CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 16 aprile 2018, n. 9318
Demansionamento – Risarcimento del danno professionale e biologico – Eccezione di prescrizione decennale – Dies a quo individuato con riferimento al momento in cui il danno si era manifestato – Condotta datoriale inadempiente – Non illecito istantaneo, ma con effetti permanenti – Prescrizione decorrente dalla cessazione della condotta illecita
Fatti di causa
1. La Corte di appello di Napoli, in parziale riforma della decisione di primo grado la quale, in accoglimento della domanda di M.R.S., ex dipendente della B.R. s.p.a., aveva condannato la datrice di lavoro al risarcimento del danno da demansionamento, quantificato in complessivi € 76.813,00 (di cui € 50.000,00 per danno professionale e € 26.813,00 per danno biologico pari al 13%), ha rideterminato la somma attribuita in complessivi € 39.313,00 (di cui € 12.500,00 per danno professionale e € 26.813,00 per danno biologico);
1.1. Per quel che ancora rileva, il giudice di appello ha confermato il demansionamento sofferto dalla lavoratrice dalla data della reintegra nel posto di lavoro, reintegra conseguente alla declaratoria giudiziale di illegittimità del licenziamento, fino al 22.6.1998, data nella quale la S. era stata assegnata ad un incarico effettivamente equivalente a quello svolto prima del licenziamento; ha quindi accolto, in relazione al denunziato danno professionale, l’eccezione di prescrizione (decennale) sollevata dalla società datrice; pertanto, considerato che il rapporto era assistito da stabilità reale, che il dies a quo andava individuato con riferimento al momento in cui il danno si era manifestato e che tale decorrenza restava ferma anche con riguardo all’eventuale successivo aggravamento salvo che per l’ipotesi di riconducibilità di tale aggravamento ad una causa autonoma dotata di propria efficienza causale (Cass. 11/09/2007 n. 19022), ha dichiarato prescritto il diritto al risarcimento del danno per il periodo antecedente il decennio, decorrente dal 3.5.2005, data della notifica del ricorso di primo grado e proporzionalmente ridotta l’entità del risarcimento a tale titolo attribuito in primo grado; ha tenuto fermo l’importo liquidato in prime cure per danno biologico sul rilievo che le patologie riscontrate dovevano ritenersi insorte, sulla base della consulenza di parte e della certificazione medica allegata, soltanto a partire dal settembre 1997.
2. Per la cassazione della decisione ha proposto ricorso M.R.S. sulla base di due motivi; la parte intimata ha resistito con controricorso.
2.1. Entrambe le parti hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 378 cod. proc. civ..
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso M.R.S. deduce, ai sensi dell’art. 360 comma 1 n. 3 cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 1218, 2087, 2103, 2935 e 2946 cod. civ., censurando la decisione di secondo grado per avere accolto l’eccezione di prescrizione decennale avanzata da controparte. Ribadito che la prescrizione del diritto al risarcimento del danno, in presenza di stabilità reale, decorre nel corso del rapporto solo per i crediti retributivi, sostiene, in sintesi, che in caso di condotta datoriale inadempiente, non istantanea ma, come nel caso di specie, permanente, la prescrizione non decorre dalla data in cui si è verificato il danno bensì dalla cessazione della condotta illecita.
2. Con il secondo motivo deduce, ai sensi dell’art. 360 comma 1 nn. 3 e 5 cod. proc. civ., violazione degli artt. 2103, 2935, 2946 cod. civ. e 115 cod. proc. civ. per avere la sentenza impugnata affermato la equivalenza, con le mansioni svolte al momento del licenziamento, delle mansioni espletate a partire dal giugno 1998, in coincidenza cioè della destinazione della S. all’incarico di Vice Capo di Agenzia. Sotto lo specifico profilo del vizio motivazionale denunzia contraddittorietà di motivazione sul rilievo che la ritenuta equivalenza era ricondotta a una posizione lavorativa – quella di Vice Capo di Agenzia e che già da un punto di vista lessicale, prima ancora che in concreto, era notoriamente sottodimensionata rispetto a quella precedente; denunzia, inoltre, carenza di motivazione per non avere il giudice di appello dato conto della ritenuta equivalenza sulla base del raffronto tra le mansioni svolte al momento del licenziamento e quelle attribuite a partire dal giugno 1998.
3. Il primo motivo di ricorso è fondato.
3.1. Premesso che non è in contestazione l’applicabilità del termine decennale di prescrizione, conforme, del resto, alla consolidata giurisprudenza di legittimità in tema di domanda di risarcimento del danno conseguente all’inadempimento degli obblighi, inerenti al rapporto di lavoro, di tutela delle condizioni di lavoro del dipendente (v. tra 6.5.2013 n. 10414 si osserva che questa Corte, al fine della individuazione del dies a quo di decorrenza del termine prescrizionale, ha distinto tra illecito istantaneo con effetti permanenti – caratterizzato da un punto di vista naturalistico da un’azione che unu actu perficitur, che cioè si esaurisce in un lasso di tempo definito, lasciando peraltro permanere i suoi effetti nel tempo – e illecito permanente nel quale la condotta contra ius si protrae, così protraendo la verificazione dell’evento in ogni momento della durata del danno e della condotta che lo produce (Cass. Sezioni Unite 14/11/2011 n. 23763). In questa prospettiva è stato chiarito che nel primo caso, in base all’art. 2935 cod. civ., la prescrizione decorre dalla data in cui si è verificato il danno, (purché il danneggiato ne sia consapevole e non sussistano impedimenti giuridici a far valere il diritto al risarcimento), mentre nel secondo caso, nella ricorrenza degli stessi presupposti (conoscenza e difetto di impedimenti), la prescrizione della pretesa risarcitoria decorre dalla data di cessazione della condotta illecita (cfr. Cass. Sezioni Unite n. 23763/2011 cit.; Cass. 30/03/2011 n. 7272; Cass. 07/11/2005 n. 21500; Cass. 21/02/2004 n. 3498; Cass. 02/02/2004 n. 6515; Cass. 13/02/1998 n. 1520).
3.2. La sentenza impugnata non ha fatto corretta applicazione dei principi ora richiamati. Posto, infatti, che non è revocabile in dubbio il carattere permanente della condotta datoriale concretatasi nella protratta adibizione della S. a mansioni inferiori a quelle spettanti (sul carattere permanente della condotta datoriale in relazione a fattispecie di demansionamento v., tra le altre, Cass. 19/01/2007 n. 1141), al fine dell’individuazione del dies quo di decorrenza del termine prescrizionale doveva aversi riguardo al momento della cessazione della condotta illecita da parte della società datrice e non, come avvenuto, dalla data del manifestarsi del danno.
3.3. All’accoglimento del motivo segue la cassazione della decisione con rinvio ad altro giudice di secondo grado che si indica nella Corte d’appello di Napoli, in diversa composizione.
4. Il secondo motivo di ricorso presenta plurimi profili di inammissibilità. Innanzitutto esso non è sorretto dalla indispensabile esposizione del fatto processuale con riguardo alle allegazioni e deduzioni delle parti negli scritti difensivi di primo e secondo grado in punto di corrispondenza delle mansioni di Vice Capo Agenzia, alle quali era stata adibita la S. a partire dal 22.6.1998, con quelle svolte al momento del licenziamento dichiarato illegittimo. Ricordato che la sentenza di primo grado è stata impugnata solo dalla società datrice, costituiva onere della odierna ricorrente dimostrare che la questione della “equivalenza”, con riguardo allo specifico profilo ora denunziato, doveva ritenersi ancora controversa tra le parti e non coperta da statuizione divenuta definitiva. Può ancora ulteriormente osservarsi che il motivo in esame, solo formalmente denunzia violazione di norme di diritto in quanto non deduce, come prescritto (cfr., fra le altre, Cass. 10/07/2015 n. 14468; Cass. 03/08/2005 n. 5353), alcuna erronea ricognizione da parte del provvedimento impugnato della fattispecie normativa astratta ma incentra le proprie doglianze esclusivamente sulla ricostruzione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa. Tali censure risultano alquanto generiche sia perché nulla argomentano in ordine alla documentazione richiamata dal giudice di appello in relazione all’incarico di Vice Capo Agenzia sia perché non chiariscono con riferimento agli elementi contenutistici qualificanti le mansioni in comparazione, le ragioni della ritenuta non equivalenza ma si affidano a considerazioni di ordine generale, essenzialmente di tipo lessicale prive di concreti riferimenti alle risultanze di causa.
5. Il regolamento delle spese di lite del giudizio di legittimità è demandato al giudice del rinvio.
P.Q.M.
Rigetta il secondo motivo e accoglie il primo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche ai fini del regolamento delle spese di legittimità, alla Corte d’appello di Napoli in diversa composizione.
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