CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 08 marzo 2019, n. 6831
Tributi – Imposta di registro, ipotecaria e catastale – Aliquota agevolata – Acquisto terreno edificato – Rogito – Rivendita – Termine triennale
Fatti di causa
Con l’impugnata sentenza n. 314/1713, depositata il 3/6/2013, la Commissione Tributaria Regionale della Campania accoglieva l’appello dell’Agenzia delle Entrate avverso la decisione della Commissione tributaria provinciale di Caserta, che aveva annullato l’avviso di liquidazione relativo alla imposta di registro, ipotecaria e catastale, emesso nei confronti di GE.IM. s.p.a., relativamente all’atto di acquisto di un terreno edificato, sito in Roccaraso, a rogito del notaio P., in data 14/7/2010, registrato il 16/7/2010, per il quale la contribuente aveva chiesto l’applicazione dell’aliquota agevolata prevista dall’art. 1, comma 1, quinto periodo, Tariffa, Parte Prima, D.P.R. n. 131 del 1986, ricorrendone le condizioni, avendo nell’atto notarile la parte acquirente dichiarato “la propria intenzione di effettuare la rivendita delle unità abitative prime del decorso del termine triennale …” come previsto dalla legge.
Avverso la sentenza la contribuente propone ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, illustrati con memoria, mentre l’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.
Motivi della decisione
La società ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., primo comma, n. 3 e n. 4, con il primo motivo, violazione e falsa applicazione dell’art. 17, D.Lgs. n. 546 del 1992, per non avere la CTR rilevato l’inammissibilità dell’appello, atteso che la notifica dell’atto di gravame dell’Agenzia delle Entrate è inesistente, in quanto effettuata in luogo neanche astrattamente riconducibile al destinatario, poiché la società GE.IM. aveva dapprima eletto domicilio, in data 5/1/2012, contestualmente al conferimento della procura alle liti, presso il dott. R. C., professionista inizialmente incaricato della difesa, ed a seguito della formale rinuncia di questi, pervenuta in data 19/9/2012, presso lo studio del nominato difensore, avv. N. M., in Caserta, Via PoiIio n. 18, che la variazione di difensore e di domicilio erano stati regolarmente notificati, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 85 c.p.c., in data 24/9/2012, e che la variazione del domicilio eletto ha effetto dal decimo giorno successivo a quello in cui è stata notificata alla segreteria della commissione ed alle parti costituite, per cui la notifica eseguita in data 23/10/2012, presso la studio del difensore rinunciatario, non è nulla ma inesistente, e come tale insuscettibile di sanatoria, con il secondo motivo, violazione degli artt. 112 e 115 c.p.c., giacché la CTR non ha considerato che il provvedimento impositivo, una volta sub judice, è immodificabile, così come vincolante è il thema decidendum al quale il giudicante si deve attenere per non incorrere nel vizio di ultrapetizione, che nel caso di specie la causa petendi dell’atto oggetto d’impugnazione risiede nella qualifica imprenditoriale, o privatistica, del cedente, Concezio Del Castello, condizione decisiva per usufruire dell’agevolazione prevista dall’art. 1, comma 1, quinto periodo, Tariffa, Parte I, D.P.R. n. 131 del 1986, in quanto “il cedente deve essere un soggetto iva e non un privato”, questione correttamente individuata dal giudice di primo grado il quale nella trasformazione dell’albergo M. da parte del proprietario in tante unità abitative, con cambio di destinazione d’uso del fabbricato, aveva ravvisato un’attività economica ritenuta vantaggiosa e in re ipsa di natura imprenditoriale, che la decisione del giudice di secondo grado si incentra al contrario sulla “natura strumentale o abitativa” del bene venduto, “fatto neppure contestato dall’Agenzia delle Entrate”, ed infine, con il terzo motivo, violazione degli artt. 37 bis, D.P.R. n. 600 del 1973, e 37 Cost., giacché la CTR, non solo ha operato una immutazione della causa petendi, ma ha accolto il gravame dell’Ufficio “sulla base di un precetto giuridico assolutamente straneo al caso di specie”, avendo ritenuto nella specie ricorrere una operazione elusiva finalizzata esclusivamente ad un indebito vantaggio fiscale, senza considerare che la trasformazione del bene è opera del cedente, che non è soggetto s passivo delle imposte di cui si discute, e che la ragione economica dell’operazione medesima sta “nella massimizzazione del prezzo di vendita (concordato in euro 2.300.00,00)” ricavabile dalla cessione di un bene a destinazione residenziale, piuttosto che ricettiva, questione rispetto alla quale l’elusività della operazione costituisce una “ultramotivazione”.
I suesposti motivi d’impugnazione vanno disattesi per le ragioni di seguito riportate.
La prima censura è infondata perché la notificazione dell’appello in luogo diverso da quello prescritto dall’art. 17, D.Lgs. n. 546 del 1992, disposizione secondo la quale le comunicazioni e le notificazioni vengono eseguite, salva consegna in mani proprie, nel domicilio eletto, o, in mancanza, nella residenza dichiarata dalla parte nel suo primo atto, e cioè nel ricorso introduttivo, fino al decimo giorno successivo a quello in cui sia stata presentata o sia pervenuta alla segreteria della commissione la comunicazione di eventuali variazioni, non è giuridicamente inesistente, ma affetta da nullità, sanabile “ex tunc” per effetto del raggiungimento dello scopo dell’atto, sia mediante la rinnovazione della notificazione, sia mediante la costituzione in giudizio dell’intimato, com’è appunto accaduto nel caso in esame, in quanto effettuata in un luogo che ha pur sempre un collegamento con il destinatario, quale è lo studio del difensore di primo grado rinunciatario dott. R. C., giusta il mandato difensivo in primo grado (Cass. S.U. n. 14916/2016; Cass. n. 1798/2018).
La seconda e la terza censura, scrutinabili congiuntamente in quanto strettamente connesse, sono infondate per quanto di seguito precisato.
Ai sensi dell’art. 3, D.L. n. 669 del 1996, convertito con modificazioni dalla L. n. 30 del 1997, nell’articolo 1, comma 1, della Tariffa, Parte Prima, concernente gli atti soggetti a registrazione in termine fisso, dopo il quarto periodo, è aggiunto il seguente: “Se il trasferimento avente per oggetto fabbricati o porzioni di fabbricato è esente dall’imposta sul valore aggiunto ai sensi dell’articolo 10, primo comma, numero 8-bis), del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, ed è effettuato nei confronti di imprese che hanno per oggetto esclusivo o principale dell’attività esercitata la rivendita di beni immobili, a condizione che nell’atto l’acquirente dichiari che intende trasferirli entro tre anni: 1%”;”
Il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 10, nel teso all’epoca vigente (Operazioni esenti dall’imposta) prevede: “Sono esenti dall’imposta: … 8-bis) le cessioni di fabbricati o di porzioni di fabbricato diversi da quelli di cui al numero 8-ter), escluse quelle effettuate dalle imprese costruttrici degli stessi o dalle imprese che vi hanno eseguito, anche tramite imprese appaltatrici, gli interventi di cui all’articolo 31, primo comma, lettere c), d) ed e), della legge 5 agosto 1978, n. 457, entro quattro anni dalla data di ultimazione della costruzione o dell’intervento o anche successivamente nel caso in cui entro tale termine i fabbricati siano stati locati per un periodo non inferiore a quattro anni in attuazione di programmi di edilizia residenziale convenzionata;”
Orbene, nella sentenza impugnata si afferma che “la qualifica di imprenditore del cedente è sempre stata dichiarata dallo stesso venditore alla GE.IM. come fatto derivato dal subentro, a titolo ereditario, nell’attività dell’Albergo M. e documentata, anche dalla ricorrente attraverso un’interrogazione dell’anagrafe tributaria.”, e che per poter usufruire della tassazione agevolata (1% di imposta di registro), “il cedente deve essere soggetto I.V.A. esente ai sensi dell’art. 10, comma 1, n. 8 bis, D.P.R. n. 633/1972 e non un privato”, ed ancora che “uno dei presupposti per il riconoscimento delle agevolazioni de quibus è rappresentato dalla non strumentalità del bene venduto, mentre oggetto della vendita è un originario complesso alberghiero”, cioè un “bene strumentale per eccellenza”.
Appare evidente che se tale è il perimetro entro il quale si muove la decisione impugnata, il Giudice di appello, nel vagliare le censure mosse dall’Ufficio alla sentenza di prime cure, favorevole alla contribuente, ha inteso fare proprie le ragioni dell’appellate e, senza incorrere nel denunciato vizio di ultrapetizione, rilevare la decisività della circostanza che oggetto della vendita fosse un fabbricato strumentale, tipologia di immobili non rientrante nelle previsioni dell’art. 10, comma 1, n. 8 bis, D.P.R. n. 633/1972, che per ciò solo non può fruire del regime agevolativo d’imposta volto a favorire le imprese immobiliari e la movimentazione del settore produttivo nel quale esse operano (Cass. n. 29153/2018).
L’ulteriore affermazione, che si legge nella impugnata sentenza, concernente la irrilevanza della circostanza che l’originario “complesso alberghiero, bene strumentale” per definizione, fosse stato trasformato, prima del suo trasferimento alla società GE.IM. s.p.a., svolgente attività di “trading immobiliare”, in un residence, “per poter usufruire delle agevolazioni fiscali”, trattandosi di una condotta elusiva, nella sostanza, si rivela corretta ove si consideri che la preventiva trasformazione del compendio da ricettivo a civile abitazione ad opera del cedente, così come il suo frazionamento in dieci appartamenti, determinato – in tesi – dalla necessità per la parte acquirente di fruire di un finanziamento che l’istituto erogante aveva chiesto fosse garantito da ipoteca su fabbricato avente destinazione residenziale e non alberghiera (ricorso per cassazione pag. 4), non appaiono inerenti all’attività imprenditoriale propriamente svolta dalla parte venditrice, e tradiscono l’intento agevolativo “che presuppone che la ricollocazione sul mercato, entro il triennio, abbia ad oggetto proprio lo stesso immobile acquistato, e nella interezza del suo acquisto” (Cass. n. 29153/2018 cit.).
La strumentalità del compendio immobiliare, rilevante ai fini tributari, è stata accertata dal giudice di appello con valutazione non sindacabile in questa sede, basata sulla circostanza, ritenuta all’uopo sintomatica, che la preventiva trasformazione dello stesso fosse iniziativa del cedente volta a ricondurre l’operazione, destinata essenzialmente a produrre reddito, tra quelle che beneficiano del regime di esenzione da IVA, per applicare l’imposta di registro in misura agevolata e quella ipocatastale in misura fissa.
Pertanto, è la sopra rilevata assenza dei presupposti richiesti per beneficiare dell’agevolazione di cui si discute che costituisce la effettiva ratio decidendi della sentenza impugnata, il che rende ininfluente l’ulteriore argomentazione del giudice di appello afferente la natura elusiva dell’operazione, sicché vale richiamare il principio, affermato da questa Corte, secondo cui “In sede di legittimità sono inammissibili, per difetto di interesse, le censure rivolte avverso argomentazioni contenute nella motivazione della sentenza impugnata e svolte “ad abundantiam” o costituenti “obiter dieta”, poiché esse, in quanto prive di effetti giuridici, non determinano alcuna influenza sul dispositivo della decisione.” (Cass. n. 22380/2014).
Al rigetto del ricorso segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 4.000,00 per compensi, oltre rimborso spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto dei presupposti dell’obbligo, per la parte ricorrente, di versare una somma pari al contributo unificato già versato all’atto della proposizione dell’impugnazione.
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