CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 18 giugno 2020, n. 11832
Tributi – ICI – Area edificabile di pertinenza di un fabbricato – Imponibilità
Fatto
P.I. s.p.a. è proprietaria, nel Comune di Peschiera Borromeo di un fabbricato adibito a centro di smistamento della corrispondenza (c.m.p.) e di un’area parzialmente edificabile. L’accatastamento è avvenuto nel 2006. P.I. non aveva mai presentato dichiarazione ICI e versato l’imposta.
Il Comune di Peschiera Borromeo notificava avviso di accertamento relativo ad ICI per il 2001, per l’area fabbricabile (basati sul valore venale in comune commercio come da Delib. della Giunta Comunale n. 114 del 2000). P.I. impugnava detto avviso che veniva accolto dalla CTP di Milano. La CTR della Lombardia con sentenza n. 127/10 rigettava il gravame proposto dal Comune.
Rilevava che dagli atti di causa non si rinvenivano elementi idonei a dimostrare che l’area dedotta in giudizio fosse ancora in parte edificabile, argomentazione che – secondo i giudici di appello,”non era stata provata nella relativa effettività Anche con riguardo all’entità residua di riferimento, pur dando atto che, da un lato la pertinenzialità dell’area non è di ostacolo alla vocazione edificatoria e, dall’altro, che, dell’area medesima, non si può escludere, almeno allo stato degli atti, l’inerente pertinenza al Centro di smistamento postale, non risultando assumere, senza una sua diversa, specifica e documentata qualificazione, rilievo ai fini impositivi”.
Osservava che non doveva ritenersi sufficientemente dimostrata la circostanza che i due avvisi di accertamento lci non comprendessero anche la superficie non coperta.
Sottolineava altresì la pretesa tributaria non poteva ritenersi adeguatamente motivata relativamente all’area controversa stante i vincoli di natura ambientale evidenziati dalla Società e non contestati.
Il Comune di Peschiera Borromeno ricorre per la cassazione della sentenza affidando il suo mezzo a 7 motivi cui resiste con controricorso la società P.I. s.p.a.
Diritto
Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione del principio della corrispondenza fra chiesto e pronunciato (art. 112 c.p.c.) in relazione all’art. 360 nr 4 c.p.c.
Sostiene infatti che la CTR avrebbe violato l’art. 112 c.p.c. in quanto P.I. non avrebbe mai dedotto la pertinenzialità dell’area essendosi la contribuente limitata a contestare il mancato rispetto del principio del ne bis in idem.
Con il secondo motivo il Comune denuncia la violazione dell’art 817 c.c. e dell’art 2,comma 1 ,lett a), dlvo 30.12.1992 nr 504 in relazione all’art. 360,comma primo nr 3 c.p.c.,vizio di motivazione ex art 360,comma 1, nr 5 c.p.c.
Osserva infatti in punto di fatto che la stessa società contribuente aveva riconosciuto nei suoi scritti la natura edificabile di mq 78.512 dei mq 148.528,00 costituenti l’intera superficie sicché proprio le dimensioni dell’area in questione non poteva considerarsi una pertinenza.
Con un terzo motivo il ricorrente deduce la violazione dell’art. 2797 c.c. in relazione all’art. 360,comma 1 nr 4 c.p.c.
Sostiene infatti che la CTR ponendo a carico del Comune l’onere di dimostrare la natura pertinenziale dell’area sarebbe incorso nella violazione della regola di riparto degli oneri probatori.
Con il quarto motivo il Comune denuncia il difetto di motivazione in ordine alla edificabilità dell’area in relazione all’art. 360,comma 1 nr 5 c.p.c.
Osserva al riguardo che il giudice di appello non avrebbe tenuto nel debito conto delle risultanze processuali.
In questa prospettiva evidenziava che P.I. aveva chiesto ed ottenuto l’autorizzazione ad ampliare l’area edificabile nell’anno 2001 presentando la relativa documentazione e una volta ottenuto il titolo abilitativo inoltrando istanze di proroga.
Con il quinto motivo il ricorrente si duole della violazione dell’art 5, commi 2, 3 e 5 del Dlvo 1992 nr 504 in relazione all’art. 360, comma 1 nr 3 c.p.c.
Critica in particolare il passaggio motivazionale con cui la Ctr ha ritenuto violato il principio del ne bis in idem.
Osserva al riguardo che non si sarebbe verificata alcuna duplicazione impositiva avendo il Comune emesso due avvisi di accertamento ai fini lei ,il primo relativo al solo fabbricato( tassato secondo il valore contabile) ed il secondo relativo all’area fabbricabile il cui valore imponibile è stato determinato in base al valore venale ai sensi dell’art 5,comma 5, dlvo 1992 nr 504.
Con il sesto motivo l’Amministrazione Comunale si duole della violazione e falsa applicazione dell’art. 5, commi 2, 3 e 5, dlvo 1992 nr 504 in relazione all’art. 360 nr 3 c.p.c.
Afferma che la sentenza ,nel riconoscere la doppia imposizione sarebbe altresì incorsa nella violazione del principio secondo cui fabbricati ed aree fabbricabili sarebbero entità immobiliari che devono essere tassate in modo distinto e separato.
Con il settimo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 59, dlvo 1997 nr 446 in relazione all’art. 360, comma primo nr 5 c.p.c., il difetto di motivazione in relazione all’art. 360 comma 1 nr 5.
Contesta il particolare la decisione nella parte in cui non avrebbe tenuto nel debito conto quanto dedotto dal Comune nell’avviso di accertamento in merito al valore del terreno laddove si precisa che il valore dell’area era stato determinato in base ai valori stabiliti dalla Giunta con delibera nr 34 del 28.5.2001 che era stata predisposta ai sensi dell’art. 59, comma 1, lett. g) del Divo nr 446/1997.
Il ricorso è fondato sotto tutti i profili dedotti.
Relativamente alla questione della natura pertinenziale dell’area giova ricordare che ai sensi del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 1 comma 2, “Presupposto dell’imposta ICI è il possesso di fabbricati, di aree fabbricabili… siti nel territorio dello Stato, a qualsiasi uso destinati…”; ai sensi dell’art. 2, comma 1, lett. a):
“Ai fini dell’imposta di cui all’art. 1: per fabbricato si intende l’unità immobiliare iscritta o che deve essere iscritta nel catasto edilizio urbano, considerandosi parte integrante del fabbricato l’area occupata dalla costruzione e quella che ne costituisce pertinenza…”; della lett. b): “Ai fini dell’imposta di cui all’art. 1: per area fabbricabile si intende l’area utilizzabile a scopo edificatorio in base agli strumenti urbanistici generali o attuativi…”.
Poiché un’area non è oggetto di ICI se è pertinenza di un fabbricato, ma è oggetto di ICI se è fabbricabile bisogna stabilire quale sia il rapporto tra edificabilità e pertinenzialità del medesimo bene. La giurisprudenza della Corte al riguardo si è orientata nel senso che “il D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 2, comma 1, lett. a), fornendo, ai fini dell’imposta, la nozione di fabbricato ed escludendo l’autonoma tassabilità della relativa area pertinenziale, assoggettata al regime del bene principale, presuppone l’accezione di pertinenza di cui all’art. 817 c.c., rendendo irrilevante il regime di edificabilità che lo strumento urbanistico a quell’area attribuisca, di guisa che, quando nella medesima porzione immobiliare coesistano accessorietà ed edificabilità, l’effetto attrattivo che discende dal vincolo di asservimento rende ininfluente l’altra destinazione, siccome attinente a fini estranei al rapporto con la cosa principale considerata dalla norma tributaria” (Corte di cassazione 25 marzo 2005, n. 6501, preceduta, nello stesso senso, dalle sentenze: 23 settembre 2004, n. 19161; 26 agosto 2004, n. 17035; 17 dicembre 2003, n. 19375). Si può aggiungere, a specificazione del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 2, comma 1, che, delle due norme estraibili dalle lett. a) e b), quella (lett. b) che prevede l’imponibilità ICI dell’area fabbricabile è la regola, rispetto alla quale si pone come speciale, o, se si vuole, derogatoria, la non imponibilità ICI dell’area pertinenziale, anche se, secondo la giurisprudenza di questa Corte, essa sia edificabile.
L’attribuzione della qualità di pertinenza fonda sul criterio fattuale e cioè sulla destinazione effettiva e concreta della cosa al servizio o ornamento di un’altra, secondo la relativa definizione contenuta nell’art. 817 c.c.. Ne deriva che, per qualificare come pertinenza di un fabbricato un’area edificabile, è necessario che intervenga un’oggettiva e funzionale modificazione dello stato dei luoghi che sterilizzi in concreto e stabilmente lo “ius edificandi” e che non si risolva, quindi, in un mero collegamento materiale, rimovibile “ad libitum” (In applicazione del principio, la S.C. ha annullato con rinvio la sentenza della Commissione tributaria che aveva fondato la prova della natura pertinenziale di un’area edificabile rispetto ad un fabbricato industriale sul mero rilascio della concessione per la costruzione di una recinzione unica intorno al fabbricato ed al terreno edificabile, oggetto della pretesa fiscale)”; così Cass. 25027/09, nella cui motivazione, peraltro, si precisa che, come già chiarito in Cass. 19639/09, “al contribuente che non abbia evidenziato nella denuncia l’esistenza di una pertinenza non è consentito contestare l’atto con cui l’area (asseritamente) pertinenziale viene tassata deducendo solo nel giudizio la sussistenza del vincolo di pertinenzialità” conformi, Cass. 22844/10 e Cass. 22128/10, nella quale ultima si precisa altresì che “l’esclusione dell’autonoma tassabilità delle aree pertinenziali, prevista dal D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 2, si fonda sull’accertamento rigoroso dei presupposti di cui all’art. 817 c.c., desumibili da concreti segni esteriori dimostrativi della volontà del titolare, consistenti nel fatto oggettivo che il bene sia effettivamente posto, da parte del proprietario del fabbricato principale, a servizio (o ad ornamento) del fabbricato medesimo e che non sia possibile una diversa destinazione senza radicale trasformazione, poiché, altrimenti, sarebbe agevole per il proprietario al mero fine di godere dell’esenzione creare una destinazione pertinenziale che possa facilmente cessare senza determinare una radicale trasformazione dell’immobile stesso“.
Ora nel caso di specie è incontestato che nell’anno di imposta per cui è causa il preteso asservimento dell’area in questione al fabbricato adibito a centro di smistamento della corrispondenza non è stato esplicitato, non avendo la società mai presentato la dichiarazione.
Il vincolo pertinenziale non risultava dalla dichiarazione ICI e dall’altro evidenziando che P.I. aveva manifestato l’intenzione di utilizzare tale area a scopo edificatorio avendo chiesto, nel 2001, la concessione edilizia per l’ampliamento del centro meccanografico”, concessione di cui aveva chiesto la proroga più volte, con ciò dimostrando chiaramente di volere utilizzare lo ius edificandi.
Va peraltro segnalato che con sentenza nr 13742 del 2019 questa Corte nel contenzioso afferente fra le stesse parti anche se relativo ad un diverso anno di imposta ha confermato la decisione della CTR che da un lato aveva escluso,sulla base dei principi sopra illustrati, la natura pertinenziale dell’area in questione e la doppia imposizione la sua natura edificatale,la congruità del valore attribuito e dall’altro riconosciuto la congruità del valore attribuito all’area dall’avviso impugnato.
Le considerazioni sviluppate nella richiamata pronuncia pienamente condivise da questo Collegio mettono in risalto la non correttezza del ragionamento seguito dal giudice di appello relativamente all’altra questione su cui si sollecita l’esame della Corte quello cioè relativo alla contestata natura dell’area.
La decisione qui impugnata infatti contrasta con la previsione di cui al D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 2, comma 1^, lett. b), così come interpretata dal preminente indirizzo giurisprudenziale di legittimità sulla nozione di edificabilità ai fini lci.
Questa Corte ha affermato (Cass. Sez. Un. 25506/06, Cass. 26462/2017 Cass.11176/10; Cass. 20256/08; Cass. 19131/07 ed altre in termini) che: a) la natura edificabile di un’area (ai fini dell’applicabilità del criterio di determinazione della base imponibile fondato sul valore venale) deve essere desunta dalla qualificazione ad essa attribuita nel piano regolatore generale adottato dal Comune, indipendentemente dall’approvazione dello stesso da parte della Regione, e dall’adozione di strumenti urbanistici attuativi (principio fissato – a seguito dell’entrata in vigore del D.L. n. 203 del 2005, art. 11 quaterdecies, comma 16, convertito con modificazioni dalla L. n. 248 del 2005, e del D.L. n. 223 del 2006, art. 36, comma 2, convertito con modificazioni dalla L. n. 248 del 2006, che hanno fornito l’interpretazione autentica del D.Lgs. n. 504 del 1992 cit., art. 2, comma 1A, lett. b); b) il D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, comma 5, nel prevedere che il valore dell’area fabbricabile debba essere costituito da quello venale in comune commercio, fa riferimento all’area complessivamente ed unitariamente interessata dalla modificazione urbanistica, senza che dalla base imponibile così determinata vengano scorporate porzioni di tale area, in ragione della diversa destinazione che esse possano eventualmente avere nell’ambito della realizzazione dell’intero processo edificatorio; c) la ricomprensione nella base imponibile altresì delle aree di urbanizzazione e di intervento c.d. “standard” risponde alla logica secondo cui, ai fini del concreto e proficuo esercizio dello jus aedificandi, è necessario che l’area sia urbanizzata; con la conseguenza che non si può non tenere conto dell’incidenza degli spazi riservati (secondo le prescrizioni dello strumento urbanistico attuativo) ad infrastrutture e servizi di interesse generale, ai quali sono finalizzate le opere di urbanizzazione.
Il D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 1, non ricollega infatti il presupposto dell’imposta all’idoneità del bene a produrre reddito ovvero alla sua attitudine ad incrementare il proprio valore o il reddito prodotto, posto che, D.Lgs. n. 504 del 1992, ex art. 5, il valore dell’immobile assume rilievo ai soli fini della base imponibile e, quindi, della concreta misura dell’imposta; la diversità di destinazione delle porzioni interne alla suddetta area di intervento complessivamente ed unitariamente considerata è rilevante ma al diverso fine (non della “natura” – edificabile o meno – dell’area, bensì) del “valore venale” ad essa attribuibile secondo i parametri tutti di cui al del cit. D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, comma 5, (già SSUU 25506/06 cit. ebbero ad affermare che, ferma restando l’edificabilità dell’area “l’inapplicabilità del criterio fondato sul valore catastale dell’immobile impone peraltro di tener conto, nella determinazione della base imponibile, della maggiore o minore attualità delle sue potenzialità edificatorie, nonché della possibile incidenza degli ulteriori oneri di urbanizzazione sul valore dello stesso in comune commercio”).
Da ciò consegue che, al fine di determinare in concreto la base imponibile, la valutazione dell’area medesima deve essere effettuata secondo il criterio del valore commerciale complessivo (non segmentato in ragione del valore attribuibile alle singole parti che la compongono), tenendo ben presenti i differenti livelli di edificabilità di queste ultime.
Principio questo a cui si è attenuto l’avviso de quo.
Con riguardo poi alle critiche mosse in ordine alla carente motivazione rilevata dalla CTR per quanto attiene al valore dell’area per l’esistenza dei vincoli anche di natura ambientale occorre muovere dalla considerazione che il Comune aveva adottato una prima Delib. del consiglio comunale 28.5. 2001, n. 34, e una successiva della Giunta comunale 18 luglio 2006, n. 56, con le quali erano stati determinati i valori venali dei terreni nella categoria D1 destinati al completamento degli impianti produttivi esistenti. Tale atto non è stato impugnato.
La Corte di legittimità ha avuto modo di affermare il principio secondo cui, in tema di imposta comunale sugli immobili, la delibera con cui la giunta municipale provvede, ai sensi della L. n. 446 del 1997, art. 52, ad indicare i valori di riferimento delle aree edificabili, come individuati dall’ufficio tecnico comunale sulla base di informazioni acquisite presso operatori economici della zona, è legittima, costituendo esercizio del potere, riconosciuto al consiglio comunale dalla L. n. 446 cit., art. 59, lett. g), e riassegnato alla giunta dal D.Lgs. n. 267 del 2000, di determinare periodicamente e per zone omogenee i valori venali in comune commercio delle aree fabbricabili, al fine della delimitazione del potere di accertamento del comune qualora l’imposta sia versata sulla base di un valore non inferiore a quello predeterminato, e, pur non avendo natura imperativa, integra una fonte di presunzioni dedotte da dati di comune esperienza, idonei a costituire supporti razionali offerti dall’Amministrazione al giudice, ed utilizzabili, quali indici di valutazione, anche retroattivamente (Cass. n. 16620 del 05/07/2017; Cass. n. 15555 del 30/06/2010).
Ciò posto nel caso in esame l’avviso ha determinato il valore dell’area tenendo conto dei valori stabiliti dalla Giunta con delibera 28.5.2001 e della reale situazione dei terreni in questione diminuendo il valore venale del 20%.
Valore in relazione al quale la società contribuente, su cui gravava l’ onere,ha opposto argomentazioni connotate da estrema genericità inidonee a scalfirne la fondatezza.
Parimenti è censurabile la pronuncia nella parte in cui ritiene l’esistenza di una doppia imposizione.
Il Comune ha emesso per la stessa annualità due avvisi di accertamento ICI, il primo riguardava un diverso immobile, ossia un fabbricato adibito a centro meccanizzato posta (c.m.p.) che era stato assoggettato ad imposizione con riferimento al suo valore contabile (rivalutato) quindi con esclusione dell’area edificabile a nulla rilevando i dati catastali indicati negli avvisi concernenti i due diversi immobili coincidono parzialmente, così come a nulla vale rilevare che nella perizia disposta dal Comune per la stima della rendita catastale del fabbricato si faccia riferimento per la descrizione dello stato dei luoghi all’area scoperta con vincolo di uso pubblico.
L’imponibile concernente gli avvisi relativi al fabbricato è dato dal suo valore di libro, come è chiaramente specificato nella motivazione dei relativi avvisi….” fatto mai contestato dalla contribuente,mentre quello relativo all’area de qua in base al valore venale.
L’accoglimento dei motivi del ricorso impone di esaminare la questione introdotta dalla contribuente, in via condizionata,nell’ipotesi di riforma della impugnata decisione quella relativa alla prospettata illegittimità delle modalità di irrogazione della sanzione per difetto di motivazione nonché per violazione dell’art 7 divo 18.12.1997 nr 472 che non è stata affrontata dalla CTR in quanto assorbita. Lamenta la contribuente che la sanzione sarebbe stata irrogata nella misura massima stabilita con la delibera comunale senza possibilità di graduazione alcuna.
La censura è infondata.
L’applicazione delle sanzioni nella misura massima delle sanzioni deve ritenersi corretta atteso che la società non ha mai presentato dichiarazione ICI, né pagato l’imposta producendo perdita di gettito per gli anni passati non più accertabili e stante l’elevato importo evaso ed il comportamento recidivo da parte di P.I. s.p.a. che non ha mai posto rimedio all’omessa dichiarazione e all’omesso versamento “.
Il ricorso va pertanto accolto con conseguente cassazione della sentenza impugnata e non essendo necessari ulteriori accertamenti di merito va rigettato l’originario ricorso del contribuente.
Le spese relative al merito vanno compensate in ragione dell’evolversi della vicenda giudiziaria.
Le spese relative alla fase di legittimità vanno poste a carico della contribuente secondo il principio della soccombenza e liquidate in dispositivo secondo i criteri di legge.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso in relazione ai motivi proposti,cassa la decisione impugnata e decidendo nel merito rigetta l’originario ricorso della contribuente;
Compensa le spese di merito; condanna la ricorrente al pagamento delle spese di legittimità che si liquidano in complessive € 5300,00 oltre accessori di legge ed al 15% per spese generali.
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