CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 18 novembre 2019, n. 29893

Lavoro subordinato – Estinzione del rapporto – Licenziamento individuale per giustificato motivo – Sopravvenuta inidoneità fisica alle mansioni lavorative affidate – Obbligo di “repechage” – Manifesta insussistenza del fatto – Condizioni – Conseguenze

Fatti di causa

Con sentenza in data 8 febbraio 2018, la Corte d’appello di Milano rigettava il reclamo proposto da A. s.p.a. avverso la sentenza di primo grado di reiezione dell’opposizione proposta dalla società all’ordinanza del medesimo Tribunale che aveva: a) accertato l’illegittimità del licenziamento dalla stessa intimato il 10 gennaio 2017 per giustificato motivo oggettivo al dipendente G.F., per rifiuto della posizione lavorativa offertagli in conseguenza delle limitazioni prescritte dal medico competente e dalla commissione medica ATS Milano (in conseguenza di una malattia protrattasi per oltre sessanta giorni), tali da comportarne l’assegnazione dalla mansione di “manovale di ricicleria” (con inquadramento al III livello parametro A del CCNL Federambiente) a quella di “manovale interno”, quale operatore addetto alle pulizie interne (con inquadramento al I livello del CCNL citato); b) ordinato alla società datrice di reintegrarlo con le mansioni di manovale interno nell’ambito del dipartimento di Silla – Muggiano, U.O. Produzione spazialmente servizi speciali – rep. 801 servizi terzi gestione emergenze ed il temporaneo inquadramento al I livello CCNL Federambiente; c) condannato la medesima al pagamento, in favore del lavoratore a titolo risarcitorio, delle mensilità di retribuzione globale di fatto maturate dal licenziamento alla reintegrazione.

A motivo della decisione, la Corte territoriale condivideva l’interpretazione del Tribunale dell’art. 44 CCNL cit., secondo cui, ai fini del mantenimento in servizio del lavoratore idoneo alla mansione della sua qualifica con limitazioni di deambulazione e stazione eretta non prolungate e inibizione dei contatti con il pubblico e di ritmi stressanti di lavoro, rileverebbe la sola accettazione della mansione inferiore (avvenuta) e non anche dell’inquadramento, coerente con essa (invece contestato), in quanto applicabile unilateralmente dal datore di lavoro; ed essendo il trattamento retributiva mantenuto a titolo di differenza ad personam.

Essa escludeva poi la pertinenza della denunciata violazione dell’art. 2103, secondo comma c.c., riguardante una definitività di assetti non ricorrente nel caso di specie e così pure dell’art. 18, settimo comma I. 300/1970, per la manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento, non avendo il lavoratore rifiutato la mansione assegnata, ma contestato soltanto l’inquadramento applicato.

Con atto notificato l’8 aprile 2018, la società ricorreva per cassazione avverso tale sentenza con due motivi, cui resisteva il lavoratore con controricorso; entrambe le parti comunicavano memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c.

Ragioni della decisione

1. Con il primo motivo, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 44 CCNL dei Servizi Ambientali Federambiente in relazione agli artt. 1362, 1363, 1367 c.c., per avere la Corte territoriale, in contrasto con i canoni ermeneutici di letteralità (da intendere in senso non assoluto, ma armonizzato con gli altri), di complessiva disciplina negoziale e di conservazione del contratto, erroneamente interpretato la norma collettiva denunciata nel senso di esclusiva rilevanza – ai fini del mantenimento in servizio del lavoratore idoneo alla mansione della sua qualifica con le limitazioni prescrittegli dagli organi medici competenti – dell’accettazione della mansione inferiore (avvenuta) e non anche dell’inquadramento, coerente con essa (invece contestato), in quanto applicabile unilateralmente dal datore di lavoro, in violazione del principio di consensualità regolante la materia.

2. Con il secondo, essa deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 18 I. 300/1970 (nel testo novellato applicabile ratione temporis), per esclusione della sussistenza del fatto posto a base del licenziamento, comportante l’erronea applicazione della tutela reintegratoria (settimo comma) in luogo di quella indennitaria (quinto comma), per l’esistenza indiscussa del rifiuto del lavoratore dell’inquadramento (temporaneo di primo livello) inferiore, con richiamo di argomentazioni svolte con il precedente mezzo.

3. Il primo motivo, relativo a violazione e falsa applicazione dell’art. 44 CCNL cit. per erronea interpretazione ai fini in esame dell’accettazione della mansione inferiore e non anche dell’inquadramento contestato, è infondato.

3.1. Giova, in via di premessa, ribadire come in sede di legittimità le clausole dei contratti o accordi collettivi di lavoro, denunciate di violazione o falsa applicazione ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c. (come modificato dall’art. 2 d.Ig. 40/2006 n.40), siano oggetto di diretta interpretazione per la loro parificazione sul piano processuale a quella delle norme di diritto, in base alle norme codicistiche di ermeneutica negoziale (artt. 1362 ss. c.c.): ossia, quale criterio interpretativo diretto e non come canone esterno di commisurazione dell’esattezza e della congruità della motivazione; senza più necessità, a pena di inammissibilità della doglianza, di una specifica indicazione delle norme asseritamente violate e dei principi in esse contenuti, né del discostannento da parte del giudice di merito dai canoni legali assunti come violati o di una loro applicazione sulla base di argomentazioni illogiche o insufficienti (Cass. 19 marzo 2014, n. 6335; Cass. 9 settembre 2014, n. 18946; Cass. 28 maggio 2018, n. 13265).

3.2. In questa prospettiva e nel solco del consolidato indirizzo giurisprudenziale di legittimità, occorre richiamarne l’insegnamento secondo cui, nell’interpretazione delle clausole dei contratti collettivi di diritto comune, pur sempre costituendo il criterio letterale previsto dall’art. 1362 c.c. punto di avvio per una corretta interpretazione di ogni clausola contrattuale, il criterio logico – sistematico dell’art. 1363 c.c. assume, in ragione delle particolari caratteristiche connotanti la contrattazione collettiva, un particolare rilievo, ben più accentuato rispetto a quanto accade per i restanti contratti di diritto comune (Cass. 9 marzo 2005, n. 5140). Sicché, sebbene la ricerca della comune intenzione delle parti debba essere operata innanzitutto sulla base del criterio dell’interpretazione letterale delle clausole, si impone il ricorso anche al criterio logicosistematico stabilito dall’art. 1363 c.c., per desumere la volontà manifestata dai contraenti da un esame complessivo delle diverse clausole aventi attinenza alla materia in contesa, dovendosi altresì tenere conto del comportamento, anche successivo, delle parti (Cass. 14 aprile 2006, n. 8876; Cass. 30 gennaio 2018, n. 2267). E allora, alla luce del principio enunciato dall’art. 1363 c.c., il giudice non può nell’interpretazione dei contratti arrestarsi ad una considerazione “atomistica” delle singole clausole, neppure quando la loro interpretazione possa essere compiuta, senza incertezze, sulla base del “senso letterale delle parole”, poiché anche questo va necessariamente riferito all’intero testo della dichiarazione negoziale, onde le varie espressioni che in essa figurano vanno coordinate fra loro e ricondotte ad armonica unità e concordanza (Cass. 14 aprile 2006, n. 8876; Cass. 30 gennaio 2018, n. 2267).

3.3. Ebbene, sulla scorta degli enunciati principi di diritto, anche l’art. 44 CCNL dei Servizi Ambientali Federambiente denunciato deve essere interpretato, sulla base di partenza del criterio letterale previsto dall’art. 1362 c.c., attraverso il criterio logico – sistematico dell’art. 1363 c.c., per una corretta interpretazione di ogni clausola contrattuale, in un esame complessivo per un coordinamento ermeneutico tale da ottenerne, in virtù di una combinata lettura dell’una per mezzo dell’altra, la riconduzione ad armonica unità e concordanza.

La norma citata prevede in particolare che, “nell’ipotesi in cui, a seguito dell’accertamento compiuto ai sensi del precedente punto 8” (in relazione “alla possibilità di mantenere, o meno, il lavoratore in servizio con mansioni diverse” ), “risulti che il lavoratore può essere mantenuto in servizio, ancorché in mansioni non equivalenti od anche inferiori a quelle di assunzione od a quelle alle quali è stato successivamente adibito”, nell’apposito verbale redatto in occasione dell’incontro fissato, egli dichiari “espressamente … di accettare o non accettare, le mansioni che gli sono state assegnate” (eventualmente anche inferiori, “secondo quanto previsto al precedente comma 7”) (nono comma).

A seconda dell’atteggiamento del lavoratore, cambiano ovviamente le conseguenze: nel primo caso (di accettazione), è stabilito il suo mantenimento in servizio con l’inquadramento coerente nel livello di competenza delle nuove mansioni (prima parte del decimo comma: “Nel caso in cui il lavoratore accetti le mansioni assegnate, l’azienda procederà ai sensi del successivo comma 12 del presente articolo” ; e al primo periodo esso stabilisce: “Nel caso in cui il lavoratore accetti le mansioni assegnate, lo stesso sarà mantenuto in servizio e dovrà essere inquadrato nel livello di competenza delle nuove mansioni attribuitegli”); nel secondo caso, (di non accettazione), è invece previsto il suo licenziamento (seconda parte del decimo comma: “Nel caso in cui il lavoratore non accetti le mansioni assegnate, l’azienda procederà al suo licenziamento …”).

Appare allora esatta l’interpretazione di un evidente discrimine tra l’accettazione o meno da parte del lavoratore delle (sole) mansioni, indipendentemente dalla qualifica, che, ancorché contestata (come appunto nel caso di specie da G.F., che ha invece accettato le mansioni), segue ex se le mansioni assegnate, sia pure inferiori (così come previsto dal primo periodo del decimo comma: “Nel caso in cui il lavoratore accetti le mansioni assegnate, lo stesso sarà mantenuto in servizio e dovrà essere inquadrato nel livello di competenza delle nuove mansioni attribuitegli”).

Né una tale previsione penalizza il lavoratore divenuto inidoneo alle precedenti superiori mansioni, per il mantenimento del trattamento economico già percepito a titolo personale e integrante la retribuzione globale di fatto; così come  espressamente previsto dai primi due capoversi del dodicesimo comma: “Qualora il nuovo inquadramento risultasse inferiore al precedente, verrà conservata “ad personam” la differenza in cifra tra la retribuzione percepita al momento dell’assegnazione del nuovo livello e la nuova retribuzione. Tale differenza (“ad personam è parte della retribuzione globale”). L’interpretazione data, che restituisce un chiaro significato alla previsione contrattuale collettiva, per la coerente combinazione dei criteri letterale e logico-sistematico osservati (senza pertanto alcuna necessità di ricorso a quello di conservazione del contratto, ai sensi dell’art. 1367 c.c., pure denunciato di violazione, in assenza di una permanente oscurità o ambiguità di senso del contratto o di una sua clausola nonostante l’utilizzo dei principali criteri ermeneutici letterale, logico e sistematico: Cass. 23 luglio 2018, n. 19493), è pure in sintonia con la previsione normativa in caso di inidoneità del lavoratore alla mansione specifica.

Stabilisce infatti l’art. 42 d.lg. 81/2008: “Il datore di lavoro, anche in considerazione di quanto disposto dalla legge 12 marzo 1999, n. 68, in relazione ai giudizi di cui all’articolo 41, sesto comma, attua le misure indicate dal medico competente e qualora le stesse prevedano un’inidoneità alla mansione specifica adibisce il lavoratore, ove possibile, a mansioni equivalenti o, in difetto, a mansioni inferiori garantendo il trattamento corrispondente alle mansioni di provenienza”. In tal modo, nell’inciso “ove possibile” , esso contempera il conflitto tra diritto alla salute ed al lavoro, da una parte e, dall’altra, al libero esercizio dell’impresa, ponendo a carico del datore di lavoro l’obbligo di ricercare – anche in osservanza dei principi di buona fede e correttezza nell’esecuzione del rapporto – le soluzioni che, nell’ambito del piano organizzativo prescelto, risultino le più convenienti e idonee ad assicurare il rispetto dei diritti del lavoratore (Cass. 1 luglio 2016, n. 13511); collegando l’obbligo di mantenimento in servizio del lavoratore all’obiettiva possibilità di reperire mansioni che gli consentano di espletare la prestazione senza pregiudizio per la sua salute, anche se con una compromissione della professionalità qualora vi sia accettazione di un demansionamento (senza contenere alcuna previsione limitativa del licenziamento, qualora le mansioni compatibili con lo status del lavoratore non siano rinvenute in azienda: Cass. 26 gennaio 2017, n. 2008).

3.4. In realtà, in tale senso logico-sistematico aveva interpretato anche la Corte territoriale, attraverso il critico e comparato esame delle summenzionate clausole dell’art. 44 CCNL (a pgg. 9 e 10 della sentenza) al di là dell’apparente ricorso al solo criterio ermeneutico letterale inferibile dalla locuzione “sulla base di una chiarissima norma contrattuale” (al terz’ultimo capoverso di pg. 10 della sentenza): dovendo pertanto essere corretta la motivazione in questo equivoco passaggio con il percorso argomentativo sopra svolto.

4. Anche il secondo motivo, relativo a violazione e falsa applicazione dell’art. 18 l. 300/1970 per esclusione della sussistenza del fatto posto a base del licenziamento, è infondato.

4.1. In proposito, basti osservare che, rientrando il tema della ricollocazione del lavoratore in ambito aziendale, ancorché per sopravvenuta inidoneità per malattia alle precedenti mansioni, nell’ipotesi di obbligo di repechage, la verifica del requisito di “manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento” previsto dall’art. 18, settimo comma l. 300/1970, come novellato dalla I. 92/2012, investe anch’esso, concernendo entrambi i presupposti (ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa; impossibilità di ricollocare altrove il lavoratore) di legittimità del recesso. Sicchè, l’onere della prova, gravante sul datore di lavoro ai sensi dell’art. 5 l. 604/1966, della “manifesta insussistenza” va riferito ad un’evidente, e facilmente verificabile sul piano probatorio, assenza dei suddetti presupposti, che consenta di apprezzare la chiara pretestuosità del recesso: con accertamento di merito riservato al giudice ed incensurabile, in quanto tale, in sede di legittimità (Cass. 2 maggio 1918, n. 10435; Cass. 12 dicembre 2019, n. 32159).

4.2. Ed un accertamento in fatto, congruamente seppur succintamente argomentato, è stato compiuto dalla Corte territoriale, laddove ha ritenuto che “la condizione formale aggiunta da A. s.p.a. al già manifestato consenso alle mansioni reso dal lavoratore, rende manifestamente insussistente il fatto in base al quale il lavoratore è stato licenziato” (così al penultimo capoverso di pg. 11 della sentenza): pertanto insindacabile nell’odierna sede di legittimità.

5. Dalle superiori argomentazioni discende il rigetto  del ricorso, con la regolazione delle spese del giudizio secondo il regime di soccombenza e il raddoppio del contributo unificato, ove spettante nella ricorrenza dei presupposti processuali (conformemente alle indicazioni di Cass. s.u. 20 settembre 2019, n. 23535).

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna la società alla rifusione, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio, che liquida in € 200,00 per esborsi e € 5.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso per spese generali 15% e accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13.