CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 03 marzo 2020, n. 5730
Qualificazione rapporto – Sussistenza di un unico rapporto di lavoro subordinato – Accertamento – Prova – Differenze di retribuzione
Rilevato che
il Tribunale di Catanzaro rigettava la domanda, proposta da F.C. nei confronti di S.G., di accertamento della sussistenza di un unico rapporto di lavoro subordinato dal 1990 al 2006 e di condanna al pagamento di € 223.084,84;
la Corte di appello di Catanzaro, con sentenza nr. 193 del 2017, in parziale accoglimento del gravame del lavoratore, condannava S.G. al pagamento della somma di € 41.444,00, a titolo di differenze di retribuzione;
in estrema sintesi, la Corte territoriale ha confermato la decisione di primo grado in punto di mancato riconoscimento di un unico rapporto di lavoro subordinato a decorrere dal 1990; tuttavia, in relazione al periodo del rapporto non in contestazione (id est in relazione al periodo decorrente dal novembre 2000), ha ritenuto accertato un credito per indennità di cassa, lavoro straordinario, ferie, permessi non goduti e TFR nella misura per cui ha pronunciato condanna;
per quanto qui maggiormente rileva, la Corte territoriale ha osservato come non fosse emersa la prova della dedotta unicità del rapporto lavorativo, dapprima alle dipendenze della società G.S. & C. snc e poi della ditta individuale di S.G.; invero, secondo i giudici di merito «a fronte della genericità estrema» delle dichiarazioni testimoniali dalle quali emergeva che, in un momento temporalmente non bene identificato, «quasi tutti i lavoratori […]» passavano alle dipendenze della ditta individuale, vi era la circostanza, specificamente dedotta dal convenuto e mai contestata dal ricorrente, del licenziamento di quest’ultimo da parte della s.n.c. in data 19.4.2000, con contestuale erogazione del dovuto T.F.R.;
avverso la decisione, ha proposto ricorso per cassazione F.C., articolato in due motivi;
ha resistito, con controricorso, S.G.; è stata comunicata alle parti la proposta del giudice relatore unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio non partecipata.
Considerato che
con il primo motivo è dedotta – ai sensi dell’art. 360 nr. 4 cod.proc.civ. – la omessa pronuncia parziale con violazione degli artt. 420 e 437 cod.proc.civ.;
secondo il ricorrente, la Corte territoriale non avrebbe pronunciato pienamente sul primo motivo di appello con cui si denunciava l’ingiusta esclusione, da parte del Tribunale, del capo 4 della prova orale che verteva sulla circostanza relativa al fatto che il lavoratore «avesse (o meno) lavorato inizialmente presso il punto vendita di Bellino e successivamente (e cioè dall’aprile del 2000) presso il punto vendita di viale M.G.»;
il motivo è infondato, non configurando l’esposta deduzione il vizio di omessa pronunzia ex art. 112 cod.proc.civ.;
per costante giurisprudenza, infatti, ricorre il vizio di omessa pronuncia qualora sia stato completamente omesso il provvedimento indispensabile per la soluzione del caso concreto, il che si verifica quando il giudice non decide su alcuni dei capi della domanda, che siano autonomamente apprezzabili (v. ex multis, in motiv., Cass. nr. 22177 del 2019 con i richiami a Cass. nr. 6876 del 1992), ovvero sulle eccezioni proposte ovvero quando pronuncia solo nei confronti di alcune parti (Cass. nr. 8266 del 1997; Cass. nr. 4377 del 1976);
il richiamo alle argomentazioni, ragioni o motivi esposti per ottenere un provvedimento giurisdizionale è estraneo, invece, al vizio in oggetto poiché il vizio di «omessa pronuncia» si concreta nel difetto del momento decisorio, mentre il mancato o insufficiente esame delle argomentazioni delle parti, eventualmente svolte nei motivi di appello, può integrare un vizio di natura diversa relativo all’attività svolta dal giudice per supportare l’adozione del provvedimento, senza che possa ritenersi mancante il momento decisorio (Cass. nr. 3388 del 2005, richiamata da Cass. nr. 22177 del 2019 sopra cit.);
con il secondo motivo – ai sensi dell’art. 360 nr. 5 cod.proc.civ. – è dedotto omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, con violazione dell’art. 115 cod.proc.civ.;
secondo il ricorrente, la Corte territoriale non avrebbe (correttamente) valutato le risultanze delle deposizioni orali ed in particolare le dichiarazioni dei testi Gardi, Santo ed Assara; all’esito delle stesse, a giudizio della parte ricorrente, occorreva pervenire « a conclusioni di segno (diverso rispetto) a quelle cui è pervenuta la Corte ( di merito)»;
il motivo è inammissibile per porsi del tutto al di fuori dell’ambito di applicazione dell’art. 360 nr. 5 cod.proc.civ. (ratione temporis applicabile), secondo gli enunciati di Cass., sez.un., nn. 8053 e 8054 del 2014 (principi costantemente ribaditi dalle stesse Sezioni unite v. nr. 19881 del 2014, nr. 25008 del 2014, nr. 417 del 2015, oltre che dalle Sezioni semplici);
il ricorrente non censura affatto l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, ma la valutazione delle prove orali, demandate al giudice di merito e sottratte al sindacato di legittimità;
è, infatti, solo il caso di ricordare che l’omesso esame di elementi istruttori, in quanto tale, non integra l’omesso esame circa un fatto decisivo previsto dalla norma, quando il fatto storico rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti (Cass., sez. un., nr. 8053 cit.);
in base alle argomentazioni svolte, il ricorso va, dunque, rigettato, con le spese liquidate, come da dispositivo, secondo soccombenza;
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 4.000,00 per compensi professionali, in euro 200,00 per esborsi oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
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