CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 20 febbraio 2018, n. 4077
Diritto all’inquadramento superiore – Demansionamento – Risultanze istruttorie – Vizio di omessa o insufficiente motivazione – Non sussiste – Ricorso inammissibile
Fatti di causa
1. Con sentenza n. 5511/2011, depositata il 9 novembre 2011, la Corte di appello di Roma confermava la sentenza di primo grado, con la quale il Tribunale di Roma aveva respinto il ricorso di M.M. nei confronti di INARCASSA.
2. La Corte rilevava che la domanda di attribuzione della superiore Area B, in luogo dell’area e del livello di appartenenza (Cl), risultava infondata, tenuto conto che il tratto saliente della declaratoria dell’area rivendicata risiedeva nell’apporto concettuale del lavoratore alla propria prestazione con valutazione di merito dei casi concreti, mentre l’esame delle risultanze probatorie confermava l’assenza nella parte appellante di una qualsiasi forma di autonomia decisionale.
3. La Corte rilevava, quindi, come il demansionamento, che la lavoratrice lamentava essere intervenuto nei suoi confronti dopo il giugno 2002, fosse stato dedotto in relazione alla superiore Area B e non all’inquadramento assegnato e come, in ogni caso, di esso non fosse stata acquisita la prova.
4. Con riferimento, poi, alla legittimità del provvedimento disciplinare del richiamo scritto, la Corte richiamava le valutazioni del primo giudice, in quanto fondate sulle risultanze probatorie e non investite da specifiche doglianze da parte dell’appellante.
5. Escludeva, infine, che il Tribunale avesse omesso di pronunciare sulla domanda di restituzione delle somme trattenute sul premio aziendale, avendo considerato la questione assorbita nella ritenuta legittimità della sanzione disciplinare, e comunque osservava la Corte che le trattenute erano state operate dalla Cassa sulla base di un accordo sindacale del 2002, che ne ammetteva la possibilità in caso di manifesta mancanza di apporto individuale all’attività dell’Ente e di partecipazione al raggiungimento degli obiettivi, senza che sul punto la lavoratrice nulla avesse dedotto.
6. Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza la M. con quattro motivi; la Cassa ha resistito con controricorso, illustrato da memoria.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo viene dedotta omessa o insufficiente motivazione per avere la Corte, nel ritenere insussistente il diritto all’inquadramento superiore, richiamato soltanto alcuni passaggi delle testimonianze rese in proposito nel giudizio di primo grado, senza compiere le valutazioni necessarie in ordine agli ambiti di discrezionalità e al grado di complessità delle procedure, alle quali la ricorrente doveva attenersi e, in definitiva, non indicando in alcun modo le ragioni che portavano ad escludere la riconducibilità delle mansioni svolte al rivendicato livello B.
2. Con il secondo motivo viene dedotta omessa o insufficiente motivazione, oltre a vizio di violazione e falsa applicazione di norme di diritto con riferimento all’art. 2103 cod. civ., per avere la Corte ritenuto insussistente una situazione di demansionamento sulla base di mere e apodittiche affermazioni di principio, senza esaminare il contenuto e la natura delle mansioni assegnate dopo il 2002 e senza, in ogni caso, compararle con quelle svolte in precedenza.
3. Con il terzo motivo viene dedotta omessa motivazione sulla domanda di annullamento del provvedimento disciplinare per essersi la Corte di appello limitata a richiamare la correttezza, sul punto, della decisione di primo grado.
4. Con il quarto motivo viene infine dedotta insufficiente motivazione in merito al rigetto della domanda relativa al mancato pagamento integrale del premio di produttività per avere la Corte condiviso apoditticamente la valutazione di assorbimento (nella ritenuta legittimità della sanzione disciplinare) compiuta dal giudice di prime cure e, quanto al richiamato accordo sindacale del 28 giugno 2002, che avrebbe in ogni caso giustificato la decisione del datore di lavoro, senza valutare se vi fosse stata, da parte della ricorrente, effettiva assenza di apporto all’attività dell’Ente e di partecipazione al raggiungimento degli obiettivi.
5. Il primo e il secondo motivo di ricorso, che possono essere esaminati congiuntamente, risultano infondati, sulla base di considerazioni comuni ad entrambi.
6. Come più volte precisato, nel vigore della disciplina dell’art. 360 n. 5 anteriore alla riformulazione della norma intervenuta nel 2012, il vizio di omessa o insufficiente motivazione “sussiste solo se nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o deficiente esame di punti decisivi della controversia e non può invece consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte, perché la citata norma non conferisce alla Corte di legittimità il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice del merito al quale soltanto spetta di individuare le fonti del proprio convincimento e, a tale scopo, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, e scegliere tra le risultanze probatorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione” (cfr., fra le molte conformi, Cass. n. 6288/2011).
7. Nella specie, quanto al primo motivo, si osserva che la Corte, attraverso un percorso motivazionale logico e coerente, dopo avere posto a confronto le declaratorie contrattuali del livello richiesto e di quello attribuito dal datore di lavoro, ha escluso la sussistenza del tratto distintivo del superiore inquadramento, e cioè l’apporto concettuale del lavoratore alla propria prestazione con valutazione di merito dei casi concreti, mentre ha accertato, sulla base delle dichiarazioni dei testimoni escussi, lo svolgimento di attività in conformità a procedure non particolarmente complesse, così come previsto dall’inquadramento rivestito, e, pertanto, l’assenza, nei compiti affidati alla M., di una qualsiasi forma di autonomia decisionale.
8. D’altra parte, pur lamentando che la Corte di merito si fosse limitata a richiamare solo alcuni passaggi delle testimonianze rese nel primo grado di giudizio, la ricorrente non si è attenuta nella esposizione del motivo al principio di diritto, per il quale “la parte che denunci in sede di legittimità la mancata valutazione, da parte del giudice di merito, di prove documentali o testimoniali ha l’onere di riprodurre nel ricorso il tenore esatto della risultanza processuale il cui omesso o inadeguato esame è censurato, e ciò al fine di rendere possibile alla Corte di cassazione, sulla base del solo ricorso e senza necessità di indagini integrative non consentite, di valutare la pertinenza e la decisività di quelle risultanze” (Cass. n. 15751/2003 e successive numerose conformi).
9. Quanto al secondo motivo, la Corte di merito ha rilevato anzitutto come il lamentato demansionamento fosse stato dedotto dalla lavoratrice con riguardo al livello superiore oggetto di domanda (e non a quello di effettivo inquadramento), secondo ciò che doveva desumersi dalla lettera inviata dalla M. il 21 giugno 2002 e dal tenore del ricorso di primo grado: accertamento, questo, che peraltro non risulta specificamente censurato dalla ricorrente, la quale, senza trascrivere o riportare nei passi rilevanti il contenuto della lettera citata e dell’atto introduttivo, con violazione del canone di specificità stabilito dall’art. 366 cod. proc. civ., si è limitata ad una generica e indimostrata negazione della possibilità di derivare da tali documenti le conclusioni raggiunte dal giudice di appello.
10. Si deve inoltre osservare, ancora con riferimento al secondo motivo, come la Corte abbia comunque valutato l’attività svolta dalla M. successivamente al giugno 2002, stabilendo, sulla base di un’ampia ricognizione delle risultanze delle prove testimoniali, come le mansioni alla medesima assegnate dopo tale data non fossero tali, in concreto, da comportare una diminuzione del patrimonio di professionalità della lavoratrice, con conseguente insussistenza del denunciato vizio di violazione e falsa applicazione dell’art. 2013 cod. civ., in particolare sottolineando a tale proposito che sia il teste R. che il teste R. avevano “precisato come i moduli di gestione del protocollo ed i moduli di gestione delle fatture siano simili nella logica del processo e nelle modalità di utilizzo” (cfr. sentenza impugnata, p. 5).
11. Risultano poi inammissibili, per difetto di autosufficienza del ricorso, sia il terzo che il quarto motivo.
12. In particolare, il terzo motivo non censura specificamente quella parte di motivazione della sentenza impugnata, in cui la Corte territoriale, richiamata la decisione appellata e le valutazioni compiute dal giudice di primo grado sulla scorta degli esiti dell’istruttoria, ha ritenuto che non fosse stata formulata dalla lavoratrice “alcuna specifica doglianza” in ordine alle stesse (p. 5), non riportando il motivo in esame il ricorso in appello, quanto meno nei punti o nei passaggi che avrebbero potuto contrastare tale conclusione, e di conseguenza non consentendo di stabilire se e quali critiche, non considerate dalla Corte, fossero state invece rivolte alla decisione di primo grado.
13. Con riferimento, poi, al quarto motivo, si rileva come la ricorrente non deduca, con lo stesso, di non avere prospettato – diversamente da quanto rilevato in sentenza (p. 5) – la riduzione del premio di produttività “solo come conseguenza diretta della (ritenuta) illegittima sanzione disciplinare” ma anche quale illegittima applicazione, da parte datoriale, dell’accordo sindacale del 28/6/2002, lasciando così, in sostanza, priva di censura la concorrente e autonoma ragione decisoria, fondata su tale accordo e sulla accertata sussistenza dei presupposti da esso previsti per la decurtazione (sino al 10%) del premio, e di conseguenza facendo venir meno l’interesse ad impugnare la restante parte della motivazione, là dove la Corte territoriale ha ritenuto di dover condividere la pronuncia di assorbimento.
14. In conclusione, il ricorso deve essere respinto.
15. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
Respinge il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in euro 200,00 per esborsi e in euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso spese generali al 15% e accessori di legge.
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