CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 19 aprile 2018, n. 9725
Contratto di lavoro a termine – Illegittimità – Ripristino del rapporto in diversa sede – Momento rilevante per la valutazione della disponibilità dei posti – Trasferimento del lavoratore ad altra unità produttiva – Mutamento giustificato da sufficienti ragioni tecniche, organizzative e produttive
Svolgimento del processo
Con sentenza del 24.4.2013 la corte d’Appello di Bologna ha accolto l’appello di P.I. spa e, in riforma della sentenza del Tribunale di Bologna del 18.2.2008, ha respinto la domanda di G. I. diretta a far accertare l’illegittimità del trasferimento comunicatole dalla datrice di lavoro il 13.10.2006, a seguito dell’illegittimità del termine apposto al contratto stipulato tra le parti nel giugno 1999, accertata dal Tribunale di Rieti con sentenza del maggio 2006.
La Corte territoriale ha disatteso le motivazioni del Tribunale della stessa città che aveva accertato l’obbligo della società datrice di lavoro di ripristinare il rapporto nella sede in cui l’I. era stata assunta ed il rapporto si era svolto, ritenendo invece che il momento rilevante per la valutazione della disponibilità dei posti in cui riammettere la lavoratrice, in adempimento della sentenza del Tribunale di Rieti, andasse identificato con quello della data di ripristino in servizio, in linea con quanto disposto dall’accordo sindacale del 29.7.2004, ripristino avvenuto con provvedimento del 13 ottobre 2006, a cui era seguito in data 19.10.2006, la comunicazione della destinazione all’ufficio di Pianoro. Per la Corte infatti P. aveva provato, attraverso la produzione degli elenchi dei comuni “eccedentari e non”, la situazione di eccedentarietà degli uffici di Rieti e che l’ufficio di Pianoro rappresentava la sede più vicina a quella di provenienza.
Era ininfluente infine, secondo la corte di merito, la sussistenza del riconosciuto status di grave disabilità dei genitori della lavoratrice, ai sensi della legge n. 104/1992, rilevando nel caso in esame solo la situazione esistente al momento del trasferimento adottato il 19.10.2006, mentre invece la certificazione rilasciata dalla Commissione Medica di verifica risaliva al 22.1.2007, quindi a momento successivo all’ adozione del provvedimento di trasferimento.
Avverso la sentenza ha presentato ricorso la I. affidato a due motivi, cui ha opposto difese con controricorso P.I.
Motivi della decisione
Con il primo motivo di ricorso la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2103, 1418 c. c. e dell’accordo collettivo del 29.7.2004 ai sensi dell’art. 360 c. 1, n. 3 c.p.c.. Secondo la ricorrente il momento in cui verificare l’eccendentarietà non può che coincidere con quello dell’accertamento giudiziale ottenuto con la sentenza, che ha data certa e che quindi cristallizza la situazione dell’organico a tale data, così ancorando il procedimento di ripristino ad un organico in cui anche la lavoratrice era compresa. Le esigenze organizzative che legittimano un trasferimento non possono essere condizionate dalla discrezionalità con cui la società sceglie il momento in cui dare esecuzione all’ordine giudiziale, attuandolo in momenti successivi, quando la situazione dell’organico si sia modificato e completato, proprio a causa del venire meno del lavoratore illegittimamente estromesso. Nel caso in esame la società ha atteso cinque mesi prima di eseguire la sentenza del Tribunale e riammettere in servizio la I.
Adire della ricorrente le sopravvenute esigenze tecniche, organizzative e produttive che legittimano il trasferimento non devono essere causate proprio dalla mancata riammissione in servizio nel posto prima occupato, dovendosi trattare di un meccanismo ripristinatorio con effetto ex tunc, come per il licenziamento.
Il motivo non può trovare accoglimento.
Questa Corte ha più volte statuito (cfr. Cass. 121123/2002, Cass. 27844/2009, Cass. n. 19095/2013, cass. n. 11927/2013) che l’ottemperanza del datore di lavoro all’ordine giudiziale di riammissione in servizio, a seguito di accertamento della nullità dell’apposizione di un termine al contratto di lavoro, implica il ripristino della posizione di lavoro del dipendente, il cui reinserimento nell’attività lavorativa deve avvenire nel luogo precedente e nelle mansioni originarie, precisando tuttavia che ove il datore di lavoro intenda disporre il trasferimento del lavoratore ad altra unità produttiva, tale mutamento della sede deve essere giustificato da sufficienti ragioni tecniche, organizzative e produttive, in mancanza delle quali è configurabile una condotta datoriale illecita, che giustifica la mancata ottemperanza a tale provvedimento da parte del lavoratore, sia in attuazione di un’eccezione di inadempimento ai sensi dell’art. 1460 cod. civ., sia sulla base del rilievo che gli atti nulli non producono effetti”.
Non può ritenersi che tale principio non sia stato ottemperato dalla datrice di lavoro la quale, sia pure con qualche ritardo rispetto alla decisione giudiziale, ha ripristinato il rapporto della I. con lettera del 13 ottobre 2006 presso l’ufficio postale di Rieti e poi disposto, in data 19.10.2006 il suo trasferimento a Pianoro, giustificandolo con la situazione di “eccedentarietà” presso l’ufficio di provenienza, richiamando l’accordo sindacale 29.7.2004 nella lettera di trasferimento.
Ed invero il momento per la valutazione della disponibilità dei posti non poteva che essere collegato alla statuizione di condanna al ripristino del rapporto di cui alla sentenza di primo grado, non certo alla situazione esistente all’atto della cessazione del rapporto, avvenuta il 1° giugno 1999, come sostanzialmente sostenuto dalla ricorrente.
Ma ancora va rilevato che il momento della effettiva verifica richiesta dall’accordo sindacale del 29.7.2004 non può neanche coincidere con quello della pronuncia della sentenza, perché l’accordo prevede che la situazione di eccedentarietà vada accertata “al momento della riammissione ” in servizio, dovendo il datore di lavoro valutare in relazione a tale momento l’esigenza di ricollocare il personale tenuto conto della peculiarità della vicenda che, come noto, ha coinvolto un numero elevato di lavoratori a termine in tutta Italia” (cosi Cass. n. 12093/2017). Peraltro stabilire poi se, nel singolo caso concreto, i tempi tecnici trascorsi siano o meno ragionevoli rispetto alla data di pronuncia della sentenza di ripristino , è dato che attiene alla valutazione merito (anche su punto cfr Cass. n. 12093 citata).
Conseguentemente la verifica delle ragioni tecniche, organizzative del trasferimento andavano collegate alla situazione esistente nel 2006, all’atto dell’immissione in servizio. Va peraltro rilevato che la ricorrente nel motivo di ricorso ha lamentato la violazione dell’art. 2103 c.c. in particolare con il solo riferimento alla violazione dell’accordo sindacale del 29.7.2004 e dunque dei criteri in esso stabiliti per determinare appunto la situazione di eccedetantarietà che, alla luce dell’art. 37 del ccnl, P. ha ritenuto configurare la ragione tecnico organizzativa che legittimava il trasferimento.
Sul punto non può pertanto sindacarsi la sentenza impugnata che ha esaminato le condizioni legittimanti il provvedimento di trasferimento, facendo riferimento alle produzioni documentali di P. – in particolare elenco dei Comuni eccedentari e non provando altresì che Pianoro rappresentava la struttura più vicina in termini di distanza chilometrica fra quelle in cui all’atto della riammissione , vi era disponibilità di posti.
Con secondo motivo di ricorso la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione della legge, n. 104/1992 dell’cui all’art. 33 n. 4, in relazione art. 360 c. 1, n. 3 c.p.c., per avere ritenuto la corte la natura costitutiva e non dichiarativa dell’accertamento effettuato dalla commissione medica di verifica del 22.1.2007, a seguito della domanda di riconoscimento dello stato di handicap grave presentata dal genitore in data 22 luglio 2006, e comunicata dalla imperatore alla società P. spa, e per avere quindi, escluso la Corte territoriale la sussistenza del diritto della I. a non essere trasferita in luogo lontano dalla residenza del genitore portatore di handicap grave.
Il motivo è in parte inammissibile per difetto di autosufficienza, atteso che i documenti indicati in ricorso non sono stati trascritti, né indicata la precisa e corretta collocazione nel fascicolo di parte, solo essendo stato indicato nel corpo del ricorso un numero di collocazione in quello che dovrebbe essere il fascicolo di parte primo grado.
Ma comunque anche volendo ritenere sufficiente l’indicazione così come offerta (cfr Cass. n. 195/2016) il motivo è infondato. Al momento del trasferimento, comunicato con lettera del 19 ottobre 2006, la ricorrente non aveva ancora acquisito il rivendicato diritto ex art. 33 citato. In tale data infatti la I. non era in possesso della certificazione relativa allo stato gravemente invalidante del genitore che le consentiva di ottenere una sede di lavoro, “ove possibile” più vicina al proprio domicilio. Tale certificazione è stata rilasciata al genitore soltanto in data 22.1.2007 dalla Commissione medica per le invalidità civili.
Il diritto a scegliere la sede più vicina al domicilio del genitore affetto da handicap grave o di non essere trasferito da tale sede è condizionato all’accertamento dall’apposita Commissione sanitaria di cui all’art. 4 delle legge n. 104/1992, non essendo consentita la sua dimostrazione mediante documentazione medica di diversa provenienza (cfr Cass. n. 18223/2011, Cass. n. 10338/2013).
All’epoca del trasferimento tale condizione ancora non sussisteva, dunque non sussisteva l’obbligo della datrice di lavoro di mantenere la lavoratrice nella sede più vicina al domicilio del genitore; né la natura dichiarativa dell’accertamento della Commissione medica può far retroagire, come propone la ricorrente, già alla data del provvedimento di trasferimento dell’ottobre 2006, il diritto della I. di non essere trasferita presso la sede individuata in base ai criteri di cui al citato accordo sindacale del 2004.
Il ricorso deve quindi essere respinto e le spese di lite del presente giudizio vanno P. a carico della ricorrente, soccombente.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite del presente giudizio che liquida, euro 200,00 per esborsi e di euro 3000,00 per compensi professionali, oltre le spese generali al 15% gli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater DPR n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 – bis dello stesso art. 13.