CORTE di CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 31503 depositata il 20 luglio 2023
Infortuni sul lavoro – Morte del socio – Beneficio della sospensione condizionale della pena – Reato di cui all’articolo 589 c.p., comma 2 – Ricorso – Inammissibilità
Ritenuto in fatto
1. Con la sentenza in epigrafe indicata, la Corte di appello di Bologna, in parziale riforma della pronuncia del Tribunale di Ravenna per aver concesso il beneficio della sospensione condizionale della pena, ha confermato l’affermazione di penale responsabilità di (OMISSIS) per il reato di cui all’articolo 589 c.p., comma 2, perchè quale legale rappresentante della ditta (OMISSIS) s.r.l., per colpa generica e per violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro, indicate nel capo di imputazione, cagionava la morte di (OMISSIS), socio della predetta ditta. Questi, salito a circa 7 metri di altezza dal suolo su di un ponteggio, realizzato a sbalzo e priva di sottoponte, precipitava a terra per il cedimento del pianale metallico sul quale si trovava, dovuta alla rottura dei punti di saldatura che ne costituivano il collegamento tra l’elemento di tesata e la porzione di calpestio. L’urto determinava il decesso dell’uomo ((OMISSIS)).
2.1 Il Giudice di primo grado aveva disatteso la prospettazione difensiva secondo cui l’imputata, all’epoca dei fatti, non sarebbe stata amministratrice unica della società e il verbale di assemblea del (OMISSIS) – con il quale era stata deliberata la sostituzione dell’amministratore unico con la (OMISSIS), sarebbe stato falsamente redatto da (OMISSIS), commercialista della società dal 2004 al 2015, per tali ragioni querelato dalla predetta in data (OMISSIS).
3. Avverso la sentenza di appello ricorre l’imputata a mezzo del difensore che solleva i seguenti motivi:
3.1. Nullità della sentenza per mancata assunzione di prove decisive relative: all’acquisizione della consulenza tecnica del perito informatico (OMISSIS), in ordine allo scambio delle e-mail tra la (OMISSIS) e il (OMISSIS), dalla quale emerge che nessuna mail è stata inviata dalla prima in data (OMISSIS), in merito a modifiche statutarie di qualsiasi genere; alla querela sporta nei confronti dell’ufficiale di polizia giudiziaria (OMISSIS), il quale, nel corso del giudizio di primo grado, ha falsamente dichiarato di essersi recato presso l’abitazione dell’imputata, il giorno successivo al tragico evento, per chiedere informazioni sul cambio della legale rappresentanza della (OMISSIS) s.r.l.; alla sentenza del Tribunale civile di Ravenna che ha riconosciuto l’infondatezza della pretesa creditoria avanzata dal (OMISSIS), così smontando la testimonianza da questi resa nel giudizio di primo grado anche in ordine alla proposizione della querela presentata nei suoi confronti; alla richiesta di sequestro dell’originale del verbale assembleare che avrebbe permesso una diversa valutazione dei fatti da parte della Corte di appello.
3.2. Mancanza assoluta di motivazione in relazione alle specifiche doglianze formulate dall’appellante con i motivi di appello e dotate del requisito della decisività, per non avere la sentenza impugnata tenuto conto della documentazione prodotta dalla difesa ed avere ritenuto attendibile il (OMISSIS), portatore di interessi economici personali.
3.3. Erronea applicazione del Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articoli 128 e 136, nonchè vizio di motivazione della sentenza, perchè l’ing. (OMISSIS), che aveva l’intera responsabilità del cantiere, di cui era l’unico gestore, rivestendo altresì la qualifica di direttore dei lavori – aveva rispettato tutte le misure di sicurezza previste dalle anzidette norme. Dal PI.M.U.S. (piano di montaggio, uso e smontaggio), realizzato per la costruzione di due fabbricati in Faenza, ove è deceduto, l’ing. (OMISSIS), si rileva che i sottoponti non erano necessari, così come prevede il Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articolo 128; che il responsabile della redazione e dell’aggiornamento del PI.M.U.S., nonchè progettista del ponteggio, era il (OMISSIS); e che la previsione di poter realizzare ponteggi a sbalzo era stata prevista e rispettata.
4. Con requisitoria scritta, il Procuratore generale ha chiesto che il ricorso sia dichiarato inammissibile.
Considerato in diritto
1. Il ricorso è inammissibile.
1.2. Oltre ad essere manifestamente infondato, esso si appalesa generico, atteso che, nella sostanza, si limita a riprodurre le stesse questioni già devolute in appello e da quei Giudici puntualmente esaminate e disattese, con motivazione coerente ed adeguata, senza in alcun modo sottoporle ad autonoma e argomentata confutazione. Invero, è ormai pacifica acquisizione della giurisprudenza di questa Suprema Corte come debba essere ritenuto inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che riproducono le medesime ragioni già discusse e ritenute infondate dal Giudice del gravame, dovendosi gli stessi considerare non specifici. La mancanza di specificità del motivo, infatti, va valutata e ritenuta non solo per la sua genericità, intesa come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, dal momento che quest’ultima non può ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità che conduce, a norma dell’articolo 591 c.p.p., comma 1, lettera c), alla inammissibilità della impugnazione (ex multis, Sez. 5, n. 28011 del 15/2/2013, Sammarco, Rv. 255568; Sez. 4, n. 18826 del 16/5/2012, Pezzo, Rv. 253849).
2. La questione relativa al diniego della integrazione istruttoria è priva di pregio. È sufficiente rammentare che l’articolo 603 c.p.p., comma 1, stabilisce che, qualora nell’atto di appello una parte chieda l’assunzione di nuove prove, il giudice, se ritiene di non essere in grado di decidere allo stato degli atti, dispone la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale, conseguendone che la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale in grado di appello ha luogo esclusivamente quando il giudice è impossibilitato a decidere allo stato degli atti e ritiene assolutamente necessaria la prova richiesta; tale previsione, interpretata alla luce dell’articolo 111 Cost., consente al giudice – nel caso in cui la situazione processuale presenti effettivamente un significato incerto – di ammettere la prova richiesta che venga ritenuta decisiva ed indispensabile, in grado cioè di apportare un contributo considerevole ed utile al processo, risolvendo i dubbi o prospettando una soluzione differente (Sez. U, n. 12602, del 17/12/2015, dep. 2016, Ricci, Rv. 266820 – 01). Tale accertamento è rimesso alla valutazione del giudice di merito che risulta incensurabile in sede di legittimità se correttamente motivata (Sez. 6, n. 48093 del 10/10/2018, G., Rv. 274230 – 01; Sez. 6, n. 8936 del 13/1/2015, Leoni, Rv. 262620 – 01; Sez. 4, n. 18660 del 19/2/2004, Montanari ed altro, Rv. 228353 – 01).
In tal senso, deve allora rilevarsi come la Corte territoriale abbia argomentato, in maniera ampia e non manifestamente illogica (p. 8 sent.), in merito alla superfluità delle acquisizioni documentali, osservando che non può ritenersi necessaria, al fine del decidere, l’acquisizione della consulenza tecnica del dottor (OMISSIS), relativamente al recupero dello scambio di email tra (OMISSIS) e il (OMISSIS), considerato che, dall’eventuale assenza della mail di cui sopra di certo non potrebbe dedursi, senza un salto (logico, la falsità del verbale di assemblea più volte citato. Parimenti ininfluente è stata ritenuta la richiesta di acquisizione della querela sporta dall’imputata nei confronti dell’ufficiale di polizia giudiziaria (OMISSIS) e la sentenza del giudizio civile tra l’imputata e il commercialista (OMISSIS): la Corte territoriale, infatti, ha osservato che il primo documento, è privo di rilievo ai fini del presente giudizio, attenendo semmai al separato procedimento per calunnia aperto sempre a carico della (OMISSIS); quanto alla sentenza civile, la Corte distrettuale ha evidenziato che si tratta di pronuncia non definitiva e, dunque, non acquisibile in assenza di accordo delle parti; ha, inoltre, rilevato come il rigetto dell’azione revocatoria non solo non dimostri l’assenza in capo all’imputata della qualità contestata, ma, per l’appunto, presupponga quest’ultima quale presupposto della vendita, per cui le ragioni di tale statuizione sono del tutto ininfluenti. Quanto alla richiesta di sequestro dell’originale del verbale di assemblea del 10/03/2010, la sentenza impugnata rileva come essa sia meramente esplorativa “sconoscendosi se e dove lo stesso sia allo stato custodito; si tratta in ogni caso di attività inutile alla luce delle univoco contesto probatorio appena richiamato”.
A fronte di questa motivazione, le censure sul punto si presentano generiche e, pertanto, inammissibili.
2.1. Analoga valutazione di inammissibilità spetta ai motivi afferenti alla affermazione di responsabilità dell’imputata. La Corte di appello, con pronuncia conforme a quella di primo grado, ha affermato che l’esito mortale dell’incidente occorso all’ing. (OMISSIS), doveva attribuirsi alla mancata predisposizione di un sottoponte in corrispondenza del ponteggio dal quale la vittima era caduta, sito ad un’altezza di 7 metri rispetto al pianale sottostante; ciò, in violazione della normativa in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro di cui al Decreto Legislativo 9 aprile 2008, n. 81. Invero, nel caso di specie, il ponteggio dal quale era caduto il (OMISSIS), non presentava nessuna delle caratteristiche indicate dal predetto D.Lgs., articolo 128, comma 2, sicchè, sostiene la sentenza impugnata, “sarebbe stata opportuna la costruzione di un apposito sottoponte”. Vero è, rileva la Corte territoriale, che in imputazione, sulla base di un termine meramente descrittivo adoperato dal (OMISSIS), si era fatto riferimento ad un ponteggio realizzato “a sbalzo”, ma tale dicitura era stata utilizzata esclusivamente per indicare un allargamento anomalo dell’ultimo piano dello stesso, peraltro neanche previsto nel PI.M.U.S. Tale indicazione, conclude la Corte sul punto, non deve, dunque, essere confusa con la definizione tecnica di “ponte a sbalzo”, indicata dal Decreto Legislativo n. 81 del 2008, con riferimento ad una struttura non poggiante a terra. Nel caso di specie, al contrario, le impalcature erano state realizzate con tubi e giunti che partivano da terra e, in più, la predisposizione di un ponteggio a sbalzo non era stata neanche progettata nè autorizzata. Al riguardo, la sentenza impugnata richiama anche le precisazioni fornite dall’ing. (OMISSIS), consulente tecnico del Pubblico ministero, il quale aveva anche rilevato la difformità della struttura in questione rispetto al PI.M.U.S., con violazione, da parte del datore di lavoro, del Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articolo 136; nonchè la testimonianza del teste della difesa (OMISSIS), coordinatore della sicurezza del cantiere, il quale, già nel novembre 2009, aveva segnalato la presenza di alcuni ponteggi privi di protezione, tra i quali quello ove è occorso l’incidente, senza tuttavia sapere se in seguito fossero stati messi in sicurezza.
Tanto detto, deve osservarsi che il ricorso non appare ossequioso del principio della “doppia specificità” in una fattispecie come la presente, di doppia conforme, in cui i Giudici dell’appello si sono conformati alla decisione di primo grado che perciò si salda con quella impugnata; le censure, inoltre, impingono nel merito del convincimento giudiziale e, lungi da denunciare in modo specifico un travisamento dei fatti e delle prove o a prospettare manifeste illogicità, si limitano a prospettare una versione alternativa del fatti, che ancorchè si ritenesse plausibile, non può essere oggetto di scrutinio in questa sede (ex multis, Sez. 6, n. 36546 del 03/10/2006, Bruzzese, Rv. 235510 – 01: “In tema di motivi di ricorso per cassazione, pur dopo la novella codicistica introdotta con la L. n. 46 del 2006, non hanno rilevanza le censure che si limitino ad offrire una lettura alternativa delle risultanze probatorie, dal momento che il sindacato della Corte di cassazione si risolve pur sempre in un giudizio di mera legittimità“).
3. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
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