CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 16 febbraio 2021, n. 4056
Detrazione dell’aliunde perceptum – Retribuzioni percepite dal lavoratore quale insegnante presso scuole pubbliche nel medesimo periodo – Risarcimento del danno – Aliunde perceptum, non costituente oggetto di eccezione in senso stretto – Rilevabilità d’ufficio se le relative circostanze di fatto risultano ritualmente acquisite al processo – Eccezione di detrazione non subordinata alla specifica e tempestiva allegazione della parte
Fatti di causa
1. La Corte di appello di Roma, con sentenza n. 2519/2018, pronunciando sugli appelli riuniti avverso la sentenza definitiva n. 369/2016 emessa dal Tribunale di Frosinone, in parziale accoglimento dell’appello principale proposto da T. P. s.r.I., ha condannato la stessa società al pagamento, in favore dell’appellante incidentale L.F., a titolo risarcitorio, delle retribuzioni maturate dal 17.9.2008 sino al 24.1.2014, oltre accessori ex art. 429 cod. proc. civ., previa detrazione dell’aliunde perceptum, rappresentato da tutte le retribuzioni percepite dal F. quale insegnante di educazione fisica presso scuole pubbliche nel medesimo periodo. Ha rigettato nel resto l’appello principale della T. P. s.r.l. e integralmente l’appello incidentale del F..
2. La sentenza ha riferito, per quanto ancora qui rileva:
– che il ricorso in appello depositato da T. P. s.r.l. aveva ad oggetto la sentenza con cui il Tribunale di Frosinone aveva dichiarato inefficace il licenziamento intimato il 31.5.2008 al F. con ordine di riammissione in servizio e aveva condannato la società al risarcimento del danno in misura pari alle retribuzioni spettanti dal 17.9.2008 fino all’effettiva reintegra;
– che, con precedente sentenza, la Corte di appello di Roma, chiamata a decidere sull’immediata impugnazione della sentenza non definitiva, aveva dichiarato la nullità del contratto a progetto concluso tra le parti in data 14.10.2006 e la sussistenza tra le parti di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato dalla stessa data;
– che il risarcimento del danno doveva essere riconosciuto fino al 24.1.2014, data in cui la società aveva invitato senza esito il F. a riprendere servizio, e che la sua liquidazione, per il periodo dal 17.9.2008 al 24.1.2014, era da parametrare alle retribuzioni perdute con detrazione dell’aliunde perceptum, eccepito dalla società sin dal primo grado e rappresentato da quanto percepito dal F. nello stesso periodo quale insegnate di educazione fisica presso scuole pubbliche;
– che “l’attività svolta dal F. in favore della società è comunque incompatibile con quella di dipendente pubblico ai sensi dell’art. 53 d.lgs. 165/01”;
– che non poteva essere accolta la domanda restitutoria dalla società, non potendosi conoscere l’ammontare del residuo credito del F.;
– che era corretto utilizzare, come aveva fatto il primo giudice, il CCNL di settore come riferimento parametrico della retribuzione adeguata ex art. 36 Cost., con conseguente esclusione di alcune voci rivendicate dal F..
3. Per la cassazione di tale sentenza L.F. ha proposto ricorso affidato a tre motivi, cui ha resistito la T. P. con controricorso.
4. Il ricorrente ha altresì depositato memoria ex art. 378 cod. proc. civ..
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia omesso esame di fatto decisivo (art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ.) nella parte in cui la Corte di appello, in violazione dell’art. 437 cod. proc. civ., ha ritenuto ammissibile l’eccezione di aliunde perceptum, specificata solo in appello, poiché in primo grado era stata formulata un’eccezione generica di attività svolta presso una scuola pubblica.
2. Il motivo è infondato.
3. Il c.d. aliunde perceptum, non costituendo oggetto di eccezione in senso stretto, è rilevabile d’ufficio dal giudice se le relative circostanze di fatto risultano ritualmente acquisite al processo (Cass. n. 30330 del 2019, n. 18093 del 2013 e n. 26828 del 2013). Tenuto conto, dunque, della sua natura di eccezione in senso lato, l’eccezione di detrazione dell’aliunde perceptum non è subordinata alla specifica e tempestiva allegazione della parte ed è ammissibile anche in appello, dovendosi ritenere sufficiente che i fatti risultino documentati ex actis, in quanto il regime delle eccezioni si pone in funzione del valore primario del processo, costituito dalla giustizia della decisione, che resterebbe svisato ove anche le questioni rilevabili d’ufficio fossero subordinate ai limiti preclusivi di allegazione e prova previsti per le eccezioni in senso stretto (Cass. S.U. 10531 del 2013, conf. Cass. n. 4548 del 2014, n. 27998 del 2018)
4. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione dell’art. 53 d.lgs. 165 del 2001 (art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ.) e/o omesso esame di fatto decisivo per il giudizio (art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ.) per avere la Corte di appello ritenuto detraibili, dal risarcimento del danno dovuto per il periodo dal 17.9.2008 al 24.1.2014, le retribuzioni percepite quale dipendente pubblico.
Sostiene il ricorrente che si detrae, dal risarcimento del danno parametrato alle retribuzioni perdute per l’inadempimento datoriale, quanto il lavoratore abbia guadagnato altrove utilizzando il tempo reso libero dal licenziamento secondo il principio della compensatio lucri cum damno. Tuttavia, la compensazione trova applicazione solo se, e nei limiti in cui, sia il danno che l’incremento patrimoniale o comunque il vantaggio siano conseguenza immediata e diretta dallo stesso fatto, il quale abbia in sé l’idoneità a produrre entrambi gli effetti. In altri termini, la riduzione del risarcimento opera solo se e nei limiti in cui quel lavoro sia temporalmente incompatibile con la prosecuzione contestuale della prestazione lavorativa sospesa dal licenziamento. Tale ipotesi non ricorre nel caso in cui l’altro lavoro, produttivo di reddito, opposto in compensazione, sia temporalmente compatibile con la prosecuzione contestuale della prestazione lavorativa.
Sulla base di tali argomenti, sostiene che nel periodo 2006/2008 del contratto di lavoro a progetto, solo ex post ritenuto di lavoro subordinato per effetto del riconoscimento giudiziale, la prestazione lavorativa era stata resa in modo temporalmente compatibile con quella di lavoro a termine resa in favore della pubblica amministrazione.
Con altro ordine di considerazioni sostiene il ricorrente che il divieto posto dall’art. 53 d.lgs. 165 del 2001 (di svolgimento di altra attività lavorativa, non previamente autorizzata, da parte di un dipendente pubblico) è posto nell’interesse della Pubblica Amministrazione e la relativa violazione, pur potendo causare sanzioni disciplinari, non può esimere il datore di lavoro privato dalle conseguenze giuridiche che abbia causato con il proprio inadempimento.
5. Il motivo è inammissibile.
6. In questa sede, in cui si discute del risarcimento del danno relativo al periodo successivo alla cessazione della prestazione lavorativa svolta dal F. a favore di T. P., la questione riguardante la presunta compatibilità nel periodo pregresso tra prestazione di lavoro a progetto e quella che il F. assume di avere reso quale dipendente pubblico nello stesso periodo suppone che il tema (compatibilità del lavoro a progetto e rapporto di lavoro pubblico reso nello stesso periodo) fosse stato già introdotto e trattato in giudizio, mentre nulla risulta dalla sentenza impugnata e quindi la questione è nuova e inammissibile in questa sede. Ne consegue che, non essendovi accertamento in sede di merito circa il presupposto posto a base dell’argomento addotto, nessuna conseguenza può trarsi, neppure a livello presuntivo, circa la non operatività della compensazione per essere distinti il danno prodotto dall’inadempimento datoriale e l’incremento patrimoniale derivante dalla percezione di un’altra retribuzione, in questo caso riferibile ad un rapporto di lavoro pubblico.
7. Trova così applicazione il principio generale per cui le erogazioni patrimoniali commisurate alle mancate retribuzioni, cui è obbligato il datore di lavoro che non proceda al ripristino del rapporto lavorativo, qualificate come risarcitorie, consentono la detraibilità dell’aliunde perceptum che il lavoratore possa avere conseguito svolgendo una qualsiasi attività lucrativa e in tale ambito non può non rientrare la percezione delle retribuzioni di cui si discute.
8. Il riferimento fatto dalla Corte di appello alla incompatibilità di cui all’art. 53 d.lgs. n. 165 del 2001 è da intendere quale argomento logico-giuridico per cui, in difetto di prova contraria, ossia dell’esistenza di situazioni di deroga o di autorizzazione atte a legittimare la prestazione di lavoro privato in capo ad un dipendente pubblico, l’incompatibilità tra i due impieghi è presunta ex lege, in applicazione della regola generale dell’esclusività del servizio pubblico.
9. In relazione a tale passaggio motivazionale il ricorso è del pari inammissibile, poiché non pertinente al decisum.
10.Con il terzo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1206, 1207, 1217 e 1223 cod. civ. (art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ.) e omesso esame di fatto decisivo per il giudizio (art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ.).
Si assume che la detraibilità dell’ aliunde perceptum potrebbe riconoscersi solo per il periodo compreso tra la data da cui il giudice di primo grado ha fatto decorrere il risarcimento (1.9.2008) alla data di pubblicazione del dispositivo della sentenza parziale del medesimo Tribunale (21.12.2010), poiché le retribuzioni maturate successivamente a tale data – e precisamente quelle maturate dall’offerta della prestazione lavorativa del 29.12.2010, ribadita il 7.2.2011 – hanno natura retributiva e non risarcitoria, attenendo all’adempimento dell’obbligazione nascente dal sinallagma contrattuale.
11. Anche tale motivo è inammissibile.
12. Come risulta dalla sentenza impugnata, già la sentenza di primo grado aveva statuito che la condanna della società era a titolo risarcitorio per tutto il periodo corrente dal settembre 2008 fino alla data della reintegrazione in servizio. Non risulta dalla sentenza di appello che fosse stata devoluta in sede di gravame dal F. alcuna questione vedente sul titolo della condanna e neppure sul mutamento del titolo (da risarcitorio a retributivo) successivamente alla pubblicazione del dispositivo della sentenza parziale del 21.12.2010. In conclusione, vi è giudicato interno sulla natura risarcitoria delle retribuzioni riconosciute anche dopo la sentenza parziale del 21.12.2010 e fino al 24.1.2014.
13. Il ricorso va dunque rigettato, con condanna di parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate nella misura indicata in dispositivo per esborsi e compensi professionali, oltre spese forfettarie nella misura del 15 per cento del compenso totale per la prestazione, ai sensi dell’art. 2 del D.M. 10 marzo 2014, n. 55.
14. Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13 (v. Cass. S.U. n. 23535 del 2019 e n. 4315 del 2020).
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in € 5.250,00 per compensi e in € 200,00 per esborsi, oltre 15% per spese generali e accessori di legge.
Ai sensi dell’art.13 comma 1-quater del d.P.R. n.115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 -bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
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