CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 23 giugno 2020, n. 12296
Tributi – Contenzioso tributario – Procedimento – Integrazione della motivazione dell’atto impositivo in sede processuale – Illegittimità
Fatto
I contribuenti odierni controricorrenti impugnarono dinanzi alla CTP di Napoli l’avviso di pagamento n. 2177/2012 emesso dal Comune di Ischia per la riscossione della TARSU dovuta in qualità di eredi di D.M.P. per l’anno 2012.
Il Comune ricorrente deduce che tale avviso seguì l’avviso bonario di pagamento annuale dell’imposta già indirizzato al de cuius e, acclarato l’omesso pagamento, lo sostituiva indirizzandolo agli eredi.
I contribuenti, per quel che ancora rileva in questa sede, ne lamentarono la nullità per difetto di motivazione con specifico riguardo alla omessa allegazione dell’avviso bonario pregresso e la impossibilità di comprendere le ragioni della pretesa dal semplice avviso di pagamento, privo, quest’ultimo, di ogni motivazione.
La CTP accolse il ricorso, rilevando il difetto di motivazione dell’atto impugnato.
Su appello del Comune, la CTR dichiarò inammissibile l’appello per mancata proposizione di motivi specifici di impugnazione avverso la sentenza di primo grado, motivando diffusamente sulla infondatezza, nel merito, del gravame.
Contro la sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione il Comune di Ischia, sulla base di tre motivi.
Resistono i contribuenti con controricorso, che contiene una eccezione di inammissibilità per tardività del ricorso per cassazione: questo sarebbe stato notificato oltre i sessanta giorni dalla notificazione della sentenza impugnata presso il domicilio eletto dal Comune in grado di appello.
Diritto
1. Con il primo motivo di ricorso, rubricato: “Violazione e nullità del procedimento – violazione e falsa applicazione dell’art. 53 del d.lgs. n. 546 del 1992 in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c.”, il Comune si duole che la CTR della Campania, prima di decidere nel merito l’appello, rigettandolo, ha dichiarato l’inammissibilità dell’impugnazione in quanto con essa l’ente locale non avrebbe censurato in alcun modo, individuandone i vizi, la sentenza emessa dal giudice di prime cure.
2. Con il secondo motivo, rubricato “Nullità – Violazione di norme di legge – violazione e falsa applicazione dell’art. 7 della legge n. 212 del 2000 in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.”, il Comune censura la sentenza impugnata deducendo che l’obbligo di motivazione dell’avviso di pagamento sarebbe stato assolto, sia perché nel corpo dello stesso si era dato atto che il precedente avviso bonario, contenente una congrua motivazione della pretesa impositiva, era stato notificato al de cuius; sia perché tale avviso bonario era stato allegato all’avviso di pagamento notificato ai contribuenti odierni controricorrenti, secondo lo schema della motivazione per relationem.
3. Con il terzo motivo, rubricato “Nullità – violazione e falsa applicazione degli artt. 115 c.p.c. e 72 del d.lgs. n. 507 del 1993 in relazione all’art. 360, comma 1, nn. 3 e 4 c.p.c.”, il Comune censura la sentenza impugnata in quanto non avrebbe tenuto conto che, in ogni caso, i contribuenti non avrebbero contestato la fondatezza nel merito della pretesa impositiva, che peraltro si fondava su dati e informazioni ad essi note, limitandosi a dedurre il difetto di motivazione dell’avviso di pagamento.
4. Preliminarmente, questa Corte rileva che l’eccezione di inammissibilità del ricorso del Comune, spiegata in controricorso dai contribuenti, è infondata.
Il 10 maggio 2016, data nella quale risulta essere stata eseguita la notifica della sentenza impugnata mediante invio per pec da parte dei contribuenti al Comune, presso il quale prestava servizio la procuratrice in appello dell’ente locale, non era ancora in vigore, per le commissioni tributarie della Campania (in vigore dal dicembre 2015 in via sperimentale solo per il territorio dell’Umbria e della Toscana) il processo tributario telematico, ai sensi dell’art. 16 del d.m. 4 agosto 2015, emanato in attuazione dell’art. 3 comma 3 del d.m. n. 163/2013, ai sensi dell’art. 12, comma 3, del d.lgs. n. 156 del 2015 (Cass., 6-5, n. 17941/2016).
Ne risulta che l’invio, effettuato per posta elettronica certificata, della sentenza impugnata non era idoneo a determinare la decorrenza del termine breve per l’impugnazione del Comune, che, pertanto, deve essere considerata tempestiva.
5. Il primo motivo di ricorso è fondato.
Deve darsi atto, infatti, che l’appello proposto dal Comune non era inammissibile, in quanto all’appello tributario si applica l’art. 53, comma 1, del d.lgs. n. 546 del 1992, che richiede che il gravame contenga tra l’altro i “motivi specifici” dell’impugnazione, la cui mancanza o assoluta incertezza ne determina l’inammissibilità.
Orbene, deve osservarsi che l’appello è un mezzo di impugnazione devolutivo a critica libera, correttamente proposto se da esso si evincono con sufficiente chiarezza le questioni o le domande, affrontate, esplicitamente o implicitamente, nella sentenza di primo grado e da questa decise in modo da determinare, la soccombenza, totale o parziale, della parte appellante.
Nel caso che ci occupa, il Comune ha riproposto alla CTR, mediante l’impugnazione della sentenza di primo grado, in maniera sufficientemente precisa, le difese già spiegate in primo grado e non accolte dai primi giudici, sicché l’appello era certamente ammissibile.
La CTR, tuttavia, pur pronunciando un dispositivo di inammissibilità dell’appello, si è diffusa, in motivazione, sulla sua infondatezza nel merito con argomentazioni censurate in questa sede. Orbene, il Collegio, pur consapevole dell’orientamento di questa Corte nella sua più autorevole composizione (SSUU n. 3840/2007), secondo il quale la sentenza che, pronunciando l’inammissibilità del gravame, si diffonda in motivazione sulla infondatezza nel merito dello stesso, deve essere impugnata solo in punto di inammissibilità, essendo le motivazioni dell’infondatezza nel merito solo dei meri obiter dicta, deve rilevare che la struttura motivazionale della sentenza impugnata induce a ritenere che, nonostante che il dispositivo statuisca l’inammissibilità dell’appello, la CTR abbia, in realtà e nonostante le apparenze, inteso assorbire la questione pregiudiziale di rito nella infondatezza del ricorso (Cass., sez. 6-2, n. 30354/2017), con la conseguenza che, anche in ossequio al canone della ragionevole durata del processo, la cassazione della sentenza impugnata si imporrebbe solo nel caso in cui anche le censure, di seguito esaminate, spiegate avverso la ragione posta a sostegno della sostanziale decisione nel merito dell’appello, fossero fondate.
5.1 Orbene, il secondo motivo di ricorso, teso a censurare la decisione nel merito dell’appello, è inammissibile per difetto del requisito dell’autosufficienza.
Ai sensi dell’art. 7, primo comma, ultimo periodo della l. n. 212 del 2000 (Statuto del contribuente), “se nella motivazione si fa riferimento ad un altro atto, questo deve essere allegato all’atto che lo richiama”.
Il Comune, nel ricorso per cassazione, non ha trascritto il contenuto dell’atto impugnato in prime cure, né lo ha indicato specificamente in ricorso allegandolo a quest’ultimo, né lo ha menzionato esattamente in ricorso indicando alla Corte dove reperirlo nell’ambito della produzione delle parti.
Per evitare che il ricorso sia inammissibile (rectius, improcedibile), infatti, non è sufficiente depositare i documenti sui quali il ricorso si fonda (art. 369, comma 2, n. 4 c.p.c.), insieme con il ricorso, ma è altresì necessario che il ricorso contenga “la specifica indicazione dei documenti sui quali il ricorso si fonda”.
Ciò significa che i documenti (così come gli atti processuali) su cui si fonda il ricorso debbono non solo essere allegati, ma anche essere “specificamente indicati nel corpo del ricorso”, affinché il giudice di legittimità non sia costretto a ricercarli nella documentazione prodotta dalla parte, e dunque a compiere la selezione degli atti rilevanti ai fini della decisione sui singoli motivi di ricorso, dalla legge processuale demandata alla parte medesima; ma si limiti ad esaminare i documenti già selezionati dalla parte in funzione del giudizio sui singoli motivi di ricorso.
Orbene, nel corpo del ricorso proposto, in relazione al secondo motivo, non vi è la specifica indicazione di alcun documento rilevante ai fini del giudizio.
Il ricorrente si è limitato, in chiusura dell’atto, a dire che “si depositano…documenti come da allegato elenco”, rimettendo, di fatto, alla Corte la selezione, all’interno dei documenti allegati ed indicati (solo) nell’elenco separato, di quelli rilevanti ai fini del giudizio su ciascun motivo in cui si articola il ricorso (Cass. SS.UU., n. 23019/2007).
Viceversa, l’ente ricorrente avrebbe dovuto indicare nel ricorso, e non in atti allegati, i documenti di cui intendeva avvalersi per dimostrare la fondatezza del motivo di impugnazione, allegandoli (essi sì) al ricorso, trascrivendoli nel corpo di esso o indicandone precisamente la collocazione onde consentire al Collegio di reperirli immediatamente e senza alcuna attività di ricerca.
Ne consegue che la Corte non può verificare se l’avviso di pagamento impugnato in prime cure dai contribuenti conteneva un sufficiente corredo motivazionale, né se ad esso era stato allegato l’avviso bonario, asseritamente provvisto di motivazione, né se l’avviso di pagamento, in alternativa, indicava espressamente che l’avviso bonario era stato in precedenza notificato al de cuius (e dunque gli eredi dovevano giuridicamente averne conoscenza), con la prova di tale notifica.
5.2 Il terzo motivo di ricorso, anch’esso teso a censurare la decisione nel merito dell’appello, è infondato.
E’ appena il caso di ricordare che, con orientamento costante, questa Corte afferma che la motivazione di un atto impositivo, di un avviso di liquidazione o di un avviso di pagamento, non può essere integrata in sede processuale (cfr., ex multis, Cass., n. 23248/2014), essendo essa un requisito indefettibile dell’atto.
Ne consegue che non può darsi rilievo alla circostanza che i contribuenti, impugnando l’atto anche solo deducendo che esso non contenga alcuna motivazione, non abbiano contestato nel merito la pretesa tributaria, come se ne ammettessero, in questo modo, l’esistenza.
5.3 In definitiva, il ricorso deve essere rigettato.
6. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
rigetta il ricorso.
Condanna il Comune di Eschia al pagamento, in favore dell’Avv. S.T., antistatario, delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in euro cinquecento per onorari, oltre al rimborso delle spese generali, iva e cpa come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
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