CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 10 luglio 2020, n. 14806
Attività professionale – Ingegnere – Iscrizione ad Inarcassa – Presupposti – Requisiti della continuità dell’attività professionale
Fatti di causa
1. La Corte d’appello di Roma confermava la sentenza del Tribunale della stessa città che aveva rigettato la domanda proposta da F.G. volta a sentir dichiarare l’illegittimità del provvedimento d’iscrizione d’ufficio operata da Inarcassa per gli anni dal 2002 al 2007 e, conseguentemente, la non debenza dei relativi contributi, oltre a interessi e sanzioni, ed aveva accolto la domanda riconvenzionale svolta dalla Cassa e condannato il ricorrente al pagamento di € 31.498,85 a titolo di contributi soggettivi, di maternità e sanzioni e al versamento del contributo integrativo sulla sorte di € 2.492,31.
2.1 contributi riguardavano il periodo in cui ring. F.G., iscritto all’albo degli ingegneri dal 1959 al marzo 2007, pensionato INPDAI dal 1993 e titolare di partita IVA dal 19.5.1994, aveva svolto attività professionale a favore della società R.R. s.p.a., società di ingegneria riconducibile al Comune di Roma che svolge attività di progettazione, direzione lavori, anche attinenti alla sicurezza dei cantieri, espropriazioni, studi di fattibilità.
3. La Corte riteneva che fosse corretta l’iscrizione ad Inarcassa in quanto l’attività svolta nel periodo in questione, quale risultante dai contratti di collaborazione, era obiettivamente riconducibile alla professionalità dell’ingegnere, benché non necessariamente riservata per legge alla professione medesima, e che la continuità risultava dalla molteplicità degli incarichi ricevuti nell’arco temporale, dall’entità del reddito percepito e dal volume d’affari.
4. Per la cassazione della sentenza F.G. ha proposto ricorso, affidato a due motivi, cui Inarcassa ha resistito con controricorso e memoria ex art. 378 c.p.c..
Ragioni della decisione
5. Come primo motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione di norme di diritto nonché l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, ovvero sull’esistenza dei requisiti della continuità e dello svolgimento di attività di ingegnere per l’iscrizione d’ufficio ad Inarcassa. Lamenta che la Corte territoriale non abbia adeguatamente accertato tali circostanze e non abbia ammesso le prove testimoniali che in proposito erano state articolate, avvalendosi del contenuto dei contratti, meramente indicativo dei compiti affidati.
6. Il motivo è infondato.
La Corte territoriale ha operato l’accertamento fattuale che il ricorrente assume pretermesso, desumendo l’attività svolta dai contratti di collaborazione stipulati con R.R. Spa, che il G. – secondo quanto riferisce – non aveva negato di avere svolto; ha inoltre desunto la continuità dalla molteplicità degli incarichi ricevuti nell’arco temporale, dall’entità del reddito percepito e dal volume di affari.
7. Il motivo, nella parte in cui critica l’accertamento fattuale operato dal giudice di merito, è inammissibile in quanto si colloca al di fuori dei limiti consentiti dall’art. 360 n. 5 c.p.c., nella formulazione introdotta dall’art. 54 del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, che configura un vizio specifico denunciabile per cassazione, costituito dall’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (e cioè che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia) (Cass. S.U 07/04/2014, n. 8053 e 8054).
8. Né decisive in senso contrario sarebbero state le circostanze fattuali oggetto delle prove testimoniali dedotte, la cui capitolazione è stata ritrascritta a pg. 3 del ricorso, che non attengono al contenuto delle attività effettivamente svolte dall’ing. G.
9. Sotto il profilo della denunciata violazione di legge, i cui contorni non risultano peraltro illustrati nel corpo del motivo, basta qui rilevare che la Corte territoriale si è attenuta al principio, già affermato da questa Corte e cui occorre dare continuità, secondo il quale l’imponibile contributivo in tema di previdenza di ingegneri e architetti va determinato alla stregua dell’oggettiva riconducibilità alla professione dell’attività concreta, ancorché questa non sia riservata per legge alla professione medesima, rilevando che le cognizioni tecniche di cui dispone il professionista influiscano sull’esercizio dell’attività. La limitazione dell’imponibile contributivo ai soli redditi da attività professionali tipiche non trova difatti fondamento nell’art. 7 della l. n. 1395 del 1923, né negli artt. 51, 52 e 53 del r.d. n. 2537 del 1925, che riguardano soltanto la ripartizione di competenze tra ingegneri e architetti, mentre l’art. 21 della l. n. 6 del 1981 stabilisce unicamente che l’iscrizione alla Cassa è obbligatoria per tutti gli ingegneri e gli architetti che esercitano la libera professione con carattere di continuità (Cass. 01/08/2018, n. 20389, Cass. 08/05/2017, n. 11161, Cass. 29/08/2012, n. 14684).
10. Si è dunque chiarito che «nel concetto in questione deve ritenersi compreso, oltre all’espletamento delle prestazioni tipicamente professionali (ossia delle attività riservate agli iscritti negli appositi albi) anche l’esercizio di attività che, pur non professionalmente tipiche, presentino, tuttavia un “nesso” con l’attività professionale strettamente intesa, in quanto richiedono le stesse competenze tecniche di cui il professionista ordinariamente si avvale nell’esercizio dell’attività professionale e nel cui svolgimento, quindi, mette a frutto (anche) la specifica cultura che gli deriva dalla formazione tipo logicamente propria della sua professione», evidenziandosi come tale interpretazione, valida per tutte le categorie professionali – e che si traduce nell’esclusione della sussistenza dell’obbligo contributivo solamente nel caso in cui non sia, in concreto, ravvisabile un intreccio tra tipo di attività e conoscenze tipiche del professionista – sia stata suggerita dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 402 del 1991, resa a proposito del contributo integrativo dovuto dagli avvocati e procuratori iscritti alla Cassa di previdenza ai sensi della L. n. 576 dei 1980, art. 11, comma 1 e nella quale si è esplicitamente affermato che il prelievo contributivo in parola è collegato all’esercizio professionale e che per tale deve intendersi anche la prestazione di attività riconducibili, per loro intrinseca connessione, ai contenuti dell’attività propria della libera professione.
11. Come secondo motivo il ricorrente deduce l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in relazione alla liquidazione delle spese processuali e lamenta di essere stato condannato al pagamento delle spese di lite, malgrado la controvertibilità della questione avente ad oggetto la debenza del contributo integrativo.
12. Il motivo è infondato.
In tema di spese processuali, il sindacato della Corte di cassazione, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le stesse non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa, per cui vi esula, rientrando nel potere discrezionale del giudice di merito, la valutazione dell’opportunità di compensarle in tutto o in parte, sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca che in quella di concorso di altri giusti motivi (v. ex aliis Cass. n. 8421 del 31/03/2017).
13. Segue coerente il rigetto del ricorso.
14. Le spese, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
15. Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.lgs. n. 115 del 2002 si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, ove dovuto.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi € 4.500,00 per compensi professionali, oltre ad € 200,00 per esborsi, rimborso delle spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.lgs. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, ove dovuto.
Si dà atto che il presente provvedimento è sottoscritto dal solo presidente del collegio per impedimento dell’estensore, ai sensi dell’articolo 1 comma 1 lettera a) del d.P.C.M. 8 marzo 2020.
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