CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 28 marzo 2018, n. 7714
Demansionamento del lavoratore e cessione del contratto di lavoro – Mancata prova di un’effettiva riorganizzazione giustificante la soppressione del posto di lavoro – Assenza del consenso alla cessione del contratto di lavoro – Reintegrazione del lavoratore nelle mansioni originarie – Risarcimento danno da lesione dell’integrità psico-fisica
Premesso
– che con sentenza 31 dicembre 2015, la Corte d’appello di Brescia dichiarava la persistenza del rapporto di lavoro di A.B. con I. – A.E.S. s.p.a. e ordinava la reintegrazione del primo nelle mansioni svolte prima del 2 novembre 2011 o in altre equivalenti: così parzialmente riformando la sentenza di primo grado, che aveva accertato il demansionamento del lavoratore a decorrere dal 1° giugno 2011 e condannato la società datrice al risarcimento del danno alla professionalità, liquidato in misura del 70% della retribuzione spettante a tale data sino al 30 gennaio 2012, rigettando ogni altra domanda (di ripristino del rapporto di lavoro alle dipendenze della società e risarcitoria del danno alla salute e morale) del lavoratore;
– che, dato atto della formazione di un giudicato, in quanto non impugnato sull’accertamento del Tribunale, di demansionamento del lavoratore (da addetto a compiti di contabilità nel settore CSM con inquadramento al 7° livello contrattuale ad autista e fattorino di 6° nel settore ASM, poi oggetto di cessione di ramo d’azienda a G. s.r.l.), la Corte territoriale riteneva però, contrariamente al primo giudice, che, per effetto di ciò ed esclusa la prova di un’effettiva riorganizzazione giustificante la soppressione del suo posto di lavoro nel settore CSM (e comunque neppure dedotto il suo consenso al conferimento delle mansioni inferiori assegnategli nel settore ASM poi trasferito), A.B. dovesse essere reintegrato nelle superiori mansioni svolte prima del 1° giugno 2011, non potendo essere trasferito alla cessionaria del ramo d’azienda (in quanto, per la ragione detta, in esso non incluso): per l’inapplicabilità del regime previsto dall’art. 2112 c.c. e l’assenza del suo consenso alla cessione del contratto di lavoro;
– che infine essa ribadiva la natura del danno morale di componente del danno non patrimoniale da lesione dell’integrità psico-fisica, della cui ricorrenza negava la prova;
– che con atto notificato il 6 maggio 2016, la società datrice ricorreva per cassazione con cinque motivi, cui resisteva il lavoratore con controricorso;
– che prima dell’odierna udienza di discussione, la ricorrente ha depositato atto di rinuncia, personalmente sottoscritto e accettato dal controricorrente, con la compensazione integrale delle spese tra le parti;
– che sussistono pertanto i requisiti prescritti dall’art. 390 c.p.c. per la pronuncia di estinzione del giudizio, senza alcun provvedimento sulle spese, dato semplicemente atto della volontà negoziale delle parti;
P.Q.M.
Visti gli artt. 390 e 391 c.p.c. dichiara l’estinzione del processo.
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