CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 05 febbraio 2019, n. 3265
Tributi – TARSU – Irregolare attivazione del servizio di raccolta dei rifiuti solidi urbani nel quartiere – “Emergenza dei rifiuti” – Riduzione della tariffa ex art. 59, co. 4, D.Lgs. n. 507/1993 – Applicabilità – Condizioni
Massima
il diritto alla riduzione presupponga sempre l’accertamento specifico dell’effettiva irregolarità nell’erogazione del servizio in grave difformità dalle previsioni legislative e regolamentari. Proseguono i giudici che spetta al contribuente fruitore del servizio di dimostrare che il servizio di raccolta, istituito e attivato, non sia concretamente svolto o sia svolto in grave difformità rispetto alle prescrizioni di legge
Esposizione dei fatti di causa
1. R.C. impugnava la cartella di pagamento emessa dal comune di Napoli relativa a tarsu per l’anno di imposta 2010, invocando la riduzione del 40% della tariffa comunale – applicata in virtù del disposto dell’art. 59 quarto comma d.lgs 507/1993 – a causa dell’irregolare attivazione del servizio di raccolta dei rifiuti solidi urbani nel quartiere in cui era ubicata la propria abitazione, rammentando che nell’anno 2010 la città di Napoli fu interessata, come negli anni precedenti, dalla cd. “Emergenza dei rifiuti”.
L’ente impositore contestava la pretesa sulla base della delibera consiliare n. 11 del 12.06.2008 adottata dal comune di Napoli che aveva escluso la riduzione tariffaria per le ipotesi di impossibilità dei contribuenti di usufruire dei contenitori.
La CTP rigettava il ricorso con sentenza appellata dalla contribuente.
La CTR della Campania, premessa la distinzione tra riduzioni obbligatorie e facoltative sulla base delle disposizioni normative ( d.lgs 507/93), disapplicava l’art. 9 del regolamento comunale, il quale escludeva la riduzione tariffaria nelle ipotesi in cui l’impossibilità di usufruire dei contenitori per esaurimento della loro capacità ricettiva dipendeva da situazioni emergenziali legate alla saturazione degli impianti terminali di conferimento dei rifiuti solidi urbani, ritenendo la disposizione regolamentare non conforme al precetto di cui all’art. 59 citato. Tuttavia, sulla base della norma citata affermava il diritto dei contribuenti alla riduzione limitatamente al periodo corrispondente alla interruzione del servizio determinata da imprevedibili impedimenti organizzativi e previa presentazione al comune della cd. diffida di cui all’art. 9 Reg. Tarsu.
Ciò nondimeno, i giudici regionali respingevano l’appello, in mancanza di prova in ordine alla omessa effettuazione del servizio di raccolta nell’anno 2010 nel quartiere di residenza della ricorrente; ulteriormente argomentando l’inidoneità, ai fini della invocata riduzione tariffaria, del fatto notorio relativo alla crisi campana dei rifiuti e la non riconducibilità dei periodi di sospensione della raccolta nel comune di Napoli ad un dato di conoscenza nazionale o locale.
Avverso la sentenza n.1927/2017 dell’1.03.2016, propone ricorso la contribuente svolgendo cinque motivi
La concessionaria e l’amministrazione comunale resistono con rispettive memorie.
Il P.G. ha concluso per l’accoglimento del primo motivo ed il rigetto degli altri.
Esposizione delle ragioni di diritto
2. Con la prima e la seconda censura, si lamenta l’omessa pronuncia su un punto decisivo della controversia, violazione dell’art. 112 c.p.c. ex art. 360 nn. 4 e. 5 c.p.c., per avere omesso i giudici di secondo grado di pronunciare sull’erronea quantificazione della pretesa tributaria, indicata dalla CTP nella somma di euro 1.380,00 anziché di 498,88 nonché per sull’eccezione di giudicato dedotta con le memorie difensive, depositate nei termini ex art. 31 d.lgs 546/92, con la quale aveva rilevato che la sentenza della CTR della Campania relativa alla cartella emessa dal medesimo comune nei confronti della medesima contribuente per l’anno 2009 era passata in giudicato, relativamente alla sussistenza di una “crisi dei rifiuti a Napoli” nell’anno 2009.
In particolare, con la memoria depositata in secondo grado, la contribuente ha invocato il giudicato esterno in relazione ad altra sentenza (prodotta in giudizio unitamente all’attestazione del passaggio in giudicato) della C.T.R. della Campania depositata nel corso del giudizio di appello con la quale era stato accertato il diritto della contribuente alla riduzione del tributo per l’anno 2009.
3. Con la terza censura, si lamenta violazione dell’art. 2909 c.c. ex art. 360 n. 3 c.p.c., non avendo il decidente tenuto conto dell’efficacia espansiva del giudicato, ed in particolare, del passo della decisione, relativa all’anno 2009, in cui i giudici regionali hanno gravato il Comune dell’onere di provare il completo espletamento del servizio di raccolta dei rifiuti urbani.
Detta affermazione avrebbe – ad avviso della contribuente – efficacia permanente tale da avere valore condizionante inderogabile rispetto alla disciplina della fattispecie tributaria esaminata in relazione all’anno 2010, in quanto la sentenza impugnata dà atto della crisi del servizio di smaltimento dei rifiuti del Comune di Napoli nell’anno 2009.
4.Con il quarto mezzo si lamenta violazione dell’art. 2907 c.c. e dei principi generali in materia di distribuzione dell’onere della prova nel processo tributario, censurando la pronuncia impugnata, per avere i giudici territoriali posto a carico del contribuente l’onere di fornire la prova dell’irregolare funzionamento de servizio di raccolta, sostenendo al contrario, che secondo l’orientamento della giurisprudenza di legittimità, grava sul Comune l’onere di provare il regolare svolgimento del servizio.
5.Con il quinto mezzo, si deduce violazione dell’art. 115 c.p.c. ex art. 360 n. 4 c.p.c., per avere i giudizi territoriali onerato il contribuente della prova del mancato svolgimento del servizio, in violazione del principio di non contestazione, atteso che, pur avendo la stessa dedotto che la crisi dei rifiuti interessò la città di Napoli dal 1994 al 2012, l’ente comunale non aveva contestato giammai detta circostanza.
6. Preliminarmente va disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dalla concessionaria in quanto l’eccezione di carenza di legittimazione passiva – per essere le contestazioni afferenti al rapporto con l’ente impositivo e non con la società – risulta svolta per la prima volta in questo giudizio.
7. La prima censura è priva di pregio.
Ad integrare il vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, ma è necessario che sia stata completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto: ciò non si verifica, ad esempio, quando la decisione adottata comporti la reiezione della pretesa fatta valere dalla parte anche se manchi in proposito una specifica argomentazione, dovendo ravvisarsi una statuizione implicita allorquando la pretesa avanzata col capo di domanda non espressamente esaminata risulti incompatibile con l’impostazione logico giuridica della pronuncia( Cass. n. 20311 del 2011; n. 24155/2017)
Nella presente fattispecie, sebbene i giudici regionali non abbiano espressamente pronunciato sulla istanza di correzione di errore materiale della sentenza di primo grado, risulta dalla medesima pronuncia impugnata l’esatto importo della cartella di pagamento opposta – pari ad euro 498,88 – dovuto a titolo di Tarsu per l’anno di imposta 2010, di guisa che la decisione ha certamente considerato l’esatta entità della pretesa tributaria effettivamente azionata dall’amministrazione.
8.Quanto alla seconda censura, il riconoscimento della capacità espansiva del giudicato tributario può operare solo rispetto a quegli elementi costitutivi della fattispecie che, estendendosi a una pluralità di periodi d’imposta (es. le qualificazioni giuridiche preliminari all’applicazione di una specifica disciplina tributaria), assumono carattere tendenzialmente permanente (in riferimento a tali elementi, cfr. Sez. U, Sentenza n.13916 del 16/06/2006).
Orbene, il primo giudicato invocato dal ricorrente (portato dalla sentenza n. 8879/50/14), avente per oggetto il riconoscimento del diritto alla riduzione del tributo comunale, non può comportare la sua automatica estensione alla annualità 2010, in quanto il rapporto tributario postula l’accertamento di presupposti di fatto potenzialmente mutevoli (Cass. n. 20029/2011; Cass. n. 20029 del 2011; Cass. nn. 6953 e n. 4832 del 2015; Cass. n. 9710/2018).
Il vincolo oggettivo derivante dal giudicato, in relazione alle imposte periodiche, deve essere riconosciuto, quindi, nei soli casi in cui vengano in esame fatti che, per legge, hanno efficacia permanente o pluriennale, producendo effetti per un arco di tempo che comprende più periodi di imposta o nei quali l’accertamento concerne la qualificazione del rapporto; il presupposto oggetto di giudicato che il ricorrente intende far valere anche per l’anno di imposta 2010 attiene invece la crisi dei rifiuti relativa all’anno di imposta 2009, accertata dalla CTR della Campania.
Nel caso di specie, l’accertamento della crisi dei rifiuti in Campania per l’anno 2009 non può estendersi anche all’anno 2010, trattandosi di circostanze mutevoli nel tempo.
La seconda censura è dunque priva di pregio.
9. Parimenti infondato è il terzo motivo.
Nessuna violazione del giudicato è ravvisabile nella specie.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte (S.U. n. 9872/1994; Cass. n.24992/2018), il giudicato riguarda il bene della vita fatto valere, che nel caso in esame si identifica nella dedotta illegittimità della cartella di pagamento, e non anche nell’interpretazione ed applicazione delle disposizioni normative, attività rispetto alle quali il giudice non è vincolato alle deduzioni delle parti.
Il giudicato, evidentemente, non può estendersi al principio di diritto che è stato affermato nella diversa controversia, quantunque in forza degli asseriti medesimi presupposti di fatto, atteso che la preclusione del giudicato opera nei soli limiti dell’accertamento della questione di fatto e non anche in relazione alle conseguenze giuridiche ( Cass.nn 12743 e 25546 del 03/12/2014).
L’eventualità che il giudicato, formatosi in ordine a un periodo, possa avere efficacia preclusiva nel giudizio relativo al medesimo tributo per un altro periodo va limitata al caso in cui si discorra degli elementi rilevanti necessariamente comuni ai distinti periodi d’imposta, onde potersene desumere che l’accertamento di fatto su tali elementi ( e solo l’accertamento di fatto ) debba fare stato nel giudizio relativo alle obbligazioni sorte in un periodo d’imposta diverso.
La sentenza del giudice tributario che definitivamente accerti il contenuto e l’entità degli obblighi del contribuente per un determinato periodo d’imposta fa stato, dunque, quanto ai tributi dello stesso tipo da questi dovuti per gli anni successivi, solo per gli elementi che abbiano un valore “condizionante” inderogabile rispetto alla disciplina della fattispecie esaminata, sicché, laddove risolva una situazione fattuale riferita ad uno specifico periodo d’imposta, essa non può estendere i suoi effetti automaticamente ad un’altra annualità, ancorché, siano coinvolti tratti storici comuni ( Cass. n. 1837/2014).
Nel caso di specie gli elementi posti a base dell’eccezione della ricorrente non sono definibili nel senso suddetto. Alcuna preclusione può originare da sentenza relativa alla soluzione di una questione giuridica non condizionata dall’accertamento degli elementi di fatto essenziali. Sicché, per quanto passata in giudicato in relazione a una dissonante soluzione della medesima questione giuridica, la sentenza invocata non rileva come fonte di preclusione nel caso di specie (Cass. n. 4832/2014; Cass. n. 25762 del 2014).
Peraltro, nella decisione impugnata, il principio dell’onere della prova a carico del Comune è stato affermato con riferimento alla sussistenza della crisi dei rifiuti dell’anno 2009, mentre il riconoscimento della richiesta riduzione dipende dalla concreta attività di raccolta svolta in ciascun periodo d’imposta rilevante.
9. Il quarto motivo è parimenti infondato.
Il quarto comma dell’articolo 59 d.lgs. 507/93 stabilisce che: “se il servizio di raccolta, sebbene istituito e attivato, non si è svolto nella zona di residenza o di dimora nell’immobile a disposizione ovvero di esercizio dell’attività dell’utente o è effettuato in grave violazione delle prescrizioni del regolamento di cui al primo comma, relative alle distanze e capacità dei contenitori ed alla frequenza della raccolta, da stabilire in modo che l’utente possa usufruire agevolmente del servizio di raccolta, il tributo è dovuto nella misura ridotta di cui al secondo periodo del comma 2” (cioè in misura non superiore al 40% della tariffa). Il sesto comma della medesima disposizione prescrive che: “l’interruzione temporanea del servizio di raccolta per motivi sindacali o, per imprevedibili impedimenti organizzativi non comporta esonero o riduzione del tributo. Qualora tuttavia il mancato svolgimento del servizio si protragga, determinando una situazione riconosciuta dalla competente autorità sanitaria di danno o pericolo di danno alle persone o all’ambiente secondo le norme e le prescrizioni sanitarie nazionali, l’utente può provvedere a proprie spese con diritto allo sgravio o restituzione, in base a domanda documentata, di una quota della tassa corrispondente al periodo di interruzione, fermo restando il disposto del comma 4”.
La commissione tributaria regionale, nella sentenza impugnata, ha escluso il diritto della contribuente alla riduzione tariffaria per questa ragione: “per provare tale fatto costitutivo del diritto alla riduzione non è sufficiente un rinvio a fatto notorio della crisi campana dei rifiuti: ciò che è notorio che la Campania è stata per lungo tempo in crisi e che a più ripetizioni in alcuni comuni ed in alcuni quartieri vi sono stati rallentamenti e blocchi di raccolta, non di certo che nell’anno considerato nella zona di residenza o dimora del contribuente e per quale periodo vi sia stato il blocco della raccolta” Fermo restando che l’espletamento del servizio pubblico di nettezza urbana in conformità al regolamento previsto dal primo comma dell’articolo 59 d.lgs. 507/93 rientra – in ogni caso – nella responsabilità generale di buona amministrazione del Comune, la riduzione è purtuttavia dalla legge prevista per il fatto obiettivo che il servizio istituito non venga poi erogato secondo le prescritte modalità (sempre che lo scostamento da queste ultime comporti i suddetti caratteri di gravità e perdurante non fruibilità).
La riduzione tariffaria non opera, infatti, quale risarcimento del danno da mancata raccolta dei rifiuti né, men che meno, quale “sanzione” per l’amministrazione comunale inadempiente; bensì al diverso fine di ripristinare – in costanza di una situazione patologica di grave disfunzione per difformità dalla disciplina regolamentare – un tendenziale equilibrio impositivo (entro la percentuale massima discrezionalmente individuata dal legislatore) tra l’ammontare della tassa comunque pretendibile ed i costi generali del servizio nell’area municipale, ancorché significativamente alterato.
Correlazione sulla quale si basa la Tarsu, senza con ciò contraddirne il carattere prettamente tributario e non privatistico-sinallagmatico (SSUU 14903/10; Cass.4283/10; n. 22531/2017).
10. Ebbene, correttamente la CTR si è uniformata al principio di diritto secondo il quale il diritto alla riduzione presuppone l’accertamento specifico (mirato sul periodo, sulla zona di ubicazione dell’immobile sulla tipologia dei rifiuti conferiti e, in generale, su ogni altro elemento utile a verificare la ricorrenza in concreto della richiesta riduzione) della effettiva erogazione del servizio di raccolta rifiuti in grave difformità, come detto, dalle previsioni legislative e regolamentari, il cui onere probatorio grava sul contribuente che invoca la riduzione, il quale deve dimostrare il presupposto della riduzione della Tarsu ai sensi dell’art.59, co.4, d.lgs. 507/93; che consiste nel fatto obiettivo che il servizio di raccolta, istituito ed attivato: – non sia svolto nella zona di residenza o di dimora nell’immobile a disposizione o di esercizio dell’attività dell’utente;
– ovvero, vi sia svolto in grave violazione delle prescrizioni del regolamento del servizio di nettezza urbana, relative alle distanze e capacita dei contenitori ed alla frequenza della raccolta, in modo che l’utente possa usufruire agevolmente del servizio stesso, pur nella notorietà del grave e perdurante disservizio nella raccolta e conferimento dei rifiuti che ha colpito la città di Napoli.
Detto principio, secondo il quale l’onere della prova dei fatti costituenti fonte dell’obbligazione tributaria spetta all’amministrazione, per quanto attiene alla quantificazione della tassa, mentre l’onere di provare eventuali esenzioni o riduzioni tariffarie è posto a carico dell’interessato (oltre all’obbligo della denuncia, D.Lgs. n. 507 del 1993, ex art. 70) trova consolidata conferma nella giurisprudenza di questa Corte (Cass. nn. 4766 e 17703 del 2004; Cass. n, 13086 del 2006; Cass. n. 17599 del 2009; Cass. n. n. 775 del 2011; Cass. n. 1635/2015; Cass. n. 10787 del 2016; Cass. n. 21250/2017, Cass. n. Cass. n. 13395 del 2018).
11. Parimenti privo di pregio è l’ultimo mezzo.
Non è revocabile in dubbio che il principio di non contestazione, di cui all’art. 115, primo comma, cod. proc. civ., si applichi anche nel processo tributario, ma, attesa l’indisponibilità dei diritti controversi, esso riguarda esclusivamente i profili probatori del fatto non contestato, e sempreché il giudice, in base alle risultanze ritualmente assunte nel processo, non ritenga di escluderne l’esistenza (Cass. n. 1384/2016; Cass. 2015 n. 2196; Cass. n. 13834/2014; n. 2196/2015, 12287 del 2017, n. 12287/2018). E nella specie, come riscontrabile dagli stessi stralci degli scritti difensivi delle parti, l’Ente impositore ha sempre negato in radice il diritto alla esenzione, alla luce del regolamento comunale e della insussistenza del diritto alla riduzione. Per altro verso, non può trascurarsi che l’amministrazione fonda la pretesa su un atto preesistente al processo, nel quali, i fatti costitutivi sono stati già allegati in modo ovviamente difforme da guanto dal contribuente ritenuto. Donde l’onere di completezza della linea di difesa, che in concreto si desume dall’art. 23 del d.lgs. n. 546 del 1992, per quanto interpretato in coerenza col principio di non contestazione oggi desumibile dall’art. 115 c.p.c., non può essere considerato come base per affermare esistente, in capo all’amministrazione, un onere aggiuntivo di allegazione rispetto a quanto già dedotto nell’atto impositivo.
Al riguardo, osserva la Corte che il processo era stato instaurato per affermare il diritto Ila riduzione della Tarsu, per il non regolare espletamento del servizio di raccolta dei rifiuti, contrastata dall’amministrazione già mediante l’atto impositivo, volto ad affermare l’assoggettamento dei locali alla predetta imposta.
Sicché a nessun onere aggiuntivo (di allegazione o di contestazione) l’amministrazione avrebbe dovuto adempiere al fine di affermare, contrastato nel processo, il nesso di consequenzialità tra il fatto significante ex adverso dedotto – crisi dei rifiuti a Napoli e irregolare raccolta dei rifiuti – e il significato asserito come discendente, la riduzione dalla imposta. Questa dovuta solo nelle ipotesi individuate dal cit. art. 59, vale a dire omesso svolgimento dell’attività di raccolta e grave violazione delle prescrizioni del regolamento di cui comma primo.
In mancanza di allegazione specifica in ordine ai suddetti presupposti del diritto alla riduzione, l’eventuale non contestazione non assurge alcun rilievo nella dinamica processuale né sul piano probatorio.
Conclusivamente il ricorso va respinto, con aggravio di spese.
Ai sensi dell’art.13 comma 1 quater del d.p.r. n.115 del 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.
P.Q.M.
– Rigetta il ricorso;
– condanna la ricorrente alla refusione delle spese sostenute dai controricorrenti che liquida in euro 700,00 ciascuno, oltre rimborso forfettario ed accessori come per legge;
– Ai sensi dell’art.13 comma 1 quater del d.p.r. n.115 del 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.
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