CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 22 giugno 2018, n. 16589
Rapporto di lavoro – Rendita per malattia professionale – Gravosità delle condizioni lavorative – prova
Fatti di causa
La Corte d’appello di Messina, in riforma della sentenza del Tribunale, ha rigettato la domanda di F.F. volta ad ottenere la rendita per malattia professionale contratta nello svolgimento dell’attività di portalettere alle dipendenze di P.I.
La Corte ha osservato che il CTU, con valutazione immune da vizi logici e giuridici, aveva escluso che la patologia cardiovascolare da cui era affetto il ricorrente fosse da attribuirsi al lavoro svolto rilevando che la genesi multifattoriale della patologia, in assenza di prova di particolare gravosità delle condizioni lavorative, consentiva di escluderne la natura professionale. Avverso la sentenza ricorre il F. con un motivo. Resiste l’Inail con controricorso.
Ragioni della decisione
Il ricorrente denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo.
Rileva che il CTU del Tribunale aveva accertato che egli era affetto da insufficienza coronarica trattata chirurgicamente, dislipidemia, ipertensione arteriosa, broncopatia ostruttiva, gastropatia erosiva diffusa; che il CTU nominato in appello aveva incentrato la sua analisi solo sulla patologia cardiaca senza valutare anche le altre patologie “dislipidemia, ipertensione arteriosa, broncopatia ostruttiva, gastropatia erosiva” e che anche la Corte, adeguandosi alla nuova CTU, si era limitata ad esaminare la patologia cardiaca. Deduce, pertanto, che la Corte aveva omesso di esaminare un fatto decisivo e cioè le altre patologie riscontrate e riconosciute quali malattie professionali che, insieme alla cardiopatia, determinavano un invalidità del 16%.
Il ricorso è infondato e deve essere rigettato.
Con un unico motivo il ricorrente denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo.
La formula utilizzata, in assenza di richiamo ad alcuno dei vizi di cui all’art. 360 cpc, deve intendersi volta a denunciare il vizio di cui all’art. 360 n. 5 cpc.
A riguardo va, tuttavia, rilevato che la sentenza della Corte d’appello è stata pubblicata il 31/12/2012.
Ad essa trova, pertanto, applicazione l’art 360 n. 5 cpc, come riformulato dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, che introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia).
La riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134 comporta che la ricostruzione del fatto operata dai giudici del merito è ormai sindacabile in sede di legittimità soltanto ove la motivazione al riguardo sia affetta da vizi giuridici, oppure se manchi del tutto, oppure se sia articolata su espressioni od argomenti tra loro manifestamente ed immediatamente inconciliabili, oppure perplessi, oppure obiettivamente incomprensibili; mentre non si configura un omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, ove quest’ultimo sia stato comunque valutato dal giudice, sebbene la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie e quindi anche di quel particolare fatto storico, se la motivazione resta scevra dai gravissimi vizi appena detti. (cfr Cass. SU n. 8053 del 07/04/2014).
Nella specie la Corte d’appello ha dato rilievo, in conformità alle conclusione del CTU nominato in appello, alla cardiopatia della quale ha escluso l’origine professionale. Il ricorrente avverso tali conclusioni non oppone argomentate motivazioni ,anche di natura tecnica, che avrebbero consentito di pervenire a diverse conclusioni e, dunque, al riconoscimento della rendita, finendo per manifestare solo un dissenso diagnostico circa le conclusioni assunte dal CTU ed accolte dalla Corte territoriale.
Costituisce principio consolidato che nel giudizio in materia d’invalidità il vizio, denunciabile in sede di legittimità, della sentenza che abbia prestato adesione alle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio, è ravvisabile in caso di palese devianza dalle nozioni correnti della scienza medica, la cui fonte va indicata, o nell’omissione degli accertamenti strumentali dai quali, secondo le predette nozioni, non può prescindersi per la formulazione di una corretta diagnosi, mentre al di fuori di tale ambito la censura costituisce mero dissenso diagnostico che si traduce in un’inammissibile critica del convincimento del giudice, e ciò anche con riguardo alla data di decorrenza della richiesta prestazione (cfr, tra le tante, Cass ord. n. 1652/2012).
Va, altresì, rilevato, ad ulteriore conferma dell’infondatezza del ricorso, che il F. si duole della mancata considerazione di altre patologie evidenziate dalla CTU eseguita in Tribunale, ma, da un lato, non riproduce, quantomeno nei tratti salienti, la consulenza svolta in Tribunale al fine di consentire a questa Corte di valutare l’eventuale rilevanza di dette patologie ai fini del riconoscimento della rendita; dall’altro lato non svolge argomentazioni tecniche al fine di dimostrare il carattere decisivo della mancata considerazione di tali patologie.
Per le considerazioni che precedono il ricorso deve essere rigettato.
Sussistono i presupposti per l’applicazione dell’art. 152 disp. Att. Cpc per dichiarare il ricorrente esente dal pagamento delle spese processuali, come da dichiarazione dallo stesso sottoscritta in calce al ricorso.
Avuto riguardo all’esito del giudizio ed alla data di proposizione del ricorso sussistono i presupposti di cui all’art. 13, comma 1 quater, dpr n. 115/2002.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del dpr n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13.
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