CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 15 novembre 2021, n. 34424
Omesso versamento contributi previdenziali – Cartella esattoriale – Esercizio provvisorio dell’impresa fallita – Crediti maturati nel corso dell’esercizio provvisorio
Fatti di causa
Con sentenza depositata il 24.8.2015, la Corte d’appello di Bari ha confermato la pronuncia di primo grado che aveva accolto l’opposizione proposta da F.C. s.p.a. avverso la cartella esattoriale con cui gli era stato ingiunto il pagamento di contributi previdenziali relativi al periodo 2004-2006, in cui era stato autorizzato l’esercizio provvisorio dell’impresa fallita.
La Corte, in particolare, ha rigettato i motivi di gravame proposti dalla società concessionaria dei servizi di riscossione, che concernevano rispettivamente il vizio di ultrapetizione, per averla il giudice di prime cure condannata alle spese, la violazione dell’art. 51, l. fall., per non avere detto giudice ritenuto che l’emissione della cartella costituisse attività obbligata, e il proprio difetto di legittimazione passiva, su cui invece il Tribunale non aveva pronunciato, e inoltre ha ribadito l’assunto del primo giudice secondo cui anche i crediti iscritti a ruolo dovevano esser fatti valere nei confronti dell’impresa fallita mediante l’iter procedurale prescritto per gli altri crediti dagli artt. 92 ss., l. fall., ossia mediante domanda di ammissione al passivo, non essendo consentite azioni esecutive individuali.
Avverso tali statuizioni E.S. s.p.a. ha proposto ricorso per cassazione, deducendo un motivo di censura. La Curatela del F.C. s.p.a. ha resistito con controricorso. L’INPS, intimato per litis denuntiatio, ha depositato delega in calce al ricorso notificatogli.
Il Pubblico ministero ha depositato conclusioni scritte.
Ragioni della decisione
Con l’unico motivo di censura, la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 51 e 111, l. fall., nella formulazione vigente ratione temporis, in relazione all’art. 150, d.lgs. n. 5/2006, per avere la Corte di merito ritenuto, come già il primo giudice, che anche anteriormente alla modifica apportata all’art. 51, l. fall., da parte del d.lgs. n. 5/2006 (e applicabile ai fallimenti intervenuti a seguito di domande presentate dopo la sua entrata in vigore), l’obbligo di rispettare la procedura concorsuale sussistesse pure per i crediti maturati nel corso dell’esercizio provvisorio (c.d. crediti prededucibili) di cui all’art. 111, n. 1, l. fall.- Il motivo, come puntualmente eccepito dalla Curatela controricorrente, è inammissibile.
Risulta dallo stesso ricorso per cassazione (cfr. spec. pagg. 5-6) che le doglianze proposte in appello dall’odierna ricorrente avverso la sentenza di prime cure che aveva accolto l’opposizione della curatela fallimentare non hanno in alcun modo riguardato la statuizione di quel giudice secondo cui anche i crediti prededucibili ex art. 111, n. 1, l. fall., soggiacciono al divieto di intraprendere azioni esecutive individuali previsto dal precedente art. 51: come già accennato nello storico di lite e pianamente riscontrabile nella sentenza impugnata, i motivi di gravame della concessionaria concernevano piuttosto l’estensione nei suoi confronti della condanna alle spese, avversata sul duplice rilievo che la curatela opponente si era piuttosto doluta della formazione del ruolo da parte dell’INPS e che, d’altra parte, una volta iscritta la somma a ruolo, l’emissione della cartella e la successiva notifica al debitore costituivano attività obbligata per legge, e il proprio difetto di legittimazione passiva.
Ciò significa che già al momento dell’instaurazione del giudizio di appello la statuizione del primo giudice concernente l’impossibilità di far valere crediti prededucibili mediante azioni esecutive individuali era passata in cosa giudicata formale; e non può parte ricorrente giovarsi della sua reiterazione ad abundantiam da parte dei giudici di merito («Ad ogni buon fine», esordisce infatti la sentenza impugnata nel ribadire quanto già affermato dal primo giudice: cfr. pag. 3) per essere rimessa in termini rispetto ad un’impugnazione che avrebbe potuto e dovuto effettuare già in appello, essendo consolidato il principio di diritto secondo cui, ai fini della denuncia per cassazione della violazione di norme di diritto, possono essere considerate solo le statuizioni del giudice di appello che abbiano riguardato i motivi e le richieste formulate dall’appellante, dovendosi invece indefettibilmente rilevare da questa Corte la formazione del giudicato interno sulle questioni che abbiano formato oggetto di dibattito in primo grado e della relativa pronunzia e che non siano state ritualmente riproposte dalla parte interessata in sede di gravame (così già Cass. n. 9621 del 1997; più recentemente, nello stesso senso, tra le tante, Cass. nn. 6754 del 2003, 19155 del 2014, 8104 del 2021).
Il ricorso, pertanto, va dichiarato inammissibile, provvedendosi come da dispositivo sulle spese del giudizio di legittimità in favore della sola parte controricorrente, giusta il criterio della soccombenza.
Tenuto conto della declaratoria d’inammissibilità del ricorso, sussistono anche i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in € 12.200,00, di cui € 12.000,00 per compensi, oltre spese generali in misura pari al 15% e accessori di legge, in favore della Curatela controricorrente. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, d.P.R. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13.
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