CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 22 febbraio 2018, n. 4342
Titolo conseguito all’estero – Abilitazione all’esercizio della professione di infermiera in Italia – Albo professionale
Fatti di causa
1. Il Tribunale di Palmi in accoglimento della domanda proposta da S.T. dichiarò la nullità del termine apposto al contratto intercorso con la Fondazione O.S.F.A. di R. e, costituito un rapporto di lavoro a tempo indeterminato sin dal 15 maggio 2007, la condannò al pagamento delle retribuzioni maturate dal 17 aprile 2008 oltre accessori di legge.
2. La Corte di appello di Reggio Calabria, in parziale riforma della sentenza impugnata dalla Fondazione, prima ancora di verificare la nullità o meno del termine apposto, in accoglimento della censura mossa dalla Fondazione alla sentenza di primo grado, ha accertato la nullità del contratto.
2.1. Il giudice di secondo grado ha evidenziato che la lavoratrice non aveva offerto la prova di avere conseguito l’abilitazione all’esercizio della professione di infermiera in Italia e che non vi era prova che il titolo conseguito all’estero (nello specifico in Ucraina) fosse stato riconosciuto in Italia.
2.2. Andando di contrario avviso rispetto a quanto affermato dal Tribunale, ha quindi escluso che il mancato riconoscimento integri una mera irregolarità, ovvero una violazione amministrativa, ed ha sottolineato che, a norma dell’art. 22 comma 13 d.lgs. 25 luglio 1998 n. 286 e degli artt. 49 e 50 del d.P.R. 31 agosto 1999 n. 394, per esercitare una professione sanitaria in Italia occorre che il cittadino straniero non comunitario sia in possesso di un titolo abilitante riconosciuto dal Ministero della Sanità; che sia iscritto all’albo professionale ovvero, ove tale albo non ci sia, all’elenco speciale tenuto dal Ministero.
2.3. Accertato che l’albo professionale in questione è detenuto dall’Ipasvi, ha ritenuto immediatamente applicabile la legge n. 43 del 2006 sebbene, a quel momento, i Collegi non fossero stati trasformati in ordini professionali. Quindi, verificato che la T. non era in possesso del titolo abilitativo necessario, ha ritenuto che, salvi gli effetti di cui all’art. 2126 cod. civ. per il periodo di esecuzione del rapporto, il contratto dovesse essere dichiarato nullo per contrarietà ad una norma imperativa.
3. Per la Cassazione della sentenza ricorre S.T. che articola tre motivi ai quali resiste con controricorso la Fondazione O.S.F.A. di Rizziconi.
Ragioni della decisione
4. Con il primo motivo di ricorso è denunciata la nullità della sentenza o del procedimento per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360 n. 4 cod. proc. civ.. La Corte territoriale avrebbe omesso di pronunciare sull’eccezione di inammissibilità dell’appello, depositato oltre il termine previsto dall’art. 325 cod. proc. civ., termine che, ad avviso della ricorrente, decorre nel caso, come quello in esame, in cui la sentenza di primo grado sia stata notificata presso la sede legale della Fondazione al cui indirizzo il difensore aveva eletto domicilio.
5. Osserva al riguardo il Collegio che per dedurre utilmente in sede di legittimità un vizio di omessa pronunzia, ai sensi dell’art. 112 cod. proc. civ., a fronte di domande ed eccezioni ritualmente ed inequivocabilmente formulate oltre che autonomamente apprezzabili e per le quali la pronuncia sia necessaria ed ineludibile, occorre che tali istanze siano riportate puntualmente, nei loro esatti termini e non genericamente ovvero per riassunto del loro contenuto, nel ricorso per cassazione, con l’indicazione specifica dell’atto difensivo nel quale erano state proposte sicché sia possibile verificare in primo luogo la ritualità e la tempestività della domanda o dell’eccezione ed, in secondo luogo, la decisività delle questioni prospettate. Pertanto ove si deduca la violazione, nel giudizio di merito, del citato art. 112 cod. proc. civ., riconducibile alla prospettazione di un’ipotesi di “error in procedendo” per il quale la Corte di cassazione è giudice anche del “fatto processuale”, detto vizio, non essendo rilevabile d’ufficio, comporta pur sempre che il potere-dovere del giudice di legittimità di esaminare direttamente gli atti processuali sia condizionato, a pena di inammissibilità, all’adempimento da parte del ricorrente – per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione che non consente, tra l’altro, il rinvio “per relationem” agli atti della fase di merito – dell’onere di indicarli compiutamente, non essendo legittimato il suddetto giudice a procedere ad una loro autonoma ricerca, ma solo ad una verifica degli stessi (cfr. in termini Cass. n. 18/08/2017 n. 20178, 08/06/2016 n. 11378, 04/07/2014 n. 15367). Nel caso in esame la ricorrente è venuta meno a tale onere di specificazione, in violazione dell’art. 369 n. 4 cod. proc. civ., limitandosi ad asserire di aver eccepito la tardività dell’appello senza tuttavia precisare gli esatti termini dell’eccezione proposta né indicare dove era possibile reperire gli atti a tal fine rilevanti così che la censura deve essere dichiarata inammissibile.
6. Con il secondo motivo di ricorso è denunciata la violazione dell’art. 12 delle preleggi, degli artt. 2 commi 3, 4 e 7 della legge 1 febbraio 2006 n. 43 e dell’art. 10 del d.C.P.S. 13 settembre 1946 n. 233 oltre che l’omessa insufficiente e contraddittoria motivazione su fatto controverso e decisivo, in relazione all’art. 360 primo comma nn. 3 e 5 cod. proc. civ..
6.1. Sostiene la ricorrente che, pur essendo obbligatoria l’iscrizione all’albo per l’esercizio delle professioni sanitarie, tuttavia l’art. 4 della legge ha delegato il governo per l’emanazione di decreti legislativi di istituzione degli ordini professionali, così trasformando i collegi esistenti; che, stante la mancata attuazione della delega, continuava a trovare applicazione l’art. 10 del d.C.P.S. n. 233 del 1946 in base al quale l’iscrizione all’albo professionale è facoltativa quando, come nel caso in esame, l’attività sia svolta in regime di subordinazione con una struttura privata accreditata con la p.a., restando irrilevante la circostanza che l’IPASVI detenesse un albo, in nessun modo equiparato o equiparabile agli Ordini professionali di nuova istituzione ed ai relativi Albi.
7. Con il terzo motivo di ricorso viene censurata la sentenza per avere, in violazione e falsa applicazione degli artt. 1418 e 1343 cod. civ., dell’art. 115 cod. proc. civ. e dell’art. 2697 cod. civ. oltre che con omessa insufficiente e contraddittoria motivazione su fatto controverso e decisivo, in relazione all’art. 360 primo comma nn. 3 e 5 cod. proc. civ., ritenuto che la mancanza di un riconoscimento in Italia del titolo per lo svolgimento della professione sanitaria conseguito all’estero equivalesse all’assenza del titolo con conseguente impossibilità di esercitare la professione e nullità del contratto.
7.1. Sostiene la ricorrente che il riconoscimento del titolo da parte del Ministero della Salute si sostanzia nella mera verifica del corso di studi la cui istruttoria è demandata alle regioni.
7.2. Sottolinea che la violazione delle disposizioni regolamentari dettate per il riconoscimento costituisce mera irregolarità e non è idonea a travolgere il contratto stipulato.
7.3. Erroneamente, pertanto, la Corte di merito avrebbe assimilato il mancato riconoscimento del titolo alla totale assenza dello stesso, sopravvalutandone l’incidenza sul rapporto già instaurato e sanzionando con la nullità quella che invece si sostanziava in una mera irregolarità suscettibile, semmai, di giustificare una sospensione del rapporto lavorativo sino ad una sua regolarizzazione.
7.4. Evidenzia, infine, la contraddittorietà della sentenza per avere ritenuto di non poter accertare incidentalmente l’equipollenza del titolo conseguito all’estero in mancanza di una specifica domanda in via incidentale della T. laddove, invece, era la Fondazione che era tenuta a chiedere, sin dal primo grado, la verifica del titolo abilitante prodotto.
8. Le due censure, da esaminare congiuntamente poiché attengono sotto vari profili all’esistenza di un titolo abilitante per l’esercizio della professione infermieristica ed all’incidenza di una sua mancanza o irregolarità sul contratto di lavoro della T. con la Fondazione, sono infondate.
8.1. Occorre premettere che a norma dell’ art. 35 della legge 6 marzo 1998 n. 40 e dell’art. 37 del d.lgs. 25 luglio 1998 n. 286 “1. Agli stranieri regolarmente soggiornanti in Italia, in possesso dei titoli professionali legalmente riconosciuti in Italia abilitanti all’esercizio delle professioni, è consentita, in deroga alle disposizioni che prevedono il requisito della cittadinanza italiana entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, l’iscrizione agli Ordini o Collegi professionali o, nel caso di professioni sprovviste di Albi, l’iscrizione in elenchi speciali da istituire presso i ministeri competenti, secondo quanto previsto dal regolamento di attuazione. L’iscrizione ai predetti Albi o elenchi è condizione necessaria per l’esercizio delle professioni anche con rapporto di lavoro subordinato. Non possono usufruire della deroga gli stranieri che sono stati ammessi in soprannumero ai corsi di diploma, di laurea o di specializzazione, salvo autorizzazione del Governo dello Stato di appartenenza. 2. Le modalità, le condizioni ed i limiti temporali per l’autorizzazione all’esercizio delle professioni e per il riconoscimento dei relativi titoli abilitanti non ancora riconosciuti in Italia sono stabiliti con il regolamento di attuazione. Le disposizioni per il riconoscimento dei titoli saranno definite dai ministri competenti, di concerto con il ministro dell’Università e della ricerca scientifica e tecnologica, sentiti gli Ordini professionali e le associazioni di categoria interessate. 3. Gli stranieri di cui al comma 1, a decorrere dalla scadenza del termine ivi previsto, possono iscriversi agli Ordini, Collegi ed elenchi speciali nell’ambito delle quote definite a norma dell’articolo 3, comma 4, e secondo percentuali massime di impiego definite in conformità ai criteri stabiliti dal regolamento di attuazione. 4. In caso di lavoro subordinato è garantita la parità di trattamento retributivo e previdenziale con i cittadini italiani”.
8.2. Condizione per l’esercizio della professione in Italia da parte degli stranieri ed in deroga al requisito del possesso della cittadinanza italiana è pertanto:
– il possesso di un titolo professionale abilitante legalmente riconosciuto in Italia.
– l’iscrizione all’ Ordine o al Collegio professionale. Nel caso, poi, di professione sprovvista di albo, l’iscrizione deve essere effettuata nell’ elenco speciale da istituire presso il Ministero competente.
La norma chiarisce inoltre che l’iscrizione all’ albo o all’ elenco “è condizione necessaria per l’esercizio delle professioni anche con rapporto di lavoro subordinato” e precisa che non si possono avvantaggiare della deroga alla cittadinanza italiana gli stranieri che siano stati ammessi in soprannumero ai corsi di diploma, di laurea o di specializzazione, salvo autorizzazione del Governo dello Stato di appartenenza.
8.3. Con il d.P.R. 31 agosto 1999 n. 394, è stato approvato il regolamento di attuazione del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero (d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286) cui era stata demandata la definizione di modalità, condizioni e limiti temporali per l’autorizzazione all’esercizio delle professioni e per il riconoscimento dei relativi titoli abilitanti non ancora riconosciuti in Italia che all’art. 50 prevede l’istituzione di elenchi speciali presso il Ministero della sanità per gli esercenti le professioni sanitarie sprovviste di ordine o collegio professionale e dispone che il Ministro della sanità pubblichi annualmente gli elenchi speciali e gli elenchi degli stranieri che hanno ottenuto il riconoscimento dei titoli abilitanti all’esercizio di una professione sanitaria. Prevede poi che ai fini dell’iscrizione negli albi professionali e negli elenchi speciali siano previamente accertate dagli ordini e collegi professionali e dal Ministero della sanità la conoscenza della lingua italiana e delle speciali disposizioni che regolano l’esercizio professionale in Italia. Ai fini dell’iscrizione agli albi professionali o agli elenchi speciali per l’esercizio delle professioni sanitarie sul territorio nazionale e dei Paesi dell’Unione europea non è sufficiente la dichiarazione di equipollenza dei titoli accademici nelle discipline sanitarie, conseguiti all’estero, nonché l’ammissione ai corrispondenti esami di diploma, di laurea o di abilitazione, con dispensa totale o parziale degli esami di profitto, essendo necessario acquisire il preventivo parere positivo del Ministero della salute. Conseguito il parere l’iscrizione all’albo deve seguire nel termine di due anni trascorso il quale il decreto di riconoscimento perde efficacia. In mancanza di ordini o collegi, invece, il decreto di riconoscimento perde efficacia, qualora l’interessato non lo abbia utilizzato, a fini lavorativi, per un periodo di due anni dalla data del rilascio.
8.4. Venendo alla disciplina specifica delle professioni sanitarie infermieristiche, ostetrica, riabilitative, tecnico-sanitarie e della prevenzione la legge 1 febbraio 2006 n. 43, all’art. 3 (nel testo modificato dall’art. 1 della legge 17 ottobre 2007 n. 189) prevede l’istituzione degli ordini e degli albi per le professioni sanitarie già esistenti e per quelle di nuova configurazione ai quali devono accedere gli operatori e, con l’art. 4, delega il Governo ad adottare, entro ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore della legge uno o più decreti legislativi al fine di istituire gli ordini professionali per le professioni sanitarie previste dalla legge 10 agosto 2000, n. 251, e dal decreto del Ministro della sanità 29 marzo 2001 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 118 del 23 maggio 2001) trasformando i collegi professionali esistenti in ordini professionali e prevedendo albi professionali distinti per ciascuna area professionale e tra queste per I’ area delle professioni infermieristiche, aggiornando la definizione delle figure professionali da includere nelle fattispecie di cui agli articoli 1, 2, 3 e 4 della legge 10 agosto 2000, n. 251 ed individuando, tra l’altro, in base alla normativa vigente, i titoli che consentono l’iscrizione agli albi e dettando i principi cui si devono attenere gli statuti e i regolamenti degli ordini neocostituiti. Il procedimento prevede che gli schemi dei decreti legislativi, previa acquisizione del parere della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, siano trasmessi alle Camere perché esprimano nel termine di quaranta giorni il parere delle Commissioni parlamentari competenti per materia. Decorso tale termine, i decreti sono emanati anche in mancanza dei pareri.
8.5. Questo il contesto normativo al momento della stipula del contratto a tempo determinato tra la T. e la Fondazione Opera San Francesco d’Assisi in data 15 maggio 2007. Stante il differimento del termine per l’esercizio della delega di cui all’articolo 4 della legge 1° febbraio 2006, n. 43, recante istituzione degli ordini delle professioni sanitarie infermieristiche, ostetrica, riabilitative, tecnico-sanitarie e della prevenzione, disposto con l’art. 1 della legge 17 ottobre 2007 n. 189 a quella data la disciplina novellata introdotta dalla legge n. 43 del 2006 non era ancora in vigore. Pertanto a quel momento la lavoratrice per poter concludere il contratto doveva aver ottenuto il riconoscimento dei titoli abilitanti all’esercizio della professione di infermiera e doveva essersi iscritta al Collegio delle infermiere professionali, delle assistenti sanitarie visitatrici e delle vigilatrici d’infanzia costituito in ogni Provincia, ai sensi dell’art. 1 della legge 29 ottobre 1954, n. 1049 cui sono estese, ai sensi dell’art. 2 della citata legge n. 1049 del 1954, le norme contenute nel decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 13 settembre 1946, n. 233, riguardante la ricostituzione degli Ordini delle professioni sanitarie e la disciplina dell’esercizio delle professioni stesse.
8.6. Poiché è incontroverso tra le parti che l’odierna ricorrente non aveva provveduto né ad ottenere il riconoscimento del titolo conseguito in Ucraina né, tanto meno ad iscriversi al Collegio provinciale professionale correttamente la Corte di appello ha ritenuto che il contratto concluso in mancanza di uno dei requisiti soggettivi necessari fosse, per ciò solo, nullo. Qualora, infatti, per lo svolgimento di un’attività lavorativa, sia richiesta dalla legge un’abilitazione o un titolo di studio abilitante, in ragione dell’incidenza di tale attività sulla salute pubblica, o sulla sicurezza pubblica, la prestazione lavorativa, svolta in carenza di detti presupposti è, anche ai fini di cui all’art. 2126 cod. civ., illecita, perché in violazione di norme imperative attinenti all’ordine pubblico e poste a tutela di diritti fondamentali della persona (cfr. Cass. 07/07/2014 n. 15450).
8.7. Quanto alla verifica della sussistenza in concreto dei requisiti di validità del titolo di studio, correttamente la Corte di merito ha sottolineato che qualunque esame era precluso dall’esistenza di una domanda in tal senso della lavoratrice che sola avrebbe avuto interesse ad ottenere un tale accertamento.
9. In conclusione e per le ragioni sopra esposte il ricorso deve essere rigettato e le spese, regolate secondo il criterio della soccombenza, sono liquidate nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in € 3500,00 per compensi professionali, € 200,00 per esborsi, 15% per spese forfetarie ed accessori dovuti per legge.
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