CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 18 novembre 2022, n. 34049
Licenziamento per giustificato motivo oggettivo – Obbligo di repechage – Violazione – Tutela reintegratoria – Applicabilità
Fatti di causa
1. Il giudice di primo grado, pronunziando in sede sommaria sulla domanda di A.P., di accertamento della nullità/illegittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo intimatogli da T.R. s.p.a. con lettera del 16 giugno 2018, dichiarò illegittimo il licenziamento ed estinto il rapporto di lavoro condannando la società a corrispondere al lavoratore un’indennità risarcitoria omnicomprensiva, pari a dieci mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, oltre accessori dal licenziamento al saldo.
2. Il Giudice dell’opposizione confermò la statuizione modificando solo l’entità del risarcimento quantificato in misura pari a quindici mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto.
3. La Corte di appello di Salerno, pronunziando sul reclamo principale del lavoratore e sul reclamo incidentale della società, ha confermato la decisione di primo grado.
3.1. La Corte di merito, esclusa la natura ritorsiva e discriminatoria del recesso datoriale, ha accertato la effettività della soppressione del posto di lavoro del P. (caposquadra nel cantiere di Acerra) e che la società, in alternativa al licenziamento, aveva proposto al lavoratore la modifica delle mansioni con passaggio dai compiti di caposquadra a quelli di autista di autospazzatrice, implicante variazione in pejus; tale modifica era stata espressamente accettata dal P. il quale tuttavia aveva rifiutato di sottoscrivere il verbale di conciliazione come proposto dall’azienda per chiudere le trattative intercorse tra le parti in ordine alle nuove mansioni; tale rifiuto di sottoscrizione non aveva costituito motivo esclusivo e determinante del recesso «essendo in realtà preminente l’avvenuta soppressione del posto di lavoro». Il giudice di appello quindi, sul presupposto che la <<manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento» – che ai sensi dell’art. 18, comma 7, legge n. 300/1970, come novellato dalla legge n. 92/ 2012 costituisce presupposto di applicabilità della tutela reintegratoria – deve essere riferita ad entrambi gli elementi costitutivi del licenziamento per giustificato motivo oggettivo (rappresentati dalle ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa e dalla impossibilità di utile ricollocazione del lavoratore), ha ritenuto nello specifico non riscontrata tale ipotesi, stante la pacifica soppressione del posto di lavoro del P.; ha quindi rilevato con riferimento al «repechage» che la società datrice di lavoro non aveva adempiuto in pieno all’onere probatorio posto a suo carico, onere collegato, secondo quanto statuito da Cass. n. 12794/2018, alla concreta indicazione da parte del lavoratore della esistenza di posizioni lavorative disponibili, in concreto non oggetto di allegazione da parte del P.. Il difetto del presupposto della «manifesta insussistenza del fatto» comportava l’applicabilità della sola tutela indennitaria.
4. Per la cassazione della decisione ha proposto ricorso A.P. sulla base di sei motivi. La parte intimata ha resistito con controricorso.
5. Il P.G. ha depositato requisitoria scritta con la quale, modificando le conclusioni rese con riferimento alla pubblica udienza del 10 novembre 2021 originariamente fissata per la trattazione del presente ricorso poi rinviato a nuovo ruolo, ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
6. A.P. ha depositato memoria ai sensi dell’art. 378 cod. proc.civ..
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso parte ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 5, legge n. 604/1966, dell’art. 2697 cod. civ., degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. nonché dell’obbligo di « repechage>>, censurando la sentenza impugnata per avere affermato, in contrasto con i consolidati arresti del giudice di legittimità – che ponevano interamente a carico del datore di lavoro l’onere di allegazione e prova dell’impossibilità di <<repechage>>-, che sul lavoratore incombeva un onere di indicazione delle posizioni lavorative nelle quali avrebbe potuto essere ricollocato. Assume che nello specifico il P. poteva essere impiegato in varie attività lavorative, tra le quali come autista alla guida delle autospazzatrici, mansione inferiore che già in passato era stata accettata dall’interessato.
2. Con il secondo motivo deduce omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti censurando la sentenza impugnata per avere mancato di verificare la possibilità di reimpiego del lavoratore presso altri luoghi o cantieri facenti capo alla società; si duole che la sentenza impugnata aveva mostrato di ritenere che la presunta mancata collaborazione del P. nell’indicare luoghi e cantieri di pertinenza della società dove avrebbe potuto essere reimpiegato era stata decisiva per l’applicazione della tutela indennitaria.
3. Con il terzo motivo deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 5, legge n. 604/1966 e dell’art. 18, commi 4 e 7, legge n. 300/1970; censura la decisione per non avere la Corte applicato la tutela reintegratoria pur riconoscendo la mancata dimostrazione da parte della società dell’impossibilità di un’utile ricollocazione lavorativa del dipendente.
Contesta, con riferimento ad elementi fattuali, la ritenuta «eccessiva onerosità» per la società della eventuale reintegrazione del lavoratore.
4. Con il quarto motivo deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 3, legge n. 604/1966 e omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, censurando la sentenza impugnata per avere trascurato la verifica della effettiva soppressione del posto di lavoro di caposquadra occupato dal P.; in questa prospettiva contesta la ritenuta pacificità della circostanza e deduce mediante richiamo a elementi fattuali che il posto in questione non era stato soppresso e che le relative mansioni erano svolte da lavoratori assunti successivamente al licenziamento.
5. Con il quinto motivo parte ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 18, comma 1, legge n. 300/1970, dell’art. 1345 cod. civ. e dell’art. 3, legge n. 108/1990 nonché omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione fra le parti. Censura la sentenza impugnata per avere escluso la natura ritorsiva o discriminatoria del recesso e dolendosi in particolare che il giudice di appello abbia limitato la verifica devolutagli al solo profilo relativo al carattere ritorsivo del licenziamento (legato alla mancata sottoscrizione del verbale di conciliazione) trascurando il profilo fondato sulla dedotta natura discriminatoria del recesso datoriale da porsi in connessione con l’attività del P. di rappresentante sindacale aziendale, il quale in tale veste aveva promosso plurime vertenze sindacali nei confronti della T.R. s.r.l..
6. Con il sesto motivo di ricorso deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1175 e 1375 cod. civ., censurando la sentenza impugnata per avere omesso qualsiasi motivazione in ordine alla violazione da parte della società dei richiamati obblighi di comportamento secondo correttezza e buona fede.
7. Il primo motivo di ricorso è inammissibile per difetto di interesse ad impugnare la decisione di secondo grado sotto il profilo della errata distribuzione dell’onere di allegazione e prova in tema di «repechage>>.
7.1. Si premette che l’assunto dell’odierno ricorrente circa la ricaduta solo in capo alla parte datoriale degli oneri di allegazione e prova dell’impossibilità di una diversa ricollocazione lavorativa del dipendente risulta coerente con i condivisibili, recenti arresti della giurisprudenza di legittimità che, discostandosi da precedenti pronunce le quali in tema di licenziamento per giustificato motivo oggettivo esigevano un atteggiamento collaborativo da parte del dipendente mediante l’allegazione dell’esistenza di altri posti di lavoro nei quali egli avrebbe potuto essere utilmente collocato ricollocato (Cass. 08/11/2013, n. 5197; Cass. 08/02/2011, n. 3040; Cass. 18/03/2010, n. 6559), ha ritenuto sussistere interamente in capo alla parte datoriale gli oneri di allegazione e prova della impossibilità di «repechage», configurato unitamente alla soppressione del posto di lavoro quale elemento costitutivo della legittimità del recesso datoriale (Cass. 11/11/2019, n. 29099; Cass. 24/09/2019, n. 23789; Cass. 22/11/2018, n. 30259; Cass. 27/09/2018, n. 23340; Cass. 23/05/2018, n. 12794; Cass. del 20/10/2017, n. 24882; Cass, . 13/06/2016, n. 12101). Le conseguenze negative della mancata dimostrazione dell’impossibilità di utile ricollocazione lavorativa ridondano, quindi, esclusivamente sul datore di lavoro il cui recesso risulta pertanto illegittimo.
7.2. Una volta tuttavia che il giudice di merito, a prescindere dalla individuazione più o meno corretta del soggetto onerato della relativa prova, abbia comunque accertato, come avvenuto nello specifico, la illegittimità del licenziamento, la fondatezza della censura articolata con il primo motivo è destinata ad essere priva di concreto rilievo in relazione alla questione – l’unica ancora sub iudice, rappresentata dalla verifica della tutela in concreto applicabile, reintegratoria o esclusivamente indennitaria.
8. Il secondo motivo di ricorso è inammissibile, sia in quanto articolato con modalità non coerenti con l’attuale formulazione del vizio di cui all’art. 360, comma 1. n. 5 cod. proc. civ., stante la omessa indicazione dello specifico fatto in senso materiale fenomenico il cui esame sarebbe stato pretermesso dal giudice di merito, sia perché ancorato all’inesatto presupposto che la esclusione della tutela reintegratoria sia stata dal giudice di merito fondata sulla violazione dell’obbligo collaborativo (erratamente, secondo quanto osservato nell’esame del primo motivo) posto a carico del lavoratore. Viceversa, a differenza di quanto assume parte ricorrente, la Corte di merito ha ritenuto non potersi fare luogo al ripristino del rapporto, e quindi alla tutela reale, per difetto di « manifesta insussistenza>> del fatto alla base del giustificato motivo oggettivo «atteso che costituisce circostanza pacifica l’avvenuta soppressione del posto di caposquadra nel cantiere di Acerra > > (sentenza, pag. 11, secondo capoverso).
9. Il terzo motivo di ricorso è fondato. La questione concernente la tutela applicabile posta dal motivo in esame deve essere decisa in conformità dell’attuale assetto normativo delineato dall’art. 18 della legge n. 300/1970 quale definito dalle sentenze della Corte costituzionale n. 59 del 2021 e n. 125 del 2022, successive al deposito dell’impugnazione.
9.1. Costituisce infatti principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte quello secondo il quale l’efficacia delle sentenze dichiarative dell’illegittimità costituzionale di una norma di legge, come quelle sopra citate, non si estende ai soli rapporti già esauriti per formazione del giudicato o per essersi comunque verificato altro evento cui l’ordinamento ricollega il consolidamento del rapporto medesimo, mentre tale efficacia si dispiega pienamente in tutte le altre ipotesi (Cass. 18/02/2003, n. 2406; Cass. 01/02/2002, n.1277; Cass Cass. 13/02/1999, n. 1203; Cass. 29/03/1974, n. 891).
9.2. Le richiamate sentenze costituzionali sono intervenute sul precedente quadro normativo relativo al tipo di tutela applicabile in presenza di licenziamento intimato per giustificato motivo oggettivo del quale sia dichiarata la illegittimità <<per insussistenza del fatto>> alla base dello stesso.
In particolare, la sentenza della Corte costituzionale n. 59 del 2021 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 18, settimo comma, secondo periodo, della legge 20 maggio 1970, n. 300 come modificato dall’art. 1, comma 42, lettera b) della legge 28 giugno 2012, n. 92 nella parte in cui prevede che il giudice, quando accerti la manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, «può altresì applicare» – invece che «applica altresì» – la disciplina di cui al medesimo art. 18, quarto comma.
La sentenza costituzionale n. 125/2022, con prospettiva ancor più radicale, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 18, settimo comma, secondo periodo, della legge 20 maggio 1970, n. 300, come modificato dall’art. 1, comma 42, lettera b), della legge 28 giugno 2012, n. 92 limitatamente alla parola «manifesta».
9.3. Il testo dell’art. 18 comma 7 della legge n. 300/1970 quale risultante all’esito degli interventi della Corte costituzionale comporta che in ipotesi di insussistenza del fatto alla base del giustificato motivo oggettivo il giudice deve applicare la tutela di cui al comma 4 dell’art. 18 quale risultante dalla novella della legge n. 92/2012 implicante la reintegra del lavoratore ed il pagamento di un’indennità risarcitoria nei limiti definiti dal comma medesimo.
9.4. Per orientamento consolidato di questa Corte, riaffermato anche nel vigore della modifica al testo dell’art. 18, legge n. 300/1970, introdotta dalla legge n. 92/2012, fatto costitutivo del giustificato motivo oggettivo è rappresentato sia dalle ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa sia dall’impossibilità di ricollocare altrove il lavoratore (cd. “repéchage”) (v. tra le altre, Cass. 20/10/2017 n. 24882; Cass. 05/01/2017, n. 160; Cass. 13/06/2016, n. 12101) e tale ricostruzione è stata avallata dalla Corte costituzionale la quale, nella sentenza n. 125/2022 cit., dopo avere ricordato che è onere del datore di lavoro dimostrare i presupposti legittimanti il licenziamento, alla luce dell’art. 5 della legge 15 luglio 1966, n. 604, che completa e rafforza, sul versante processuale, la protezione del lavoratore contro i licenziamenti illegittimi, con riferimento al licenziamento intimato per «ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa» (art. 3 della legge n. 604 del 1966) ha precisato che . << Il fatto che è all’origine del licenziamento per giustificato motivo oggettivo include tali ragioni e, in via prioritaria, il nesso causale tra le scelte organizzative del datore di lavoro e il recesso dal contratto, che si configura come extrema ratio, per l’impossibilità di collocare altrove il lavoratore ».
9.5. Dall’accoglimento del terzo motivo scaturisce l’assorbimento dei motivi quarto e sesto.
10. Il quinto motivo è inammissibile.
10.1. La sentenza impugnata ha escluso la natura ritorsiva o discriminatoria del licenziamento con espresso riferimento all’attività sindacale del P. (sentenza, pag. 6, quinto capoverso); ha escluso inoltre che il licenziamento fosse stato determinato esclusivamente dal diniego del lavoratore di sottoscrivere il verbale di conciliazione o fosse finalizzato esclusivamente alla sua estromissione, valorizzando in tal senso la accertata soppressione del posto occupato da P. presso il cantiere di Acerra (sentenza, pag. 7). Le doglianze articolate dal ricorrente sono inidonee alla valida censura della decisione sia in quanto ancorate all’inesatto presupposto della pretermessa considerazione dell’attività sindacale del lavoratore da parte della sentenza impugnata, sia in quanto, pur formalmente veicolate mediante la deduzione di violazione di norme di diritto, risultano in concreto intese a sollecitare un riesame nel merito della verifica circa il carattere ritorsivo o discriminatorio connesso all’espletamento di attività sindacale del P., riesame precluso al giudice di legittimità al di fuori della rigorosa denunzia del vizio di motivazione ( v. per tutte Cass. Sez. Un. 07/04/2014, n. 8053) , nello specifico mancante.
Tale considerazione assorbe l’ulteriore profilo di inammissibilità collegato alla modalità di evocazione delle circostanze fattuali alla base della richiesta di riesame, non coerente con le prescrizioni dell’art. 366, comma 1, n. 6 cod. proc. civ.. Manca infatti la indicazione della sede, nell’ambito del giudizio di merito, degli atti e documenti dai quali emergerebbe la risultanza invocata oltre che la trascrizione o esposizione per riassunto del relativo contenuto (Cass. 13/11/2018, n. 29093; Cass. 11/01/2016, n. 195 Cass. 19/08/2015, n. 16900; Cass. 11/01/2016 n. 195; Cass. 12/12/2014 n. 26174; Cass. Sez. Un. 25/03/2010, n. 7161).
11. In base alle considerazioni che precedono, il terzo motivo di ricorso deve essere accolto, respinti – in quanto inammissibili – il primo, il secondo ed il quinto motivo di ricorso, assorbiti il quarto e il sesto, e la sentenza impugnata cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio al giudice di merito per il riesame della fattispecie alla luce della modifica del quadro normativo conseguente alle richiamate dichiarazioni di incostituzionalità.
12. Alla Corte di rinvio è demandato il regolamento delle spese di lite del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il terzo motivo di ricorso e dichiara inammissibili il primo, il secondo ed il quinto motivo, assorbiti il quarto e il sesto. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche ai fini del regolamento delle spese del giudizio di legittimità, alla Corte di appello di Salerno in diversa composizione.
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