CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 09 settembre 2020, n. 18687
Dichiarazioni rese dalle parti in sede di interrogatorio non formale – Assenza di alcun valore confessorio – Possibile fondamento del convincimento del giudice di merito – Cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali – Vizio non denunciabile con il ricorso per Cassazione
Fatti di causa
Con sentenza 6 giugno 2019, la Corte d’appello di Napoli dichiarava il diritto di M.M. all’inquadramento nel primo livello del CCNL del Commercio per il periodo dal 4 ottobre 2005 al 24 settembre 2006 e nel livello Quadro del medesimo CCNL per il periodo successivo al 25 settembre 2006, condannando A. (A.L.S.) s.p.a. al pagamento, in suo favore a titolo di differenze retributive, della somma di € 20.125,72 oltre accessori: così riformando la sentenza di primo grado, che aveva invece rigettato le domande del lavoratore.
In esito a critica ed argomentata valutazione delle risultanze istruttorie, la Corte territoriale riteneva le mansioni svolte dal lavoratore (di Ispettore Generale, per incarico aggiuntivo ricevuto con ordine di servizio n. 46 del 4 ottobre 2005, nel primo periodo oggetto di rivendicazione; di consulente giuridico per tutte le vicende contrattuali e i processi aziendali più rilevanti, nel secondo) riconducibili a quelle previste dalle declaratorie dei livelli di inquadramento richiesti e pertanto la fondatezza delle sue domande.
Con atto notificato 4 ottobre 2019 la società ricorreva per cassazione con tre motivi, illustrati da memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c., cui il lavoratore resisteva con controricorso.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 434 c.p.c., per non avere la Corte territoriale ritenuto l’inammissibilità, pure eccepita dalla società datrice nella sua memoria difensiva, dell’appello del lavoratore, in quanto sviluppato in un unico corpo denominato “fatto e diritto”, con inizio a pg. 2 e fine a pgg. 34 e 35, con evidente commistione di contenuti diversi e pertanto in assenza di una specifica indicazione dei capi di sentenza impugnati, impossibilità di distinzione della parte destruens né construens, nonché di indicazione delle norme di legge denunciate di violazione o falsa applicazione.
2. Esso è inammissibile.
2.1. In via di premessa, occorre ribadire che, quando con il ricorso per cassazione venga denunciato un vizio attinente all’applicazione dell’art. 342 c.p.c. in ordine alla specificità dei motivi di appello, il giudice di legittimità non deve limitare la propria cognizione all’esame della sufficienza e logicità della motivazione con cui il giudice di merito abbia vagliato la questione, ma è investito del potere di esaminare direttamente gli atti e i documenti sui quali il ricorso si fondi, restando fermo che l’inammissibilità dell’appello per difetto di specificità dei motivi è legittimamente dichiarata solo allorché l’incertezza investa l’intero contenuto dell’atto (Cass. 10 settembre 2012, n. 15071; Cass. 28 novembre 2014, n. 25308).
2.2. La società ricorrente ha omesso di trascrivere l’atto d’appello oggetto di doglianza, neppure in via riassuntiva per le parti più significative e nemmeno la sentenza di Tribunale impugnata, così da precludere l’esercizio del potere di esame di questo giudice del fatto processuale: in tal modo violando il principio di specificità, prescritto a pena di inammissibilità dall’art. 366, primo comma, n. 4 e n. 6 c.p.c., da rispettare anche qualora la Corte di cassazione esamini direttamente gli atti di causa (Cass. 23 gennaio 2004, n. 1170; Cass. 30 settembre 2015, n. 19410; Cass. 2 febbraio 2017, n. 2771).
3. Con il secondo motivo, la ricorrente deduce omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, quale il contenuto delle dichiarazioni rese dallo stesso lavoratore in sede di libero interrogatorio, avendo la Corte territoriale pure travisato ed erroneamente interpretato, non tenendone conto, le altre risultanze istruttorie, tanto documentali quanto orali (deposizioni dei testi I. e L.), così riconoscendogli livelli di inquadramento non corrispondenti alle mansioni effettivamente svolte, prive di autonomia e di responsabilità decisionale.
4. Con il terzo, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2103 c.c., in relazione agli artt. 97 e 104 CCNL per dipendenti da aziende del terziario, distribuzione e servizi del 2 luglio 2004, per avere la Corte erroneamente ricondotto le mansioni del lavoratore, così come accertate, in ognuno dei due periodi in questione alle declaratorie del CCNL, in difetto dei requisiti di alto contenuto professionale, connotato da discrezionalità decisionale e responsabilità gestionale, come declinati nei livelli di inquadramento rivendicati.
5. Essi, congiuntamente esaminabili per ragioni di stretta connessione, sono infondati.
5.1. La nuova formulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c. consente di denunciare in sede di legittimità, oltre all’anomalia motivazionale, solo il vizio specifico relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che sia stato oggetto di discussione tra le parti ed abbia carattere decisivo: con la conseguenza che il ricorrente non può limitarsi a denunciare l’omesso esame di elementi istruttori, ma deve indicare l’esistenza del suddetto fatto, il cui esame sia stato omesso, il dato, testuale o extratestuale, da cui esso risulti, il “come” e il “quando” esso sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua decisività (Cass. s.u. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. 26 giugno 2015, n. 13189; Cass. 21 ottobre 2015, n. 21439; Cass. 23 marzo 2017, n. 7472; Cass. 12 ottobre 2017, n. 23940).
Le dichiarazioni rese dalle parti in sede di interrogatorio non formale attengono invece al diverso piano di valutazione della prova, in quanto, pur se prive di alcun valore confessorio per la finalità del mezzo di semplice chiarimento dei termini della controversia, ben possono costituire il fondamento del convincimento del giudice di merito, al quale è riservata la valutazione, non censurabile in sede di legittimità, se congruamente e ragionevolmente motivata, della loro concludenza e attendibilità (Cass. 29 dicembre 2014, n. 27407).
D’altro canto, il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c. (che attribuisce rilievo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e presenti carattere decisivo per il giudizio), né in quello del precedente n. 4, che, per il tramite dell’art. 132, n. 4 c.p.c., dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante (Cass. 10 giugno 2016, n. 11892; Cass. 26 settembre 2018, n. 23153).
Sicché, alla luce dei limiti devolutivi illustrati, deve essere esclusa la sussistenza del vizio motivo denunciato.
5.2. Ma neppure ricorre la violazione delle norme di diritto denunciata, posto che, qualora la contrattazione collettiva preveda, nel disciplinare la classificazione dei lavoratori, sia le categorie o i livelli mediante declaratorie astratte e generali, sia distinti e specifici profili professionali, l’indagine per determinare la qualifica spettante al lavoratore non va effettuata sulla base di una comparazione con le mansioni svolte da altri lavoratori e con l’inquadramento a costoro attribuito, esaurendosi invece nel verificare la corrispondenza delle mansioni in concreto svolte dal lavoratore a quelle di un determinato profilo professionale indicato dalla stessa contrattazione collettiva come rientrante in una particolare categoria, secondo il cd. criterio “trifasico” nel procedimento logico-giuridico diretto alla determinazione dell’inquadramento del lavoratore (Cass. 27 settembre 2010, n. 20272; Cass. 28 aprile 2015, n. 8589; Cass. 27 settembre 2016, n. 18943). E il relativo accertamento costituisce un giudizio di fatto, incensurabile in sede di legittimità ove correttamente e congruamente argomentato (Cass. 7 luglio 2004, n. 12513; Cass. 4 marzo 2019, n. 6270).
5.3. Nel caso di specie, la Corte territoriale ha correttamente applicato il suddetto criterio ai fini di qualificazione delle mansioni del lavoratore (di Ispettore Generale, per incarico aggiuntivo ricevuto con ordine di servizio n. 46 del 4 ottobre 2005, nel primo periodo oggetto di rivendicazione; di consulente giuridico per tutte le vicende contrattuali e i processi aziendali più rilevanti, nel secondo), accertando la loro corrispondenza alle caratteristiche proprie delle declaratorie degli artt. 97 e 104 del CCNL, in conformità delle caratteristiche loro proprie (così in particolare al secondo capoverso di pg. 4 e al terzo di pg. 9 della sentenza).
5.4. Entrambi i motivi si risolvono in una sostanziale contestazione dell’interpretazione e della valutazione del materiale probatorio, il cui controllo di attendibilità e di concludenza, nella scelta, tra le risultanze probatorie, di quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione e alla formazione del convincimento, è riservato al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità (Cass. 10 giugno 2014, n. 13054; Cass. 8 agosto 2019, n. 21187, con particolare riguardo al “peso probatorio” di alcune testimonianze rispetto ad altre). Non può allora il ricorrente rimettere in discussione l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sé coerente, ad esso contrapponendone uno difforme, atteso che l’apprezzamento dei fatti e delle prove è sottratto al sindacato di legittimità, dal momento che, nell’ambito di quest’ultimo, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice di merito (Cass. 6 aprile 2011, n. 7921; Cass. 7 aprile 2017, n. 9097).
6. Dalle superiori argomentazioni discende pertanto il rigetto del ricorso, con la regolazione delle spese del giudizio secondo il regime di soccombenza e la distrazione al difensore anticipatario, secondo la sua richiesta, nonché il raddoppio del contributo unificato, ove spettante nella ricorrenza dei presupposti processuali (conformemente alle indicazioni di Cass. s.u. 20 settembre 2019, n. 23535).
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna la società alla rifusione, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio, che liquida in € 200,00 e € 5.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso per spese generali 15% e accessori di legge, con distrazione al difensore anticipatario.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13, se dovuto.
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