CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 04 giugno 2018, n. 14204
Lavoro – Dipendenti Inail – Trattamento economico per mansioni superiori – Qualificazione delle menasioni
Fatti di causa
La Corte d’Appello di Roma, in parziale conferma della pronuncia di prime cure ha accertato la correttezza dell’inquadramento nella posizione economica B2/B3 di A.C. e altri cinque dipendenti dell’Inail, provenienti dalla ex VI qualifica professionale fino all’entrata in vigore del nuovo sistema di classificazione disposto dal CCNL per i dipendenti degli Enti pubblici non economici per il quadriennio 1998/2001. Ha, invece, riformato la pronuncia del Tribunale, riconoscendo il diritto degli appellanti alla retribuzione per mansioni superiori relative all’area C, posizione economica CI svolte di fatto dal febbraio 2002, sulla base della comparazione tra le declaratorie dei rispettivi profili professionali.
Avverso tale decisione ricorre per cassazione l’Inail con due censure, mentre A.C. e i suoi litisconsorti resistono con tempestivo controricorso illustrato da memoria.
Ragioni della decisione
Con la prima censura, formulata ai sensi dell’art. 360, n. 3 cod. proc. civ., l’Istituto ricorrente deduce “Violazione del contratto EPNE del 16 febbraio 1999 (quadriennio 1998-2001) che ha previsto il nuovo sistema di classificazione del personale e dell’Allegato A: declaratoria delle Aree, al medesimo contratto; falsa applicazione dell’art. 3 del Contratto Integrativo di Ente (CIE) del 30.7.1999 e dell’allegato 1: Profili professionali delle attività amministrative, allegato al medesimo contratto integrativo”.
Parte ricorrente contesta al Giudice dell’Appello un’esegesi parziale e non sistematica delle declaratorie contenute nelle disposizioni contrattuali citate in epigrafe. Riferendosi ai principali elementi distintivi dei livelli d’inquadramento B e C, deduce che sotto il profilo della maggiore o minore autonomia e della discrezionalità riconosciuta dalle declaratorie contrattuali, mentre nell’Area B la responsabilità del dipendente si limita ai risultati raggiunti secondo l’attività materiale svolta, nell’Area C si estende al contributo professionale rivolto al raggiungimento degli obiettivi aziendali. Quanto al profilo della competenza nell’ambito del processo produttivo, il personale dell’Area B, posizione economica B2/3, svolge fasi o fasce di attività entro direttive di massima e procedure predeterminate, anche informatiche, limitate alla soluzione di problematiche derivanti dai compiti assegnati, salvo il controllo dei funzionari responsabili dell’intero processo dell’Area C – posizioni C3 e C4; mentre caratteristica comune a tutti i profili professionali dell’Area C è lo svolgimento di tutte in attività inerenti l’intero processo produttivo.
Pertanto, la Corte d’Appello, nel riconoscere il diritto alle retribuzioni per lo svolgimento di fatto di mansioni dell’Area C – posizione economica C1 in capo agli appellanti, avrebbe violato le norme dei contratti collettivi di primo e di secondo livello, atteso che la qualificazione delle mansioni di fatto svolte accertate con la prova testimoniale, risulterebbe contrastante con la declaratoria delle mansioni tipiche della posizione Cl, caratterizzate da assunzione di responsabilità di processi lavorativi, in quanto nessuno dei dipendenti, ciascuno assegnato a un diverso processo, ha svolto tutte le fasi di esso, ma soltanto sub processi o procedimenti.
Con la seconda censura, formulata ai sensi dell’art. 360, n.5 cod. proc. civ., si lamenta “Insufficiente, illogica e contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio”. Ripercorrendo diffusamente gli esiti della prova testimoniale, l’Istituto ricorrente ritiene sussistente il vizio di motivazione, per avere, la Corte territoriale, ritenuto erroneamente: a) che gli appellanti avessero assunto responsabilità connesse alle pretese mansioni superiori, sebbene fosse stato dichiaratamente escluso che essi avevano gestito tutte le fasi del processo loro affidato, essendo stati addetti soltanto a fasi di esso o a fasce di attività con un limitato grado di autonomia; b) che essi avevano assunto responsabilità circoscritte al loro operato e non anche estese al risultato delle attività complessive degli uffici di appartenenza, in quanto lo svolgimento di parziali fasi o fasce del procedimento era comunque soggetto alle direttive e al diretto controllo dei funzionari della medesima area C, inquadrati nelle superiori posizioni C3, C4 e C5.
La prima censura è infondata.
Occorre premettere che la giurisprudenza di questa Corte, affermando la specialità del sistema di inquadramento nel settore dell’impiego pubblico contrattualizzato, affidato dalla legge in via esclusiva alla contrattazione collettiva, ha ritenuto la validità della collocazione del personale già inquadrato nella soppressa 6^ qualifica funzionale, nelle diverse posizioni economiche dell’area B, conformemente alle previsioni della tabella di corrispondenza del c.c.n.I. del comparto enti pubblici non economici per il triennio 1998/2001 (Sez. Un. 16038/2010), principio al quale si sono attenuti i Giudici del merito e che il ricorrente peraltro non contesta.
Altrettanto corretta è l’applicazione del criterio sopra richiamato in relazione alla disciplina del c.c.n.l. e della contrattazione integrativa stante il rilievo attribuitovi dall’art. 52 del d.lgs. n. 165/2001, nel giudizio sulla domanda di differenze retributive per svolgimento di fatto di mansioni superiori.
La Corte d’Appello, infatti, dopo aver rilevato che il c.c.n.I. mediante il sistema delle Aree ha inteso superare la rigidità della vecchia classificazione per qualifiche, ed ha individuato le Aree A, B, C (accorpando le precedenti qualifiche), ha precisato che lo stesso, all’art. 13 co. 2, ha disposto che “Le Aree predette sono individuate mediante le declaratorie riportate nell’allegato A che descrivono l’insieme dei requisiti indispensabili per l’inquadramento in ciascuna Area, corrispondenti ai livelli omogenei di competenze” (p. 4 sent.).
Sulla base di tale premessa ha rilevato, poi, che dalle declaratorie contrattuali risulta che l’Area C è riferita a personale che opera strutturalmente nel processo produttivo, è competente a svolgere tutte le fasi del processo, assume la responsabilità di moduli organizzativi ed è elemento facilitatore di processo ai fini del raggiungimento degli obiettivi; mentre l’area B è riservata ai lavoratori che gestiscono solo fasi o fasce di attività, nell’ambito di direttive di massima e di procedure predeterminate, e rispondono dei risultati secondo la posizione rivestita.
Ha poi accertato, sulla base delle testimonianze, che ciascuno degli appellanti aveva svolto di fatto, fin dal 28 febbraio 2002, compiti inerenti alle mansioni superiori dell’Area C, posizione economica Cl, con ampiezza di autonomia e discrezionalità nell’ambito del processo a ciascuno di essi affidato.
Nella specie l’accertamento di merito e stato congruamente motivato e in quanto tale si sottrare alla censura prospettata, avendo la Corte territoriale rilevato, alla stregua delle dichiarazioni testimoniali, come i compiti di fatto svolti da ciascuno degli attuali controricorrenti, e riportati analiticamente nel corpo della motivazione, fossero riconducibili alla posizione C1 “…nella loro pienezza qualitativa e quantitativa” (p. 7 sent.) desunta dalle relative declaratorie.
Orbene, tale decisione appare aderente alla giurisprudenza di questa Corte e congruamente motivata, nonché corretta sul piano logico-giuridico rispetto alle declaratorie del c.c.n.I. con riferimento al quale soltanto è, peraltro, ammissibile la denuncia diretta formulata ai sensi dell’art. 360, n.3 cod. proc. civ.
La seconda censura è infondata.
La Corte ha offerto una specifica motivazione rispetto al punto censurato, là dove ha accertato che il fatto che l’attività degli appellanti avesse riguardato procedimenti specifici (disoccupazione, malattia, maternità) e non tutti i variegati prodotti offerti dall’Inail – come pretenderebbe l’Ente, conferendo al termine processo produttivo contenuto nella declatoria dell’Area C posizione C1 un’eccezione omnicomprensiva – non osta alla sussumibilità delle mansioni svolte nel superiore livello professionale.
Esclude correttamente la Corte territoriale che l’accezione del termine “processo produttivo”, contenuta nella declaratoria di riferimento, debba considerarsi identificabile “…con l’intera e complessa gamma dei prodotti gestiti ed offerti dall’Inail, di modo che il livello C1 competerebbe solo a chi si occupa di tutte le fasi di tutti i prodotti offerti dall’Istituto, giacché una simile interpretazione non solo non trova riscontro alcuno nella lettera della declaratoria contrattuale, ma comporterebbe di fatto l’impossibilità di dare alla stessa applicazione per l’ovvia considerazione che nessun dipendente dell’ente può in concreto gestire contemporaneamente “tutte le fasi”, cioè la ricezione della pratica, l’istruttoria della stessa, la liquidazione o meno della prestazione richiesta di tutti i variegati prodotti offerti dall’Inail” (p. 7 sent.).
Il diritto alle retribuzioni per le mansioni superiori svolte viene fatto derivare, pertanto, dalla puntuale verifica delle caratteristiche performanti della prestazione, riferite alla maggiore complessità delle attività espletate, rispetto a quelle esecutive dell’Area B di formale appartenenza, dai superiori margini di autonomia e di iniziativa, dalla capacità di adattamento rispetto alla scelta delle soluzioni richieste dalle specifiche problematiche di volta in volta trattate. In altri termini, la Corte ha fondato il suo accertamento su una valutazione non tanto e non solo del numero dei processi e/o dei sub procedimenti svolti, quanto della competenza e della professionalità degli appellanti a svolgere tutte le fasi del processo produttivo, espresse nel reiterato svolgimento di fatto delle superiori mansioni. Tale motivazione si rivela corretta, perché è proprio della valorizzazione del bagaglio professionale e del patrimonio di conoscenze e competenze che l’art. 52 del d.lgs. n.165/2001 ha voluto farsi carico, nei limiti del divieto di attribuzione del formale superiore inquadramento, siccome imposto dall’interesse pubblico alla trasparenza e alla buona amministrazione della In definitiva, essendo infondate le censure il ricorso è rigettato. Le spese, come liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento nei confronti dei controricorrenti delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 200 per esborsi, Euro 6000 per compensi professionali, oltre alle spese forfetarie nella misura per cento e agli accessori di legge.
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