CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 14 dicembre 2018, n. 32411
Tributi – Accertamento – PVC – Contenzioso tributario – Dichiarazioni fiscali
Fatti di causa
1. Con avviso di accertamento l’Agenzia delle entrate rettificava la dichiarazione Irpef-Irap della S. s.p.a. relativa all’anno 2003, sulla base di un processo verbale di constatazione. In particolare, nell’avviso di accertamento si allegava che la S. era costituita da tre soci, rispettivamente il padre ed i due figli, che il 30-12-1999 la S. aveva stipulato un contratto preliminare per l’acquisto del 100 % delle quote della P. s.r.I., che anche il capitale sociale di questa seconda società era posseduto dai medesimi tre soci, che il prezzo pattuito era di € 1.239.496,55, che doveva essere versata la caparra di € 723.039,65, che il saldo per € 516.456,89 doveva avvenire al momento della stipulazione del contratto definitivo, entro il 31-12-2004, che erano stati versati ai tre soci della P. € 677.230,17, che si era previsto che il prezzo fosse rivedibile in relazione alle mutazioni di valore della P. rispetto ai valori di bilancio al 31-12-1998, che il 30-6-2003 era stato approvato il bilancio della P. al 31-12-2002, con perdite di esercizio, che il prezzo complessivo dell’acquisto era stato allora ridefinito in € 300.000,00, rispetto ad € 1.239.496,55 del preliminare, che il 17-12-2003 era stato stipulato il contratto definitivo, che, quindi, i soci della P. che avevano ricevuto la somma di € 677.230,00, erano debitori nei confronti della S. della somma eccedente gli € 300.000,00, che la S. aveva deliberato di convertire l’eccedenza della caparra rispetto al prezzo definitivo in finanziamento infruttifero alla P., che la P. si era accollata il debito dei suoi soci nei confronti della S., quantificato in € 330.000,00, che la P., quindi, aveva iscritto un debito verso la S. (a seguito dell’accollo del debito dei soci) ed un credito di pari importo nei confronti dei soci, che il 29-12-2003 la P. aveva deliberato il proprio stato di liquidazione volontaria, che la S. aveva rinunciato al credito, a copertura delle perdite della partecipata, che la rinuncia al credito era stata portata in aumento del valore della partecipazione in P., che, quindi, la S. aveva svalutato integralmente la propria partecipazione in P. ed aveva dedotto la minusvalenza di € 630.000,00 dall’imponibile dichiarato per il 2003.
Pertanto, l’ufficio aveva effettuato due riprese a tassazione, in quanto, da un lato, si rilevava che non era possibile l’integrale deduzione della minusvalenza su partecipazioni per € 300.000,00 nell’esercizio del 2003, dovendosi effettuare la deduzione in cinque anni ai sensi dell’art. 1 comma 1 lettera b del d.l. 209/2002, e dall’altro, si evidenziava la condotta elusiva posta in essere in violazione dell’art. 37 bis del d.p.r. n. 600 del 1973, con riferimento alla deduzione della ulteriore quota di € 330.000,00, derivante dall’accollo alla P. dei debiti dei soci verso S. per il rimborso della caparra, dalla conversione del credito S. in finanziamento infruttifero, dalla rinuncia al credito e dalla successiva messa in liquidazione della P., essendo tale operazione priva di ragioni economiche.
2. La Commissione tributaria provinciale rigettava il ricorso presentato dalla società S., anche perchè il bilancio della P. s.r.l. presentava perdite già nel 1999.
3. Avverso tale sentenza proponeva appello la società. In particolare, si evidenziava che, con riferimento alla prima ripresa a tassazione, la normativa doveva essere interpretata secondo i principi civilistici, sicchè era possibile procedere alla svalutazione della partecipazione in caso di “durevole diminuzione” del valore. In relazione alla seconda ripresa a tassazione, si rilevava che le valide ragioni economiche erano rinvenibili nella necessità della S. di non perdere il patrimonio di P. rappresentato dall’insieme di formule, ricette e Know How produttivo, dalla esigenza di salvaguardare l’immagine e la solvibilità del “gruppo” societario, dalla richiesta delle banche di una partecipazione al capitale della P. per mantenere gli affidamenti già concessi ad entrambe le società.
4. La Commissione tributaria regionale delle Lombardia accoglieva l’appello proposto dalla società per le due riprese a tassazione, confermando, invece, per il resto, la sentenza impugnata. In primo luogo, a fonte della definitività della perdita, appariva priva di senso una “spalmatura” della perdita in cinque anni ai soli fini fiscali. In secondo luogo, sussistevano le valide ragioni economiche tali da giustificare il finanziamento alla P..
5. Avverso tale sentenza proponeva ricorso per Cassazione l’Agenzia delle entrate.
6. L’intimata società non notificava controricorso.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo di impugnazione l’Agenzia delle entrate deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 1, comma 1, lettera b del d.l. 24-9-2002 n. 209, convertito in legge 22-11-2002, n. 265 e dell’art. 12 disp. prel. c.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., in quanto il contenuto dell’art. 1 del d.l. 209/2002 è chiaro nell’indicare le modalità di svalutazione delle partecipazioni.
1.1. Tale motivo è fondato.
Invero, l’art. 1, comma 1, lettera b, del d.l. 24-9-2002, n. 209 prevede espressamente che “ai soli fini fiscali, le minusvalenze non realizzate relative a partecipazioni che costituiscono immobilizzazioni finanziarie sono deducibili in quote costanti nell’esercizio in cui sono state iscritte e nei quattro anni successivi”.
In particolare, l’art. 66 d.p.r. 917 del 1986, nella versione ratione temporis vigente, prevede all’art. 66 (minusvalenze patrimoniali, sopravvenienze passive e perdite), comma 1, che “le minusvalenze dei beni relativi all’impresa.. .sono deducibili se sono realizzate ai sensi delle lettere a) e b) del primo comma e del quinto comma dell’art. 54”.
L’art. 54 comma primo del d.p.r. 917 del 1986, vigente ratione temporis, dispone che “Le plusvalenze dei beni relativi all’impresa, diversi da quelli indicati nel primo comma dell’art. 53, concorrono a formale il reddito: a) se sono realizzate mediante cessione a titolo oneroso; b) se sono realizzate mediante il risarcimento, anche in forma assicurativa, per la perdita o il danneggiamento dei beni”.
Pertanto, la “realizzazione” delle plusvalenze (e delle minusvalenze come nel caso in esame), anche relative alle immobilizzazioni finanziarie, può avvenire o con la cessione a titolo oneroso oppure attraverso il risarcimento.
Al contrario, l’art. 1 comma 1 lettera b del d.l. 209/2000 detta una disciplina in deroga al regime civilistico, prevedendo che per le minusvalenze “non realizzate” relative a “partecipazioni che costituiscono immobilizzazioni finanziarie” non può procedersi alla deduzione in un unico esercizio, ma “sono deducibili in quote costanti nell’esercizio in cui sono state iscritte e nei quattro anni successivi”.
Pertanto, in caso di liquidazione volontaria della società, si rileva che la mera apertura della procedura non consente di accertare il valore a cui i beni saranno ceduti, sicchè non è possibile acclarare con certezza l’esistenza e l’entità della perdita di valore della partecipazione. Solo con la chiusura della procedura di liquidazione volontaria è possibile conoscere se vi è stata la perdita e l’importo della stessa, considerando come “realizzata” la minusvalenza, anche in base a quanto riportato dalla circolare della Agenzia delle entrate n. 7/E del 2002 (punto 13 “Le minusvalenze derivanti dal fallimento o dalla liquidazione volontaria della partecipata si considerano realizzate, solo al momento della chiusura della procedura di fallimento, ovvero alla chiusura della procedura di liquidazione della società”).
Nè può trovare applicazione, in presenza della specifica disposizione fiscale menzionata, il principio contabile nazionale n. 20, paragrafo 6.2. (La svalutazione rispetto al costo d’acquisto: la perdita durevole di valore), come chiesto dalla società, in cui si dispone che costo non può essere mantenuto, in conformità a quanto dispone l’art. 2426 punto 3, se il titolo alla data di chiusura dell’esercizio risulta durevolmente di valore inferiore al valore di costo… .la riduzione di valore rispetto al costo deve essere iscritta.. .in conto economico nel gruppo D) rettifiche di valore di attività finanziarie, punto 19, svalutazioni, voce b, di immobilizzazioni finanziarie che non costituiscono partecipazioni. L’anzidetta rettifica di valore deve essere interamente imputata all’esercizio in cui è accertata; non può perciò essere differita agli esercizi successivi che intercorrono fino alla scadenza del titolo o del suo prevedibile realizzo”.
Invero, l’art. 1 comma 1 d.l. 209/2000 è una norma speciale, che riguarda solo i profili fiscali (“ai soli fini fiscali”) e si distingue, quindi, dalle valutazioni delle immobilizzazioni finanziarie ai fini civilistici.
2. Con il secondo motivo di impugnazione la ricorrente Agenzia delle entrate deduce la violazione e falsa applicazione degli articoli 37 bis comma 1 d.p.r. n. 600 del 1973, 2697 c.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., nonché l’omessa o insufficiente motivazione su punti di fatto decisivi in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c.. Per la ricorrente l’Ufficio ha prodotto gli elementi di prova dai quali emerge che l’operazione è stata posta in essere senza valide ragioni economiche, mentre la società non ha provato che le valide ragioni economiche sussistevano. La Commissione regionale non ha tenuto conto degli elementi di fatto addotti dall’Agenzia, fondati sull’assenza di motivazione per l’accollo del debito dei soci da parte della P. nei confronti della S., per la trasformazione del nuovo credito in finanziamento alla società partecipata, della rinuncia al credito e della successiva messa in liquidazione.
2.1.Tale motivo è infondato.
Invero, la Commissione tributaria regionale ha fornito una adeguata e sufficiente motivazione in ordine alle valide ragioni economiche poste a base del finanziamento erogato dalla partecipante, nonché della rinuncia al credito, con la successiva messa in liquidazione della partecipata.
In particolare, si legge in motivazione che “è innegabile infatti che la vita della società controllata consentiva al gruppo di non perdere il patrimonio della P. in termini di marchi, ricette ed in generale di Know how produttivo.
Ne avrebbe risentito in ogni caso l’immagine del gruppo e sarebbero venute meno le garanzie bancarie a favore dell’intero gruppo. L’operazione contestata dall’Amministrazione finanziaria consentì di ricapitalizzare la società controllata tenendola in vita quel tanto necessario per il salvataggio di un patrimonio societario importante ai fini della vita di un intero gruppo industriale”.
Pertanto, in motivazione si è dato conto delle valide ragioni economiche proprie dell’intero gruppo societario, precisandosi anche che, in tal modo, sarebbe stati conservati il Know How ed i marchi della P..
Inoltre, l’elusione di imposta e la disciplina di cui all’art. 37 bis d.p.r. 600 del 1973 si modulano diversamente in presenza di un gruppo di imprese.
Si affermato, infatti, in sede di legittimità che, in materia tributaria, il divieto di abuso del diritto si traduce in un principio generale antielusivo, che preclude al contribuente il conseguimento di vantaggi fiscali ottenuti mediante l’uso distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un’agevolazione o un risparmio di imposta, in difetto di ragioni economiche apprezzabili, che giustifichino l’operazione, diverse dalla mera aspettativa di quei benefici; ne consegue che il carattere abusivo va escluso quando sia individuabile una compresenza, non marginale, di ragioni extrafiscali, che non necessariamente si identificano in una redditività immediata, potendo consistere in esigenze di natura organizzativa ed in un miglioramento strutturale e funzionale dell’azienda – nella specie, in applicazione dell’enunciato principio, la S.C. ha ritenuto inadeguatamente motivata l’esclusione delle valide ragioni economiche dell’acquisto, da parte della contribuente, delle azioni di una società estera, benché rientrante in più ampio progetto di riorganizzazione strutturale e funzionale di un gruppo societario di cui la prima era “capogruppo” (Cass.Civ., 26 febbraio 2014, n. 4604).
Sempre sul tema, la S.C. ha negato potesse essere riconosciuto il carattere abusivo, ai sensi dell’art. 37 bis d.p.r. 600 del 1973, di una complessa operazione di trasferimento di un pacchetto azionario di una società facente capo ad un gruppo multinazionale ad altra società del gruppo, con l’assunzione di notevoli impegni economici per il finanziamento dell’operazione e con conseguente riduzione del carico fiscale, solo perché lo stesso risultato economico avrebbe potuto raggiungersi attraverso un’operazione di fusione, essendo peraltro non contestate dall’amministrazione finanziaria le necessità organizzative volte ad una gestione unitaria di uno dei settori di attività del gruppo (Cass.Civ., 21 gennaio 2011, n. 1372).
Nè vi è stata la asserita violazione di legge, in quanto la società ha fornito la prova della sussistenza delle valide ragioni economiche, nel pieno rispetto dell’art. 37 d.p.r. n. 600 del 1973.
3. La sentenza impugnata deve, quindi, essere cassata in accoglimento del primo motivo di impugnazione, con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, che provvederà anche sulle spese del giudizio.
P.Q.M.
Accoglie il primo motivo di impugnazione; rigetta il secondo motivo; cassa, in relazione al primo motivo, la sentenza impugnata con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, che provvederà anche sulle spese del giudizio.
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