione, guardando alle effettive modalità di esercizio dell’attività o della professione. Più in particolare, proprio in materia di agenti ed intermediari di commercio, questa Corte è intervenuta affermando che In tema di IRAP, l’esercizio di attività di agente di commercio di cui all’art. 1, della l.n. 204 del 1995 è escluso dall’applicazione dell’imposta soltanto ove si tratti di attività non autonomamente organizzata, con onere a carico del contribuente, in caso di richiesta di rimborso dell’imposta asseritamente non dovuta, della prova dell’assenza delle condizioni dell’autonoma organizzazione. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto carente la valutazione del giudice di merito in ordine alla concreta tipologia dei beni strumentali e delle spese ritenute indicative di autonoma organizzazione) (Cfr. Cass. VI-5, n. 9325/2017, ma già 13005/2012). A tali principi non si è uniformata la sentenza in scrutinio.
Il ricorso è quindi fondato e merita accoglimento.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione; cassa la sentenza; rinvia alla Corte di giustizia tributaria per la Campania in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
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