CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 17 ottobre 2018, n. 26021
Licenziamento – Fallimento – Continuazione dell’attività solo presso il retrocedente – Tutela del lavoratore – Corresponsabilità del retrocessionario
Fatti di causa
1. La Corte d’appello di Milano, con sentenza n. 660/2016, ha respinto il gravame contro la sentenza del Tribunale della stessa sede con la quale l’I.N.P.S., quale gestore del Fondo di Garanzia per la tutela contro l’insolvenza dei datori di lavoro, era stato condannato al pagamento in favore di I.D. del t.f.r. e di quanto dovuto per le ultime tre mensilità di retribuzione.
2. In fatto è accaduto che il D., già dipendente della A. s.r.l. fin dal 2003, fosse transitato ex art. 2112 c.c., tra il 2009 e 2010, alle dipendenze di O.T. s.r.I., resasi affittuaria dell’azienda; il rapporto di lavoro con l’affittuaria era poi cessato il 2.10.2010 ed egli era stato retrocesso presso l’originario datore, nel frattempo fallito, la cui curatela lo aveva licenziato il 3.10.2010. Il D. aveva quindi insinuato al passivo del fallimento A. l’intero credito, anche per le quote di t.f.r. maturate presso l’affittuaria, sul presupposto che la società fallita ne rispondesse comunque quale coobbligata in solido, chiedendo all’I.N.P.S. il pagamento di quanto dovuto, a copertura dell’insolvenza, in via previdenziale.
3. La Corte d’Appello di Milano, nel respingere l’appello, da un primo punto di vista confermava che, con la retrocessione dell’azienda, il rapporto di lavoro, seppure per un solo giorno, era tornato in capo alla società fallita; d’altra parte, secondo l’orientamento giurisprudenziale fino ad allora invalso, la (retro) cessionaria era unica debitrice del t.f.r., mentre le ultime tre mensilità riguardavano ancora il rapporto con l’affittante fallita, sicché di tutti gli importi di cui sopra rispondeva l’I.N.P.S., secondo il sistema previdenziale facente capo al c.d. Fondo di Garanzia.
4. L’I.N.P.S. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di due motivi, poi illustrati da memoria e resistiti con controricorso del D.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso l’I.N.P.S. afferma la violazione degli artt. 2, co. 1, 2, 4, 7 e 8 della L. 297/1982 e degli artt. 1, co. 1, e 2 del d. Igs. 80/1992, con riferimento all’art. 2112 c.c., per non avere la Corte territoriale considerato che solo la prosecuzione dell’attività presso il retrocessionario avrebbe determinato il trasferimento del rapporto di lavoro e comportato l’applicazione dell’art. 2112 c.c. al fine di ritenere il Fallimento tenuto a titolo di t.f.r. e degli altri crediti di lavoro.
Con il secondo motivo l’ente previdenziale assume invece che vi sarebbe stata violazione delle medesime norme di cui sopra, per non essersi ritenuto che il lavoratore fosse tenuto, prima di accedere alla tutela previdenziale, ad escutere coloro che, come nel caso di specie era per il retrocedente dell’azienda, risultassero coobbligati per i debiti lavoristici potenzialmente coperti dal Fondo di Garanzia.
2. I motivi sono infondati.
3. Preliminarmente va detto che presso questa Corte è recentemente maturato l’orientamento, qui da applicare, secondo cui l’ammissione al passivo della domanda del lavoratore non esclude che, almeno rispetto all’an della autonoma prestazione previdenziale, l’I.N.P.S. possa contestare la ricorrenza dei presupposti del diritto di credito lavoristico alla tutela del quale è preposto il Fondo di Garanzia. Pertanto, nonostante l’avvenuta ammissione al passivo del credito per t.f.r., mantiene rilevanza quanto sostenuto dall’ente previdenziale con il primo motivo di ricorso, secondo il quale non sussisterebbero i presupposti per il sorgere del diritto al t.f.r. presso la società fallita.
D’altra parte, la prima censura dell’I.N.P.S. non riguarda in sé l’esistenza di una responsabilità solidale in capo al retrocessionario per i debiti maturati presso il retrocedente, ma unicamente il verificarsi della retrocessione dell’azienda e, con essa, del rapporto di lavoro, sicché è solo su quest’ultimo profilo che deve qui decidersi.
4. In proposito, è solo in parte vero quanto sostenuto dall’ente previdenziale, ovverosia che non si può ritenere operante una retrocessione di azienda allorquando il presunto retrocessionario non utilizzi l’azienda in funzione dell’attività di cui essa è strumento. Ciò è stato in effetti affermato, nella versione più completa dell’assunto (Cass. 26 luglio 2011, n. 16255), rispetto all’ipotesi in cui la non prosecuzione dell’attività presso il retrocessionario si accompagni alla continuazione di essa presso il retrocedente, sicché, in tali casi, la retrocessione dell’azienda assume il carattere di mero atto formale ed il rapporto deve ritenersi proseguito (o cessato, in caso di licenziamento) presso il presunto retrocedente. Si tratta quindi di regola che è stata espressa a tutela della posizione del lavoratore, allorquando il ritrasferimento, proprio perché vi è continuazione aziendale da parte dell’apparente retrocessionario e cessazione da parte del retrocedente, si manifesterebbe come sostanzialmente frodatorio del diritto alla prosecuzione del rapporto.
In mancanza di tali specifici elementi, ed in specie della continuazione dell’attività solo presso il retrocedente, non vi è invece ragione di escludere la miglior tutela del lavoratore che deriva dalla corresponsabilità del retrocessionario, in sé riconnessa al ritrasferimento del compendio organizzato aziendale, dovendosi fare quindi piana applicazione dell’art. 2112 c.c., come da principi consolidati (Cass. 16 aprile 2009, n. 9012; Cass. 21 maggio 2002, n. 7458; Cass. 6 marzo 1998 n. 2521; Cass. 20 aprile 1985, n. 2644), a nulla rilevando (Cass. 2644/1985 cit.) il fatto che il retrocessionario, il quale comunque ha fatto fino a quel momento, attraverso l’affitto, utilizzazione di mercato dell’azienda, decida, per ragioni sue proprie, una volta riottenuta l’azienda, l’immediato scioglimento di essa.
D’altra parte l’affermazione della Corte d’Appello, secondo cui il 2 novembre 2010 vi fu retrocessione dell’azienda dalla affittuaria alla curatela del fallimento che ne dismise immediatamente l’esercizio, licenziando il personale, attiene alla ricostruzione di fatto delle circostanze di causa.
Essa pertanto, non essendo stata raggiunta da critiche sotto il profilo del governo e della valutazione delle emergenze istruttorie, resta incontestabile ed attesta che vi fu retrocessione di un’azienda, intesa come ri-trasferimento dei beni organizzati e che fu la curatela, all’uopo già autorizzata dal giudice delegato, a sciogliere l’azienda, rinunciando a proseguire nell’attività di impresa.
Caso diverso sarebbe quello in cui l’azienda risultasse dissolta già presso il retrocedente, il che, facendo venire meno l’universalità organizzata il cui trasferimento è veicolo della trasmissione dei rapporti di lavoro, imporrebbe evidentemente di disconoscere il verificarsi dell’effetto traslativo. Ma sul punto nulla è detto di specifico anche nel ricorso per cassazione.
5. Con il secondo motivo l’I.N.P.S. in sostanza sostiene che, pur quando il credito per t.f.r. maturi presso datore di lavoro insolvente, l’accesso al Fondo di Garanzia resterebbe subordinato alla previa escussione degli eventuali obbligati solidali, quali i precedenti titolari dell’azienda trasferita che siano tenuti, anche solo pro quota, per il medesimo debito.
Nel caso di specie l’esistenza di un obbligazione principale della retrocedente dell’azienda, rispetto alla quota di t.f.r. maturata per il periodo ivi lavorato, non è in discussione.
Tuttavia né la L. 297/1982, né il d.lgs. 82/1990 prevedono in alcun modo un obbligo di preventiva escussione degli eventuali coobbligati, ma tutelano invece in modo immediato e diretto il diritto previdenziale alla copertura del credito da t.f.r., che sia sorto, presso il datore di lavoro insolvente, con la definitiva cessazione del rapporto di lavoro: come è reso palese anche dal fatto che l’art. 2 L. 297 cit. stabilisce che «trascorsi quindici giorni» dal deposito dello stato passivo o dalla pronuncia della sentenza in sede di opposizione ad esso – e quindi dopo una dilazione esclusivamente temporale – il lavoratore possa ottenere a domanda il relativo pagamento.
Essendo stato da tempo superato l’inquadramento dell’obbligazione del Fondo nei termini della solidarietà di esso con il datore di lavoro (Cass. 23 luglio 2012 n. 12852 ed anche nn. 10875, 20675 del 2013; 12971 del 2014) e non risultando previsto alcun altro requisito (beneficio d’ordine; beneficio di escussione), non ha quindi fondamento la tesi sulla natura sussidiaria dell’obbligazione.
D’altra parte, è chiaro che la copertura previdenziale riconnessa all’insolvenza del datore di lavoro non può prescindere da una semplificazione anche sul piano obbligatorio, per la necessità di tendere al massimo, data la natura retributiva dei diritti, ad una contiguità temporale tra il maturare dei crediti e la relativa soddisfazione: sicché non può consentirsi, in mancanza di norma espressa in tal senso, una dilazione della stessa, che la subordini all’esercizio della pretesa verso altri condebitori del credito lavoristico.
L’equilibrio normativo, rispetto alle parti del rapporto previdenziale, è semmai recuperato dal diritto di surroga dell’I.N.P.S. al lavoratore nel passivo fallimentare (art. 2, co. 7, L. 82/1990). Dovendosi altresì considerare la necessità che la curatela curi adeguatamente il recupero, presso l’ex affittuario-retrocedente, nei tempi e modi del caso, di quanto dal medesimo dovuto, al fine di soddisfare in tal modo i propri creditori e quindi anche l’ente previdenziale e potendosi altresì discutere sulla spettanza all’I.N.P.S., ex art. 1203 n. 3 c.c., anche del diritto di surroga verso il retrocedente (di cui è stato pagato, in parte, il debito): ma tutto ciò non è oggetto della presente controversia e quindi nulla va aggiunto in proposito.
6. L’integrale reiezione del ricorso comporta la regolazione secondo soccombenza delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a rifondere alla controricorrente le spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 3.500,00 per compensi ed euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali in misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del d.p.r. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
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