CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 23 marzo 2018, n. 7274

Imposte indirette – IVA – Accertamento – Cessioni di merci – Registrazioni contabili

Fatti di causa

Il giudizio concerne, per quanto ancora d’interesse, i rapporti commerciali intercorsi tra le società M., I. e R..

Secondo l’Agenzia delle entrate la prima aveva stipulato con la seconda un contratto avente ad oggetto la fornitura e la distribuzione in esclusiva nel territorio albanese dei prodotti a marchio M. e con la terza, società di diritto albanese, un contratto avente ad oggetto lo sfruttamento del marchio M. in Albania. In forza del contratto con I., M. fatturava le cessioni di merce in regime di non imponibilità, per la qualità di esportatore abituale dell’acquirente società; in virtù del contratto con R., fatturava corrispettivi per royalties, imputando il valore delle merci in ragione del 50% per ciascuna società.

Sempre secondo l’Agenzia le merci erano cedute ad I., che le rivendeva a R.; ma i beni restavano nel territorio nazionale.

Ne è scaturito un avviso di accertamento col quale per l’anno d’imposta 2005 l’Agenzia delle entrate recuperò l’Iva non assolta in relazione alle merci, in quanto ritenne che il contratto stipulato con R. schermasse in realtà non già una prestazione di servizi, sibbene una cessione di beni interna.

La s.p.a. M. ha impugnato l’avviso, ottenendone l’annullamento dalla Commissione tributaria provinciale.

Quella regionale ha respinto l’appello dell’Agenzia, sostenendo che i documenti prodotti evidenzino un accordo di natura trilaterale.

Contro questa sentenza propone ricorso l’Agenzia per ottenerne la cassazione, che affida ad un unico motivo, articolato in due censure, cui la contribuente reagisce con controricorso, che illustra con memoria.

Ragioni della decisione

1.- Il profilo del motivo di ricorso, col quale l’Agenzia si duole della nullità della sentenza perché affetta da motivazione apparente, è inammissibile.

Per effetto della riformulazione dell’art. 360, 1° comma, n. 5 c.p.c. disposta dall’art. 54 d.l. 22 giugno 2012 n. 83, come convertito e applicabile ratione temporis alla fattispecie, è denunciabile in cassazione solo il vizio motivazionale della sentenza d’appello che si esaurisce nella mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, nella motivazione apparente, nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili e nella motivazione perplessa e obiettivamente incomprensibile, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di sufficienza della motivazione (tra varie, Cass., sez. un., 7 aprile 2014, n. 8053).

2.- Nel caso in esame, di contro, la motivazione, sia pure disorganica e non perspicua, è ravvisabile e si può compendiare nell’affermazione che <<si tratta, sulla base dei documenti prodotti, di un accordo che, se pur non stipulato con unica scrittura, risulta di natura trilaterale per i richiami e riferimenti reciproci all’interno dei separati atti sottoscritti».

3.- Parimenti inammissibile è il profilo della censura che evidenzia la pretermissione, da parte del giudice d’appello, di sei elementi di prova, ossia le fatture rispettivamente emesse da M. nei confronti di I. e di R., i contratti intercorsi tra le tre società, la condotta di R., i resi da questa compiuti e l’antieconomicità delle vendite di M. ad I..

Ciò perché il profilo si traduce in una critica d’insufficienza della motivazione, inibita a norma del testo novellato dell’art. 360, 1° comma, n. 5, c.p.c.

4.- La pronuncia d’inammissibilità impedisce che si possa tener conto del giudicato scaturente da Cass. 23 febbraio 2018, n. 4408.

Il giudicato, difatti, fissando la regola del caso concreto, ha natura sostanziale, di modo che la sua operatività è preclusa da pronunce che, come quella odierna, impediscano l’esame nel merito del ricorso (arg. ex Cass. 28 dicembre 2016, n. 27077).

A tanto va aggiunto che comunque quello in questione non è utile a risolvere la questione, perché non concerne, in relazione ad altro anno d’imposta, la sussistenza nei rapporti tra M. e I. di una cessione di beni interna, e quindi imponibile, ma soltanto di una cessione di beni, per le caratteristiche della quale (se, cioè, sia interna oppure all’esportazione) v’è da attendere la valutazione del giudice del rinvio.

5.- In definitiva, il ricorso va dichiarato inammissibile e le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna l’Agenzia alla rifusione delle spese, spese, che liquida in euro 7500,00 per compensi, al 15% a titolo di spese forfettarie e agli accessori di legge.