CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 06 agosto 2018, n. 20556
Nullità dei contratti di lavoro di somministrazione a tempo determinato – Genericità della causale e per mancata prova circa la ricorrenza di un’esigenza temporanea e specifica di assunzione – Ricorso inammissibile – Censure attinenti al difetto di motivazione ricondotte sotto l’archetipo della violazione di legge
Fatti di causa
1. Con sentenza depositata il 7.3.2013 la Corte d’appello di Napoli rigettava il gravame di S. I. C. s.p.a. avverso la sentenza del Tribunale della medesima sede che aveva accolto la domanda di F. D. V. e R. C. volta ad ottenere la declaratoria di nullità dei contratti di lavoro di somministrazione a tempo determinato stipulati con A. I. s.p.a. (il 6.5.2004 per la D. V. e il 26.4.2004 per la C.) per genericità della causale nonché per mancata prova circa la ricorrenza di un effettivo picco attività, con conseguente costituzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato con la società utilizzatrice e condanna al pagamento delle retribuzioni dal settembre 2009 (data di notifica del ricorso giudiziale).
2. La Corte territoriale ha precisato che l’illegittimità della somministrazione derivava, non solo dalla estrema genericità della causale apposta ai contratti di somministrazione ma altresì dalla mancata allegazione e prova della ricorrenza di un’esigenza temporanea e specifica di assunzione che imponesse, pur se nell’ambito dell’attività rientrante nell’oggetto sociale (incentivazione di nuove forme di imprenditorialità attraverso erogazione di finanziamenti alimentati da fondi stanziati in leggi finanziarie), il ricorso a personale esterno, trattandosi, altresì, di assunzioni effettuate a distanza di un anno della delibera CIPE del maggio 2003 che aveva stanziato nuovi fondi per la promozione delle politiche attive del lavoro.
3. Per la cassazione della sentenza ricorre la società affidandosi a due motivi e le lavoratrici resistono con controricorso, depositando, altresì, successivamente, memoria di nomina di nuovo procuratore. Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 Cod. Proc. Civ. e, all’udienza, parte ricorrente ha depositato visura presso la CCIAA di Roma dalla quale risulta la cancellazione della società dal registro delle imprese in data 7.3.2018. La società A. I. s.p.a. è rimasta intimata.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso è prospettata violazione e falsa applicazione degli artt. 20, 21, 22 e 27 del d.lgs. n. 276 del 2003 (in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3) avendo, la Corte distrettuale, disatteso il favor dell’ordinamento comunitario e del legislatore nei confronti del contatto di somministrazione (strumento che consente l’accesso a forme di flessibilità per il datore di lavoro e l’ingresso facilitato al mercato del lavoro) e ritenuto necessario un obbligo di specifica indicazione della causale giustificativa del ricorso alla somministrazione a fronte della previsione, diversamente dal contratto a tempo determinato di cui al d.lgs. n. 368 del 2001, della indicazione di una causale ampia, non legata a specifiche situazioni tipizzate dal legislatore o dal contratto collettivo.
2. Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 20 del d.lgs. n. 276 del 2003 e degli artt. 2697, 2727, 2729 Cod. Civ. e 167, 414, 416, 115 e 116 Cod. Proc. Civ. (in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3) avendo, la Corte distrettuale, travisato gli elementi istruttori nella misura in cui non ha ritenuto intervenuto un picco di produzione derivante dalla riattivazione dei finanziamenti pubblici per l’autoimpiego e la micro-impresa nelle aree sottoutilizzate a seguito della delibera del CIPE del maggio 2003.
3. Preliminarmente, si osserva che l’avvenuta cancellazione dal registro delle imprese della società ricorrente, dopo la proposizione del ricorso per cassazione, non è causa di interruzione del processo (cfr. Cass. n. 2625 del 2018). Con riguardo alle controricorrenti D. V. e C. va, inoltre, rilevato che la costituzione di un nuovo difensore sarebbe dovuta avvenire ai sensi dell’art. 83 cod. proc. civ., comma 2, sulla base di procura conferita per atto pubblico o di scrittura privata autenticata in quanto il nuovo testo della suddetta disposizione (secondo il quale la procura speciale può essere apposta a margine od in calce anche di atti diversi dal ricorso o dal controricorso) si applica esclusivamente ai giudizi instaurati in primo grado dopo la data di entrata in vigore dell’art. 45 della legge n. 69 del 2009 (ovvero, il 4 luglio 2009), mentre per i procedimenti instaurati anteriormente a tale data (come nel caso di specie, il 28.5.2009), se la procura non viene rilasciata a margine od in calce al ricorso e al controricorso, si deve provvedere al suo conferimento mediante atto pubblico o scrittura privata autenticata. La procura in calce alla memoria di nomina e atto di costituzione di nuovi difensori delle controricorrenti è, pertanto, nulla, ma ciò non incide sulla validità della nuova elezione di domicilio contestuale al rilascio del suddetto mandato ad litem (‘trattandosi di atto ontologicamente distinto, cfr. Cass. n. 16707 del 2003).
4. Rilevato che la sentenza impugnata è sorretta da due ragioni distinte ed autonome (vizio di forma del contratto di somministrazione e mancata ricorrenza, in concreto, di un picco di attività giustificativo del ricorso al contratto di somministrazione), è opportuno esaminare preliminarmente il secondo motivo che appare inammissibile.
Premesso che – anche a fronte della validità, da un punto di vista formale, del contratto di somministrazione in considerazione della sufficiente concretezza della causale apposta – l’utilizzatore deve fornire la prova dell’effettiva esistenza della ragione giustificativa, appare corretto l’approccio della Corte territoriale la quale, nel sottolineare la necessità che l’utilizzatore dia la dimostrazione della effettività dell’esigenza sottesa alla singola assunzione del lavoratore, l’ha ritenuta, in concreto, non soddisfatta. Con argomentazione congrua ed immune da vizi di carattere logico-giuridico, i giudici d’appello hanno infatti rimarcato che “la mera allegazione, da parte della società, di aver ottenuto fondi a seguito della delibera CIPE del 9/5/2003 non giustifica l’assunzione a termine, a distanza di circa un anno, di lavoratrici addette proprio all’attività ordinaria cui dovevano essere adibiti i dipendenti a tempo indeterminato della S. I. C. s.p.a. e cioè l’istruttoria dei piani di investimento prodotti dalle imprese al fine di ottenere finanziamenti”.
In realtà, il motivo di ricorso appare inammissibilmente formulato, per avere ricondotto sotto l’archetipo della violazione di legge censure che, invece, attengono alla tipologia del difetto di motivazione ovvero al gravame contro la decisione di merito mediante una diversa lettura delle risultanze procedimentali così come accertate e ricostruite dalla Corte territoriale. Né può rinvenirsi un vizio di falsa applicazione di legge, non lamentando, il ricorrente, un errore di sussunzione del singolo caso in una norma che non gli si addice.
In ordine alla lamentata incongruità della motivazione della sentenza impugnata, è stato più volte ribadito che la valutazione delle risultanze probatorie, al pari della scelta di quelle fra esse ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati in via esclusiva al giudice di merito, il quale, nel porre a fondamento del proprio convincimento e della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, nel privilegiare una ricostruzione circostanziale a scapito di altre (pur astrattamente possibili e logicamente non impredicabili), non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere peraltro tenuto ad affrontare e discutere ogni singola risultanza processuale ovvero a confutare qualsiasi deduzione difensiva (cfr. Cass. SS.UU. n. 24148/2013, Cass. n. 8008/2014). Secondo il novellato testo dell’art. 360 n. 5 (come interpretato dalle Sezioni Unite n. 8053/2014 ed applicabile nel caso di specie, trattandosi di sentenza pubblicata dopo l’11.2.2012), tale sindacato è configurabile soltanto qualora manchi del tutto la motivazione oppure formalmente esista come parte del documento, ma le argomentazioni siano svolte in modo “talmente contraddittorio da non permettere di individuarla”.
Nessuna lacuna o contraddizione motivazionale è rinvenibile nella sentenza impugnata che ha coerentemente esposto come la società, con riguardo al periodo coincidente con la stipula dei contratti di somministrazione, non aveva allegato la ricorrenza di un’impennata di attività tale da non poter essere assorbita dai dipendenti impiegati a tempo indeterminato.
5. Trova, allora, applicazione nella fattispecie il principio secondo cui, qualora la pronuncia impugnata sia sorretta da una pluralità di ragioni, distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, il rigetto delle doglianze relative ad una di tali ragioni rende inammissibile, per difetto di interesse, l’esame relativo alle altre, pure se tutte tempestivamente sollevate, in quanto il ricorrente non ha più ragione di avanzare censure che investono una ulteriore ratio decidendi, giacché, ancorché esse fossero fondate, non potrebbero produrre in nessun caso l’annullamento della decisione anzidetta (cfr, ex plurimis, Cass., nn. 12355/2010; 13956/2005; 20454/2005; 18240/2004). Ne consegue l’inammissibilità del primo motivo.
6. In conclusione, il ricorso è inammissibile. Le spese di lite seguono il criterio della soccombenza dettato dall’art. 91 cod. proc. civ. con riguardo alle parti costituite; nulla si dispone in ordine alle spese di lite nei confronti della parte che è rimasta intimata.
Sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (legge di stabilità 2013).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente a pagare le spese del presente giudizio di legittimità che liquida in euro 200,00 per esborsi e in euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13.
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