CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 29 luglio 2020, n. 16255
Assistente di volo in part time verticale ciclico – Anzianità contributiva di 52 settimane – Acquisizione del diritto a pensione – Principio di non discriminazione – Ammontare dei contributi versati da riproporzionare sull’intero anno cui i contributi si riferiscono – Periodi non lavorati nell’ambito del programma negoziale lavorativo concordato con il datore di lavoro – Inclusione
Fatti di causa
1. La Corte di appello di Roma, con sentenza n. 8552/2014, ha confermato la decisione di primo grado di accoglimento della domanda di M.M. intesa al riconoscimento dell’anzianità contributiva di 52 settimane in relazione al periodo – decorrente dall’anno 2004 – in cui aveva lavorato come assistente di volo in part time verticale ciclico.
Ha ritenuto il giudice di appello, richiamata la sentenza della Corte di Giustizia 10.6.2010 resa nei procedimenti riuniti C-395/2008, e C-396/2008, che la disciplina di riferimento – art. 7 legge n. 638 del 1983 e art. 9 d. Igs n. 61 del 2000 – ove interpretata, come preteso dall’INPS, nel senso che l’anzianità contributiva utile ai fini di determinazione della data di acquisizione del diritto a pensione dovesse essere calcolata diversamente per il lavoratore a tempo pieno e per il lavoratore part time con esclusione, per quest’ultimo, dei periodi non lavorati, si poneva in contrasto con il principio di non discriminazione sancito dalla Direttiva n. 97/81/CE ed in particolare dalla clausola n. 4 dell’allegato accordo quadro sul lavoro a tempo parziale, concluso dall’UNICE, dal CEEP e dalla CES, risultando il differente trattamento riservato al lavoratore part time contrario a tale previsione in quanto giustificato esclusivamente dalla tipologia del contratto di lavoro subordinato.
2. Per la cassazione della decisione ha proposto ricorso l’INPS sulla base di due motivi; la parte intimata ha resistito con tempestivo controricorso.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso l’INPS deduce violazione e/o falsa applicazione dell’art. 288 T.F.U.E., della sentenza della Corte di Giustizia 10.6.2010 resa nei procedimenti riuniti C-395/2008, E C-396/2008, degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., nonché vizio di motivazione. Censura la decisione impugnata in quanto in larga parte fondata, come evincibile dal riferimento alla sentenza della Corte di Giustizia 10.6.2010 resa nei procedimenti riuniti C-395/2008, e C-396/2008, sul principio di parità di trattamento tra lavoratori part time e lavoratori a tempo pieno tratto dall’ordinamento comunitario laddove, in relazione alla materia della sicurezza sociale nella quale si inscrive, per come pacifico, la odierna controversia, l’art. 48 TFUE si limita a prevedere solo il coordinamento delle singole legislazioni e non anche la necessità di una loro armonizzazione.
2. Con il secondo motivo di ricorso l’INPS deduce, in via subordinata, violazione e/o falsa applicazione dell’art. 9 d. Igs n. 61 del 2000, dell’art. 5, comma 11, d.l. n. 726 del 1984 convertito con modificazioni dalla Legge n. 638 del 1984 (ndr Legge n. 638 del 1983) e dell’art. 7 comma 1, d. l. n. 463 del 1983 convertito con modificazioni dalla legge n. 638 del 1983, nonché della sentenza della Corte di Giustizia del 10 giugno 2010, resa nei procedimenti riuniti C-395/08 e C-396/08.
Denunzia, inoltre, vizio di motivazione. Censura in sintesi la sentenza impugnata in quanto in contrasto con la corretta ricognizione della disciplina interna di riferimento alla stregua della quale il computo dell’anzianità contributiva doveva essere effettuato in proporzione al concreto orario di lavoro osservato.
3. I motivi, trattati congiuntamente per connessione, devono essere respinti in continuità con recenti arresti di questa Corte.
3.1. Secondo il consolidato orientamento del giudice di legittimità, (Cass. 23/10/2018, n. 26824; Cass. 10/04/2018 n. 8772; Cass. 29/04/2016, n. 8565), l’art. 5, comma 11, d.l. 726/1984 (in forza del quale ai fini della determinazione del trattamento di pensione l’anzianità contributiva «inerente ai periodi di lavoro a tempo parziale» va calcolata «proporzionalmente all’orario effettivamente svolto») va inteso, sia per formulazione della disciplina, sia (Cass.02/12/ 2015, n. 24532), sia per ragioni di conformità rispetto alla normativa eurocomunitaria (come interpretata dalla CGUE, 10 giugno 2010 cause riunite C-395/08 e C-396/08) sia anche per ragioni di parità di trattamento proprie già del diritto interno (Cass. 06/07/ 2017, n. 16677), nel senso che l’ammontare dei contributi versati ai sensi dell’art. 7 del d.l. 463 del 1983 (o poi sulla base delle successive ed identiche previsioni di cui all’art. 9, co. 4, d. Igs. 61/2000 e di cui all’art. 11, co. 4, d. Igs. 81/2015), debba essere riproporzionato sull’intero anno cui i contributi stessi ed il rapporto si riferiscono, non potendosi quindi escludere dal calcolo dell’anzianità contributiva utile per acquisire il diritto alla pensione nei confronti dei lavoratori con rapporto a tempo parziale cd. verticale ciclico, i periodi non lavorati nell’ambito del programma negoziale lavorativo concordato con il datore di lavoro.
3.2. In tale contesto, come puntualizzato da Cass. 06/07/2017 n. 16677 (in motivazione), il riferimento al principio di parità di trattamento tra lavoratori a tempo parziale e lavoratori a tempo pieno derivato dal diritto comunitario non implica che la materia in esame sia considerata direttamente assoggettata alla disciplina cui alla direttiva n. 97/81/CE (chè anzi la Corte di Giustizia non manca di chiarire che quest’ultima concerne esclusivamente “le pensioni che dipendono da un rapporto di lavoro tra lavoratore e datore di lavoro, ad esclusione delle pensioni legali di previdenza sociale”: cfr. CGUE, 10.6.2010, Bruno et al., p. 42), ma assume rilievo nel senso di ricavare (anche) dalla disciplina comunitaria una conferma di quel principio di parità di trattamento tra lavoratori a tempo pieno e a tempo parziale già immanente nell’ordinamento interno ai fini previdenziali.
4. In base alle considerazioni che precedono il ricorso deve essere respinto.
5. Le spese di lite sono regolate secondo soccombenza.
6. Sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13 (Cass. Sez. Un. n. 23535 del 2019).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite che liquida in € 3.500,00 per compensi professionali, € 200,00 per esborsi oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori, come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza del presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
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