CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 22 gennaio 2020, n. 1283
Tributi – Reddito d’impresa – Costi deducibili – Marchio – Ammortamento – Valore deducibile – Determinazione
Fatti di causa
1. L.G.C. s.p.a. propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Liguria, depositata il 22 febbraio 2016, che, in accoglimento dell’appello dell’Ufficio, ha dichiarato legittimo l’avviso di accertamento emesso con riferimento al periodo di imposta 2007 con cui si rettificava la quota di ammortamento dedotta dell’acquisto del marchio «A.D.M.», determinata in misura superiore rispetto a quella ritenuta corretta.
1.1. Dall’esame della sentenza impugnata si evince che il recupero della quota di ammortamento dedotta in eccesso è giustificato in base al minor valore del marchio acquistato, così come desumibile dalla relazione di stima redatta in occasione della costituzione della G.P. s.r.l. – società che ha successivamente incorporato L.G.C. s.p.a., assumendone la denominazione – sul valore di tale società.
2. La Commissione regionale ha accolgo il gravame dell’Ufficio ritenuto corretto l’operato dell’Amministrazione finanziaria.
3. Il ricorso è affidato a quattro motivi.
4. Resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate.
5. La ricorrente deposita memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso la società contribuente denuncia la violazione dell’art. 103, primo comma, Testo unico 22 dicembre 1986, n. 917, per aver la sentenza di appello ritenuto corretto il costo del marchio individuato dall’ufficio nonostante fosse diverso dal costo effettivamente sostenuto in virtù dell’operazione di acquisto e benché l’Ufficio abbia proceduto alla rideterminazione del valore facendo esclusivo ed espresso riferimento ad elementi aventi «base negoziale».
1.1. Il motivo è infondato.
Occorre preliminarmente rilevare, per una migliore comprensione dei fatti, che l’acquisto del marchio in oggetto da parte della G.P. s.r.l. è avvenuta all’esito di una serie di operazioni societarie che hanno interessato L.G.C. s.p.a. e in esecuzione di accordi contrattuali per effetto dei quali la prima società ha acquistato dalla C. la quota del 41% del capitale sociale della seconda, nonché il predetto marchio A.D.M. per un importo complessivo di euro 4.740.000,00.
Poiché in occasione della costituzione della G.P. s.r.l., intervenuta il medesimo periodo di imposta, il valore della G.C. s.p.A. è stato determinato, con relazione giurata ex art. 2465 c.c., in euro 5.557.110,00, l’Ufficio ha stimato il valore della partecipazione acquistata in euro 2.278.415,00 (pari al 41% del valore complessivo della società) e, per differenza dal prezzo dell’operazione intrattenuta con la C., il valore del marchio A.D.M. in euro 2.461.585,00 (euro 4.740.000,00 – 2.278.415,00), procedendo alla rettifica del relativo accantonamento effettuato dalla contribuente.
1.2. Ciò posto, deve ritenersi che, in assenza di una specifica quantificazione, in sede contrattuale, del costo dell’acquisto del marchio, distinto da quello dell’acquisto della partecipazione sociale, nonché di altri elementi dai quali evincere tale costo, risulta corretta la determinazione dello stesso attraverso la stima del valore di tale partecipazione sociale e nella sottrazione di questo dal costo complessivo dell’operazione.
Quanto al valore della partecipazione sociale, si evidenzia che la stima effettuata dal revisore contabile con relazione giurata ex art. 2465 c.c. in occasione della costituzione della G.P. s.r.l. costituisce un elemento che può essere utilizzato al fine di pervenire all’individuazione del costo dell’operazione in esame.
2. Con il secondo motivo, formulato in via subordinata, la ricorrente deduce l’omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, in relazione alla mancata considerazione che il prezzo delle partecipazioni cedute, da cui era stato desunto, per differenza sul prezzo complessivo delle operazioni, il prezzo del marchio acquistato, è stato negoziato e pattuito in epoca precedente alla redazione della perizia e che, comunque, il prezzo di tali partecipazioni era stato desunto dalla perizia senza tener conto del fatto che si trattava di partecipazioni di minoranza.
2.1. Il motivo è inammissibile atteso che si risolve in una censura della complessiva valutazione delle risultanze processuali contenuta nella pronuncia di appello in ordine all’individuazione del costo dell’acquisto del marchio.
Una siffatta censura non può trovare ingresso in questa sede in quanto la Corte di cassazione non è mai giudice del fatto in senso sostanziale e non può riesaminare e valutare autonomamente il merito della causa (cfr. Cass. 28 novembre 2014, n. 25332; Cass., ord., 22 settembre 2014, n. 19959);
3. Con il terzo motivo la società si duole, in via ulteriormente subordinata, dell’omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, nella parte in cui la decisione impugnata non valutava il valore che un marchio ha per un’azienda che commercializza beni di largo consumo, che un marchio paragonabile, per categoria merceologica e diffusione, era stato acquistato, in circostanze di tempo assimilabili, ad un prezzo superiore e che negli anni il valore del marchio era cresciuto parallelamente al crescere fatturato.
3.1. Il motivo è inammissibile in quanto, indipendentemente da ogni considerazione in ordine al carattere controverso dei fatti dedotti, questi non risultano presentare il necessario carattere di decisività, essendo privi di valenza probatoria tale da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la ratio decidendi venga a trovarsi priva di fondamento (cfr., in tema, Cass., ord., 26 giugno 2018, n. 16812; Cass., ord., 28 settembre 2016, n. 19150).
4. Con il quarto motivo la ricorrente lamenta, in via ulteriormente subordinata, l’omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, in relazione alla circostanza che il prezzo della complessiva operazione che la aveva coinvolta non aveva carattere unitario e che a tale operazione avevano partecipato distinti soggetti autonomi, portatori di interessi configgenti.
4.1. Il motivo è inammissibile, in quanto investe non già l’omesso esame di fatti – peraltro, non controversi -, quanto la valutazione delle risultanze probatorie effettuata dal giudice.
5. Pertanto, per le suesposte considerazioni, il ricorso non può essere accolto.
6. Le spese processuali seguono il criterio della soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
7. Sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 – bis dell’art. 13, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso principale; condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi euro 2.935,00, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 – quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 – bis dello stesso art. 13.
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