CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 21 maggio 2018, n. 12448
Licenziamento – Reintegrazione nel posto di lavoro – Mancanza di tempestiva impugnazione – Comunicazione del secondo licenziamento
Fatti di causa
1. N.P. ha adito, ai sensi dell’art. 1 comma 48 Legge n. 28/06/2012 n. 92, il giudice del lavoro chiedendo l’accertamento della illegittimità del licenziamento intimatole in data 1.2.2013 e la condanna di B.I.F. s.r.I., B.I. s.r.l. e S.B. (quest’ultimo in veste di socio occulto delle altre convenute) configurati quale unico soggetto datore di lavoro, alla reintegrazione nel posto di lavoro ed al pagamento delle retribuzioni maturate dalla data del licenziamento a quella di effettiva reintegra.
1.1. Con l’ordinanza resa ai sensi dell’art. 1 comma 4951 Legge n. 92/2012 cit. il giudice ha accertato la illegittimità del licenziamento respingendo la domanda di reintegrazione.
2. La sentenza che ha definito il giudizio di opposizione avverso la richiamata ordinanza ha dichiarato la illegittimità del licenziamento intimato a N.P. il 1 febbraio 2013; ha dichiarato che il licenziamento intimato in data 12 febbraio 2013 era divenuto definitivo per mancanza di tempestiva impugnazione; ha respinto la domanda di reintegrazione nel posto di lavoro e condannato le società convenute al pagamento della retribuzione maturata dal 1.2.2013 al 18.3. 2013.
3. La decisione è stata confermata dal giudice di secondo grado che ha respinto i reclami proposti da entrambe le parti .
3.1. Per quel che ancora rileva la Corte di merito ha confermato, sulla base delle emergenze in atti, la configurabilità di un’unica impresa tra le società I.F. s.r.l. e I. s.r.l. mentre ha escluso che di tale impresa fosse parte, quale socio occulto, L. S. B., il quale aveva operato sempre in veste formale ora per l’una ora per l’altra società; ha ritenuto ammissibile la eccezione di mancata impugnazione del rinnovato licenziamento, senza necessità di disporre la separazione delle cause ai sensi dell’art. 1 comma 56 Legge 92/2012 cit.; ciò in quanto la prospettazione difensiva della I.F. s.r.I., pur ampliando il tema della controversia, era esclusivamente finalizzata alla reiezione della domanda attorea di reintegrazione mediante opposizione di un fatto – intervenuta definitività del secondo licenziamento- idoneo paralizzarla; in merito alle deduzioni attinenti all’inefficacia della comunicazione del secondo licenziamento, avvenuta presso recapiti diversi dal domicilio eletto presso il sindacato in occasione dell’impugnazione del primo licenziamento, il giudice del reclamo ha osservato che la autonomia ontologica dei due atti di recesso, pur intimati per il medesimo fatto, escludeva che la elezione di domicilio effettuata in relazione alla vertenza afferente al primo licenziamento dovesse valere anche per il secondo licenziamento; era, al contrario, valida la comunicazione effettuata presso la residenza dichiarata ed ufficialmente attestata e, in sequenza, presso il domicilio effettivo della P., con inequivoca identificazione della destinataria la quale non aveva dato prova di alcuna seria, ragionevole impossibilità di ricevimento delle comunicazioni. Dall’autonomia, dei due atti di licenziamento discendeva anche la giuridica impossibilità di estendere alla seconda intimazione gli effetti dell’impugnazione del primo licenziamento; alcuna preclusione poi sussisteva alla rinnovazione del licenziamento in relazione al medesimo addebito disciplinare di talchè risultava priva di pregio la costruzione della lavoratrice che aveva sostenuto il vizio del secondo recesso sotto il profilo dell’abuso del diritto e della illiceità della causa. La mancata tempestiva impugnazione del secondo licenziamento rende non esaminabili i vizi denunziato come allo stesso afferenti
4. Per la cassazione della decisione ha proposto ricorso N. P. sulla base di tre motivi; B.I.F. s.p.a. ha resistito con tempestivo controricorso e ricorso incidentale affidato ad un unico motivo. S. S. s.r.l. (già B.I. s.r.I.) e S. L. B. non hanno svolto attività difensiva.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo parte ricorrente principale deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 1 comma 56 Legge n. 92 /2012 e dell’art. 418 cod. proc. civ., censurando, in sintesi, la decisione per avere ritenuto ammissibile la domanda delle società intesa a far valere la legittimità del secondo licenziamento; la proposizione di tale domanda, configurante domanda riconvenzionale, risultava, infatti, preclusa in base alla specifica disciplina dettata dal comma 56 dell’art. 1 Legge cit., trattandosi di domanda fondata su un fatto costitutivo – recesso datoriale del 12.2.2013- diverso da quello posto a base della domanda principale. Ove ritenuta ammissibile, tuttavia, il giudice dell’opposizione avrebbe, comunque, dovuto disporre un differimento dell’udienza di discussione ai sensi dell’art. 418 cod. proc.civ.
2. Con il secondo motivo deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 47 cod. civ., dell’art. 1335 cod. civ. e dell’art. 1375 cod. civ. censurando, in sintesi, la valutazione di idoneità della comunicazione del secondo licenziamento. In particolare insiste sul fatto la elezione di domicilio effettuata in relazione al primo licenziamento presso il sindacato, in quanto riferita alla “presente vertenza”, doveva valere anche in relazione al secondo licenziamento fondato sul medesimo fatto alla base del primo; sostiene, inoltre, che, secondo quanto emerso dall’istruttoria, l’elezione di domicilio presso il sindacato rispondeva all’esigenza di consentire la corretta ricezione della corrispondenza, alla luce di specifiche “problematiche” dovute a vicissitudini familiari – note all’azienda – relative all’indirizzo corrispondente alla formale residenza sita in Modena. La datrice di lavoro, ben a conoscenza di tali problematiche, avrebbe dovuto inviare la lettera di licenziamento in Reggio Emilia, Via F.B., dove la dipendente abitava insieme alla madre; inspiegabilmente, tuttavia, la comunicazione inviata a quest’ultimo indirizzo era stata effettuata alla P. non direttamente ma alla di lei madre ed era, quindi, per tale ragione inidonea a valere quale rituale comunicazione del licenziamento.
3. Con il terzo motivo deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 47, 1335 e 1375 cod. civ., violazione ed errata applicazione dell’art. 18, comma 10, dell’art. 7 Legge 0/05/1970 n. 300 dell’art. 7 L. n. 300/1970 e dell’art. 1343 cod. civ.. Censura la sentenza impugnata per non avere considerato che la intimazione del secondo licenziamento conteneva anche la revoca del primo licenziamento la quale, per ritenersi correttamente effettuata, doveva essere indirizzata al domicilio eletto presso il sindacato ; la circostanza che la revoca era stata inviata in un domicilio diverso la rendeva illegittima con l’effetti di escludere la configurabilità del secondo licenziamento quale atto autonomo rispetto al primo. Inoltre, la presenza in un unico atto della revoca del primo licenziamento e della contestuale intimazione del secondo sulla base del medesimo fatto si poneva in contrasto con la ratio che nell’ambito del novellato art. 18, comma 10, Legge n. 300/1970 assumeva la revoca del licenziamento quale atto inteso a determinare la continuità giuridica del rapporto; ciò comportava la nullità, per illiceità della causa, del secondo licenziamento . Infine doveva escludersi la stessa possibilità di rinnovo del secondo licenziamento quale effetto della consumazione del potere disciplinare esercitato con il primo.
4. Con l’unico motivo di ricorso incidentale la società B. I.F. s.p.a. deduce violazione e falsa applicazione del novellato art. 18 Legge n. 300/1970 con riferimento all’applicabilità al caso di specie del rito di cui all’art. 1 comma 48 relativamente alla questione della ritenuta unicità aziendale fra le due società B.I.F. s.r.l. e B.I. s.r.l. Assume che l’accertamento della esistenza di un unico soggetto datore di lavoro è frutto del travisamento del meccanismo regolante il rapporto tra le due aziende nonché delle risultanze istruttorie relativa agli elementi destinati a connotare la esistenza di un unico centro di imputazione pur in presenza di soggetti formalmente distinti.
5. Il primo motivo di ricorso principale è inammissibile in quanto non idoneo a censurare la effettiva ragione alla base del decisum della sentenza impugnata. Il giudice del reclamo ha ritenuto che la questione introdotta dalla società in punto di mancata impugnazione del secondo licenziamento era finalizzata esclusivamente a paralizzare la richiesta di reintegra avanzata dalla P., e non configurava, pertanto, una autonoma domanda riconvenzionale. Tale ricostruzione, coerente con la giurisprudenza di questa Corte (Cass. 16/03/2012 n. 4233), non è contrastata in modo argomentato dalla odierna ricorrente principale la quale si limita a contrapporre alla stessa una diversa interpretazione delle deduzioni difensive di controparte nelle fasi di merito, interpretazione affidata, peraltro, in violazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, ad alcune frasi, estrapolate dal contesto di riferimento, degli scritti difensivi di controparte nel quale la questione è posta e, pertanto, intrinsecamente inidonee a dare contezza ex actis dell’errore ascritto al giudice di appello. Quanto ora rilevato in punto di corretta qualificazione delle difese svolte dalla società assorbe le ulteriori deduzioni connesse alla violazione dell’art. 1 comma 56 Legge n. 92 /2012 e dell’art. 418 cod. proc. civ.
6. Il secondo motivo di ricorso è inammissibile. La Corte di merito ha ritenuto che la elezione di domicilio effettuata presso la sede sindacale doveva ritenersi riferita al solo licenziamento intimato in data 1.2.2013 e non spiegava alcun effetto in merito alla comunicazione del secondo licenziamento. Le censure articolate con il motivo in esame non sono idonee a contrastare tale accertamento posto che parte ricorrente, senza dedurre alcuna violazione delle regole ermeneutiche di interpretazione degli atti giuridici, si limita a prospettare una diversa interpretazione di tale atto, in particolare con riferimento al significato dell’espressione “presente vertenza”; incorre, inoltre nella violazione dell’art. 366 n. 6 cod. proc. civ. in quanto omette la trascrizione dell’atto della cui interpretazione si duole e non offre indicazioni utili al reperimento dello stesso nell’ambito del giudizio di merito (Cass. 12/12/2014 n. 26174).
6.1. Quanto alle comunicazioni del secondo licenziamento effettuate dapprima presso la residenza dichiarate e, quindi, presso il domicilio di via F.B. in Reggio Emilia, la Corte di merito ha ritenuto che tale seconda comunicazione concerneva il domicilio effettivo della P. e che vi era stata inequivoca identificazione della destinataria per cui la comunicazione doveva ritenersi rituale. Le censure articolate dalla ricorrente non si rivelano idonee a contrastare tale accertamento perché si limitano a contrapporre, in termini apodittici, alla valutazione del giudice del merito una diversa valutazione in ordine alla idoneità della comunicazione effettuata presso l’indirizzo di Reggio Emilia, incorrendo, in relazione alla relata di notificazione presso quest’ultimo indirizzo, nella violazione dell’art. 366 n. 6 cod. proc. civ. per omessa riproduzione del relativo contenuto e per omessa indicazione di dati utili al reperimento dell’atto nell’ambito del fascicolo di merito come, invece prescritto ( v. Cass. 26175/29014 cit. ) Quanto ora rilevato assorbe ogni profilo attinente alla dedotta violazione del principio di buona fede.
7. Il terzo motivo di ricorso è inammissibile laddove collega le denunziate violazioni di norme di diritto alla questione della compresenza, in un unico atto, della revoca del precedente licenziamento e della intimazione del secondo licenziamento.
Tale specifica questione, implicate accertamento di fatto, non è stata affrontata dalla sentenza impugnata per cui si applica il principio, ripetutamente affermato da questa Corte, secondo il quale in tema di ricorso per cassazione, qualora una determinata questione giuridica – che implichi accertamenti di fatto – non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga la suddetta questione in sede di legittimità, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità, per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa.. tra le altre, Cass. 28/01/2013 n. 1435; Cass. 28/07/2008 n. 20518; Cass. 20/10/2006 n. 22540).
7.1. Il motivo risulta infondato nel merito laddove denunzia il contrasto con la ratio dell’art. 18, comma 10, Legge n. 300/1970, nel testo novellato risultante dalla modifica introdotta dall’art. 1, comma 42, della Legge 92/2012 cit., della ritenuta legittimità della revoca del primo licenziamento. La previsione della possibilità di revoca del licenziamento, contenuta in ben precisi limiti temporali, senza effetti sulla continuità giuridica del rapporto risulta, nell’ottica del Legislatore del 2012, finalizzata a favorire il ripensamento da parte del datore di lavoro circa la decisione di risolvere il rapporto ed a sottrarlo alle conseguenze sanzionatorie previste dall’art. 18 cit. in caso di licenziamento illegittimo. In tale aspetto si esaurisce il contenuto normativo della previsione posto che né il dato testuale né la sua specifica ratio consentono di collegarvi un divieto generale di revoca del licenziamento, ove intervenuta al di fuori degli indicati limiti temporali. Per tali ipotesi trova, infatti, applicazione la consolidata giurisprudenza di questa Corte secondo la quale è consentita la rinnovazione del licenziamento disciplinare nullo per vizio di forma in base agli stessi motivi sostanziali determinativi del precedente recesso, risolvendosi tale rinnovazione nel compimento di un negozio diverso dal precedente, che, pertanto esula dallo schema dell’art. 1423 cod. civ., norma diretta ad impedire la sanatoria di un negozio nullo con effetti “ex tunc” e non a comprimere la libertà delle parti di reiterare la manifestazione della propria autonomia negoziale ( Cass. 06/11/2006 n. 23641; Cass. 27/06/1998 n. 6396). Tale principio vale anche se il primo licenziamento è “sub iudice” (Cass. 07/04/2001 n. 5226; Cass. 16/04/1994 n. 3633).
8. Il motivo di ricorso incidentale è inammissibile in quanto parte ricorrente incidentale, pur formalmente denunziando violazione di norme di diritto, incentra le proprie censure esclusivamente sull’accertamento di fatto operato dal giudice di secondo grado circa la configurabilità in relazione alle due società di un unico soggetto giuridico al quale riferire le conseguenze del licenziamento della P.. Tale accertamento risulta, infatti , contrastato con modalità non coerenti all’attuale formulazione del motivo di cui all’art. 360 n. 5 cod. proc. civ. posto che parte ricorrente non individua alcun fatto storico, oggetto di discussione tra le parti, di rilevanza decisiva al fine dell’esclusione della esistenza di un unico centro di imputazione fra le società .
9. A tutto quanto sopra consegue il rigetto del ricorso principale e del ricorso incidentale con integrale compensazione delle spese di lite per la reciproca soccombenza.
10. In ordine alla circostanza che sia la notifica del ricorso principale che la notifica del controricorso con ricorso incidentale, non risultano correttamente effettuate alla S.S. (già B. I. s.r.l. e a S. L. B., i quali non hanno svolto attività difensiva, si rileva che, come già statuito da questa Corte (cfr. Cass. 17/06/2013 n. 15106; Cass. Sez. Uni. 22/03/2010 n. 6826), il rispetto del diritto fondamentale ad una ragionevole durata del processo impone al giudice (ai sensi degli artt. 175 e 127 cod. proc. civ. pc) di evitare comportamenti che siano di ostacolo ad una sollecita definizione dello stesso, tra i quali rientrano quelli che si traducono in un inutile dispendio di attività processuali e formalità superflue perché non giustificate dalla struttura dialettica del processo e, in particolare, dal rispetto effettivo del principio del contraddittorio e delle garanzie di difesa e dal diritto a partecipare al processo in condizioni di parità. Ne deriva che, acclarata l’infondatezza del ricorso in oggetto alla stregua delle considerazioni sopra svolte, sarebbe comunque vano disporre la fissazione di un termine per la rinnovazione di una notifica nulla o inesistente, atteso che la concessione di esso si tradurrebbe, oltre che in un aggravio di spese, in un allungamento dei tempi di definizione del giudizio di cassazione senza comportare alcun beneficio in termini di garanzia dell’effettività dei diritti processuali delle parti.
11. Nulla va disposto, conseguentemente, in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità nei confronti delle parti non costituite.
12. La circostanza che il ricorso principale ed il ricorso incidentale siano stati proposti in tempo posteriore al 30 gennaio 2013 impone di dar atto dell’applicabilità dell’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso principale e il ricorso incidentale. Compensa le spese di lite.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte delle ricorrenti, principale e incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale e per il ricorso incidentale a norma del comma 1 bis dello stesso art.13.
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