CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 22 febbraio 2021, n. 4675
Fondo di garanzia – Trattamento di fine rapporto – Fallimento della società – Procedimento esecutivo mobiliare – Rapporto di lavoro non regolarizzato – Efficacia diretta del giudicato nei confronti delle parti, loro eredi e aventi causa – Efficacia riflessa nei confronti di soggetti rimasti estranei al processo – Condizione – Titolarità di un diritto dipendente dalla situazione definita in quel processo o comunque di un diritto subordinato a tale situazione
Fatti di causa
1. Con sentenza n. 2339 del 2014, la Corte d’appello di Bari ha riformato la decisione con la quale il Tribunale di Trani aveva rigettato la domanda proposta da R.C. volta ad ottenere dall’Inps, quale gestore del Fondo di garanzia, il trattamento di fine rapporto a lui non corrisposto in relazione ad un rapporto di lavoro, intercorso dal 1982 con R.L. e sino al 17 gennaio 1996 con la s.r.l L. (di cui il L. era stato socio ed amministratore unico), sempre nello stesso luogo ove il datore di lavoro aveva espletato l’attività di commercializzazione di prodotti ittici e frutti di mare; tale rapporto di lavoro, mai regolarizzato, era stato accertato nel corso di un giudizio, interrotto per il fallimento della società e proseguito con limitazione della domanda nei confronti del solo R.L., definito con sentenza della Corte d’appello di Bari ormai passata in giudicato di condanna del medesimo L. al pagamento, tra l’altro, del t.f.r. maturato per complessivi Euro 20.773,40.
2. Essendo il credito rimasto insoddisfatto, nonostante l’esperimento del procedimento esecutivo mobiliare cui era stato sottoposto il L. che non poteva essere dichiarato fallito avendo cessato la propria attività da diversi anni, il lavoratore in data 4 luglio 2008 aveva chiesto al Fondo di garanzia il pagamento del t.f.r., ricevendo un diniego in ragione del fatto che il rapporto di lavoro non era stato regolarizzato e che la sentenza di cui si invocava l’autorità di giudicato nulla aveva disposto sul punto.
3. Nell’accogliere l’impugnazione del lavoratore, la Corte d’appello, ritenuta efficace nei confronti dell’INPS la sentenza passata in giudicato relativa al rapporto di lavoro, ha rilevato che l’inadempimento dell’obbligo contributivo fosse irrilevante, data la natura previdenziale della prestazione richiesta e l’applicabilità dell’automatismo previsto dall’art. 2116 c.c.
4. Della sentenza l’Inps ha chiesto la cassazione sulla base di due motivi.
5. R.C. ha resistito con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memorie.
Ragioni della decisione
6. Il primo motivo di ricorso denuncia violazione e falsa applicazione della L. 29 maggio 1982 n. 297, art. 2, comma primo, con riferimento agli articoli 2114 e 2909 cod. civ. Il ricorrente critica la sentenza impugnata laddove ha ritenuto opponibile all’INPS, quale gestore del Fondo di garanzia, l’accertamento sulla sussistenza del rapporto di lavoro scaturito da giudicato cui l’Istituto era rimasto estraneo.
7. Il motivo è fondato. L’assunto della Corte territoriale, infatti, contrasta con il principio di legittimità, cui si intende dare seguito, secondo il quale il giudicato può avere, oltre che una efficacia diretta nei confronti delle parti, loro eredi e aventi causa, anche una efficacia riflessa nel senso che produce conseguenze giuridiche nei confronti di soggetti rimasti estranei al processo in cui è stata emessa la relativa sentenza sempre, però, che questi siano titolari di un diritto dipendente dalla situazione definita in quel processo o comunque di un diritto subordinato a tale situazione (vedi Cass. n. 6788/2013; Cass. n. 8766/2019).
8. Tale dipendenza non sussiste nel caso di specie, posto che è senz’altro autonomo il diritto del dipendente all’accertamento della natura subordinata del rapporto di lavoro e dei crediti dal medesimo scaturiti, rispetto al diritto del medesimo lavoratore di ottenere l’erogazione del t.f.r. da parte dell’INPS quale gestore del Fondo di garanzia; come affermato dalla ormai consolidata giurisprudenza di questa Corte di legittimità (Cass. n. 16617 del 2011; Cass. n. 12971 del 2014; Cass. n. 20577 del 2015; Cass. n. 17643 del 2020), il diritto del lavoratore di ottenere dall’INPS, in caso di insolvenza del datore di lavoro, la corresponsione del T.F.R. a carico dello speciale fondo di cui all’art. 2 della legge 29 maggio 1982, n. 297, ha natura di diritto di credito ad una prestazione previdenziale, ed è perciò distinto ed autonomo rispetto al credito vantato nei confronti del datore di lavoro (restando esclusa, pertanto, la fattispecie di obbligazione solidale), diritto che si perfeziona (non con la cessazione del rapporto di lavoro ma) al verificarsi dei presupposti previsti da detta legge (insolvenza del datore di lavoro, verifica dell’esistenza e misura del credito in sede di ammissione al passivo, ovvero all’esito di procedura esecutiva).
9. Tale rapporto di autonomia fa qualificare come “res inter alios acta”, rispetto all’uno, il giudicato intervenuto nel giudizio inerente all’altro rapporto.
Questa Corte di legittimità ha da tempo chiarito il rapporto di reciproca autonomia esistente tra il rapporto di lavoro (intercorrente tra lavoratore e datore di lavoro), quello contributivo (intercorrente tra datore di lavoro ed ente previdenziale) e quello previdenziale (intercorrente tra il lavoratore e l’ente previdenziale) e tale assetto non può non comportare che il giudicato formatosi riguardo ad uno di tali rapporti non possa riflettersi su ciascuno degli altri.
10. Già le SS.UU. di questa Corte con la sentenza n. 9631 del 1996 (seguita ex plurimis da Cass. nn.4821 del 1999 e 2795 del 1999; n. 17495 del 2009), ebbero modo di affermare, che dal contenuto precettivo dell’art. 2909 c.c. (secondo cui l’accertamento contenuto nella sentenza passata in giudicato fa stato a ogni effetto tra le parti, i loro eredi o aventi causa), si evince, “a contrario”, che l’accertamento contenuto nella sentenza non estende i suoi effetti – e non è vincolante – per i terzi.
11. E la stessa Cass. n. 4821 del 1999 ha affermato il principio dell’assoluta “terzietà” dell’Istituto previdenziale in ordine ad accertamenti giudiziari svoltisi tra datore di lavoro e lavoratore, sia che il diritto preteso sia stato ritenuto sussistente sia che sia stato escluso. L’Istituto, si è detto, ha infatti sempre il potere di richiedere il pagamento dei contributi previdenziali, quale che sia stato l’accertamento giudiziario tra datore di lavoro e lavoratore – allorché non abbia partecipato al giudizio – e può denegare l’obbligo del versamento contributivo – in detta ipotesi – anche se sia stata accertata tra datore di lavoro e lavoratore l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato.
12. Si è precisato che ciò deriva dal fatto che compito dell’ente pubblico non è < […] quello – meramente economico – di riscuotere in ogni caso i contributi previdenziali, bensì quello di riscuoterli, se effettivamente sia ravvisabile tra datore di lavoro e lavoratore un rapporto di lavoro subordinato. E l’INPS deve denegare, come è ben noto, la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato affermato dalle parti, anche annullando il mero atto amministrativo, alla stregua del quale i contributi sono stati riscossi, avendo sempre l’Istituto il potere di annullare “ab origine” atti illegittimi, allorché accerti che tali contributi sono stati riscossi nell’inesistenza di un rapporto di lavoro subordinato>.
13. Si è pure chiarito che la sentenza passata in giudicato tra le parti del rapporto di lavoro può essere invocata al diverso scopo di valere quale elemento di prova documentale in ordine alla situazione giuridica che formi oggetto dell’accertamento giudiziale – nella specie l’obbligo del datore di lavoro di pagare contributi previdenziali.
14. Tale efficacia indiretta di prova documentale, rispetto ai terzi che non furono parti nel giudizio, può essere infatti invocata da chi vi abbia interesse, spettando però al giudice del merito di esaminare la sentenza prodotta a tale scopo e sottoporla alla sua libera valutazione, anche in relazione ad altri elementi di giudizio negli atti di causa (Cass. 6 giugno 1987 n. 4949; Cass. n. 1372 nel 2003; Cass. n. 4562 del 2011; Cass. n. 13084 del 2011).
15. La sentenza impugnata, laddove ha esteso all’Inps gli effetti del giudicato formatosi nel giudizio al quale l’Istituto era rimasto estraneo ha, dunque, violato i principi esposti, per cui il motivo va accolto.
16. Il secondo motivo denuncia la violazione e o falsa applicazione dell’art. 2, commi primo ed ottavo, l. n. 297 del 1982, con riferimento agli articoli 2114, 2115 e 2116 cod.civ., nonché all’art. 3, commi 9 e 10, l. n. 335 del 1995. Il ricorrente lamenta che la sentenza impugnata abbia condannato il Fondo ad erogare la prestazione pur essendo prescritti i contributi assicurativi dovuti per la medesima prestazione.
17. Il motivo è inammissibile in quanto si riferisce ad una questione di cui la sentenza impugnata non si è occupata e si riferisce anche ad accertamenti in fatto che non possono essere valutati in sede di legittimità.
18. In definitiva, va accolto il primo motivo di ricorso e dichiarato inammissibile il secondo; la sentenza impugnata va cassata quanto al motivo accolto e la causa va rinviata, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Bari in diversa composizione che esaminerà la fattispecie alla luce del principio indicato ai punti da 9 a 14 della motivazione.
P.Q.M.
Accoglie il primo motivo di ricorso, dichiara inammissibile il secondo, cassa la sentenza impugnata quanto al motivo accolto e rinvia alla Corte d’appello di Bari in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
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