CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 04 aprile 2018, n. 8248
Tributi – Reddito d’impresa – Accertamento – Riscossione – Notifica – Omessa fatturazione di merce venduta
Fatti di causa
1. Con sentenza n. 64 del 5/07/2010, notificata in data 13/09/2010, la Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna accoglieva l’appello proposto dalla S.E. s.p.a. avverso la statuizione di primo grado che aveva rigettato il ricorso proposto dalla predetta società avverso l’avviso di accertamento ai fini IVA, IRPEG ed IRAP con cui l’amministrazione finanziaria aveva rettificato il reddito d’impresa relativamente all’anno di imposta 2003 recuperando a tassazione ricavi non dichiarati e costi ritenuti indeducibili.
1.1. Sostenevano i giudici di appello che la minusvalenza riscontrata dall’amministrazione finanziaria sulla cessione di un macchinario «corrisponde alle esigenze finanziarie e patrimoniali dell’azienda», che era legittima la deduzione dei costi di alloggio per i dipendenti in quanto risultavano da un contratto riferibile anche all’azienda e che era infondato il rilievo relativo ai maggiori ricavi desunti dall’omessa fatturazione di merce venduta ma in deposito presso l’azienda in quanto la merce era detenuta gratuitamente dalla società contribuente.
2. Avverso tale statuizione l’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione affidato a cinque motivi, cui replica l’intimata con controricorso.
Ragioni della decisione
1. Va preliminarmente esaminata l’eccezione di inammissibilità del ricorso per tardività della notifica, che la controricorrente ha proposto sostenendo l’inapplicabilità alla notifica effettuata dall’Avvocatura distrettuale dello Stato, quale difensore dell’Agenzia delle entrate, del principio della scissione degli effetti della notificazione per il notificante ed il destinatario, previsto dall’art. 149, ultimo comma, cod. proc. civ., aggiunto dalla legge n. 263 del 2005, art. 2, comma 1, lett. c), a seguito della nota sentenza della Corte cost. n. 477 del 2002, con la conseguenza che nel caso di specie il ricorso deve considerarsi tardivo in quanto consegnato al destinatario il giorno 16/11/2010, successivo a quello di scadenza del termine breve per impugnare (del 15/11/2010, computato ai sensi dell’art. 155, terzo comma, cod. proc. civ.), decorrente dalla data del 13/10/2010, di notifica della sentenza impugnata.
2. L’eccezione è infondata.
2.1. Al riguardo, infatti, deve rilevarsi che, diversamente da quanto sostenuto dalla controricorrente, la giurisprudenza di questa Corte è unanime nel ritenere che il citato principio di scissione degli effetti della notificazione è applicabile anche a quella effettuata dall’avvocato, munito della procura alle liti e dell’autorizzazione del consiglio dell’ordine cui è iscritto, a norma dell’art. 1 della legge 21 gennaio 1994, n. 53, «siccome in linea con le finalità del principio applicato, da reputarsi ormai generalizzato se non altro nell’ordinamento processuale nazionale, a tutela delle peculiari forme di funzionamento dei servizi pubblici e della conseguente esigenza di non penalizzarne gli utenti» (cfr., Cass. n. 770 del 2016; conf. Cass. n. 8489 del 2015, n. 15234 del 2014, n. 4242 del 2013), osservandosi che il precedente contrario citato dalla controricorrente (Cass., sent. 25 settembre 2002, n. 13922) è anteriore alla citata pronuncia della Corte costituzionale (sent. 26 novembre 2002, n. 477).
3. Con il primo motivo di ricorso viene dedotta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art. 53, comma 1, d.lgs. n. 546 del 1992, sostenendosi che i giudici di appello avevano omesso di rilevare l’inammissibilità del ricorso in appello della società contribuente per difetto di specificità dei motivi.
4. Al riguardo deve ricordarsi che è orientamento consolidato di questa Corte quello secondo cui «in tema di contenzioso tributario, la riproposizione, a supporto dell’appello proposto dal contribuente, delle ragioni di impugnazione del provvedimento impositivo in contrapposizione alle argomentazioni adottate dal giudice di primo grado assolve l’onere di impugnazione specifica imposto dall’art. 53 del d.lgs. n. 546 del 1992, atteso il carattere devolutivo pieno, nel processo tributario, dell’appello, mezzo quest’ultimo non limitato al controllo di vizi specifici, ma rivolto ad ottenere il riesame della causa nel merito» (Cass. n. 1200 del 2012, n. 1200 del 2016, n. 7369 del 2017). Principio, questo, che è stato riaffermato anche da Cass. n. 4558 del 2017 che ha però evidenziato che «se è vero che l’appello in materia tributaria ha carattere devolutivo pieno, è altresì vero che le deduzioni dell’appellante devono essere svolte “in contrapposizione alle argomentazioni adottate dal giudice di primo grado”, delle quali, quindi, l’appellante non può disinteressarsi, limitandosi a riproporre al giudice di appello le medesime testuali argomentazioni contenute nel ricorso introduttivo».
4.1. Così delineato il quadro giurisprudenziale di riferimento, deve osservarsi che nel caso di specie, avuto riguardo all’esposizione “in diritto” dell’atto di appello, riprodotto alle pagine da 17 a 19 del ricorso, l’appellante società non si è limitata a riproporre le medesime argomentazioni svolte nel ricorso introduttivo del giudizio, ma ha anche censurato la statuizione di primo grado. Difatti, con riferimento alla ripresa a tassazione delle minusvalenze patrimoniali indeducibili, ha affermato che «la motivazione esposta dalla commissione è alquanto generica. I riferimenti (tempistica dell’operazione, somma indicata, ecc…) non permettono di ricostruire il percorso logico attraverso cui il giudice è giunto alla decisione»; con riferimento alle spese per alloggio dei dipendenti, ha dedotto la sussistenza di un errore formale (addebitabile alla CTP alla stregua del contenuto della sentenza di prime cure, riprodotta alla pagina 15 del ricorso) costituito dalla mancata rilevazione che il contratto prodotto agli atti era intestato anche alla società; con riferimento alla ripresa a tassazione di maggiori ricavi ha effettivamente riproposto le argomentazioni contenute nel ricorso introduttivo, ma a ciò indotta dall’assoluta genericità della statuizione adottata sul punto dalla CTP.
5. In sintesi, quindi, il motivo di ricorso va rigettato.
6. Con il secondo mezzo di cassazione la ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 1 e 2 d.lgs. n. 546 del 1992, sostenendo che la CTR aveva erroneamente annullato l’avviso di accertamento impugnato nonostante l’appello avesse riguardato soltanto alcune delle riprese a tassazione effettuate dall’amministrazione finanziaria con il predetto atto impositivo, in particolare «i punti 1, 3 e 4 dell’avviso di accertamento impugnato».
7. Il motivo è infondato in quanto la CTR si è limitata ad accogliere l’appello della società contribuente che risulta indubitabilmente proposto con riferimento alle sole riprese a tassazione di cui ai punti 1, 3 e 4 dell’avviso di accertamento, rilevando il Collegio che è errata l’affermazione di parte ricorrente secondo cui la società contribuente aveva chiesto con il ricorso in appello l’annullamento integrale dell’avviso di accertamento (ricorso pag. 21), posto che in detto atto la società appellante aveva chiesto «la riforma totale della sentenza appellata» ed il conseguente annullamento dell’atto impugnato ma «per i motivi su esposti», che avevano riguardato solo ed esclusivamente le pretese fiscali sopra indicate.
7.1. In definitiva, la portata precettiva della sentenza della CTR, individuata alla stregua del contenuto della motivazione e della parte dispositiva, non pone dubbio alcuno sul fatto che l’avviso di accertamento deve ritenersi annullato soltanto con riferimento ai punti 1, 3 e 4 del medesimo, in relazione ai quali è stato proposto appello, accolto dalla CTR, ed ai quali si rivolgono le argomentazioni svolte dai giudici di secondo grado nella motivazione della sentenza impugnata.
8. Con il terzo motivo di ricorso la ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., l’insufficiente motivazione della sentenza impugnata con riferimento alla ripresa a tassazione delle minusvalenze realizzate sulla cessione di un macchinario (punto 1 dell’avviso di accertamento) e delle spese di alloggio per i dipendenti (punto 3 del predetto atto impositivo).
9. Il primo profilo di censura è infondato in quanto la Commissione di appello, ancorché con motivazione succinta, ha esplicitato le ragioni del proprio convincimento circa la regolarità dell’operazione di sale and lease back posta in essere dalla società contribuente, ritenendo che, contrariamente alla ricostruzione operata dall’amministrazione finanziaria nell’avviso di accertamento, l’operazione contestata fosse corrispondente alle «esigenze finanziarie e patrimoniali dell’azienda», all’evidenza ricavate dalle spiegazioni fornite dalla società contribuente nella fase amministrativa, analiticamente riportate nel predetto atto impositivo (riprodotto a pag. 3 del ricorso), idonee a giustificare la regolarità dell’operazione commerciale posta in essere con le modalità ivi descritte, ricadenti nel perimetro insindacabile della discrezionalità delle scelte aziendali.
10. Inammissibile per carenza di autosufficienza e, per come si dirà, anche infondato, è il motivo in esame laddove viene censurata la motivazione resa dai giudici di appello in ordine alla ripresa a tassazione delle spese di alloggio per i dipendenti (punto 3 dell’avviso di accertamento) relativi ad un contratto di locazione di un appartamento sito in Monaco di Baviera.
10.1. Invero, la ricorrente ha omesso di trascrivere il contenuto del contratto di locazione dell’immobile da cui, a suo dire, e contrariamente a quanto affermato dai giudici di appello (secondo i quali il contratto è «riferibile ad un dipendente dell’azienda ed all’azienda stessa»), si evince che «il contratto di affitto de quo e le fatture relative ai canoni di locazione risultano intestati non già alla società contribuente ma solo al Sig. M.P.» (ricorso, pag. 30), così incorrendo nella violazione all’art. 366, primo comma, n. 6, c.p.c. che, statuendo che «il ricorso deve contenere a pena di inammissibilità […] la specifica indicazione degli atti processuali, dei documenti e dei contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda», ha codificato il principio di autosufficienza, che richiede che nel ricorso devono essere presenti tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito e, altresì, a permettere la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza la necessità di far rinvio ed accedere a fonti esterne allo stesso ricorso e, quindi, ad elementi o atti attinenti al pregresso giudizio di merito (cfr., ex multis, Cass. n. 15952 del 2007; v. anche Cass. n. 14784 del 2015, n. 26489, n. 19306 e n. 14541 del 2014), con la conseguenza che grava sulla parte ricorrente l’onere di indicare specificamente, a pena di inammissibilità, oltre al luogo in cui ne è avvenuta la produzione, “gli atti processuali ed i documenti su cui il ricorso si fonda mediante riproduzione diretta del contenuto che sorregge la censura, oppure attraverso una riproduzione indiretta di esso con specificazione della parte del documento cui corrisponde l’indiretta riproduzione” (cfr. Cass. n. 1142 del 2014). Attività che nella specie, come sopra anticipato, è del tutto mancata.
11. La censura in esame, come sopra anticipato, è anche infondata atteso che le circostanze che la ricorrente ha dedotto essere state pretermesse nell’attività valutativa del giudice di merito – quali: il mancato trasferimento della residenza a Monaco di Baviera da parte dei dipendenti della società contribuente e la contabilizzazione nell’anno di imposta 2003 di diverse fatture relative a prestazioni alberghiere sostenute in quella città «evidentemente a favore di dipendenti della società» – sono del tutto prive di decisività e come tali inidonee ad indurre i giudici di merito a ritenere l’alloggio de quo nell’esclusiva disponibilità del dipendente, come sostiene la ricorrente (a pag. 30 del ricorso).
12. Il quarto motivo di ricorso, con cui la difesa erariale deduce, ex art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 102 e 109, comma 1, TUIR (d.P.R. n. 917 del 1986) «anche alla luce del generale divieto di abuso del diritto», con riferimento alla ripresa a tassazione delle minusvalenze realizzate sulla cessione di un macchinario (punto 1 dell’avviso di accertamento), ovvero alla medesima questione posta nel primo profilo di censura dedotto con il terzo motivo, deve ritenersi infondato alla stregua delle medesime considerazioni svolte esaminando il primo profilo di censura del precedente motivo.
13. Deve ritenersi assorbito dalla statuizione di rigetto del secondo profilo di censura dedotto con il terzo motivo il quinto mezzo di impugnazione, con cui la ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 95, comma 2, (già art. 62) TUIR (d.P.R. n. 917 del 1986) e 2697 cod. civ., per avere la CTR erroneamente ritenuto deducibili i costi di locazione dell’immobile de quo nonostante lo stesso, secondo la prospettazione di parte ricorrente, smentita però dall’accertamento in fatto contenuto nella statuizione di merito, risultasse nella disponibilità esclusiva del dipendente della società contribuente. Circostanza, quest’ultima, che rende il motivo in esame anche inammissibile perché formulato sulla base di un erroneo presupposto di fatto.
14. Conclusivamente, quindi, il ricorso va rigettato e la ricorrente condannata, in applicazione del principio della soccombenza, al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, nella misura liquidata in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 8.000,00 per compensi, oltre al rimborso delle spese forfetarie nella misura del 15 per cento dei compensi ed agli accessori di legge.
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