CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 30 settembre 2020, n. 20903
Riconoscimento della natura subordinata a tempo indeterminato del rapporto di lavoro – Contratto di attivazione sociale – Illegittimità – Accertamento
Rilevato
che la Corte di Appello di Genova, con sentenza pubblicata il 30.4.2015, ha respinto il gravame interposto da C. M., nei confronti di A. S.p.A. e del Comune di Carrara, avverso la pronunzia del Tribunale di Massa n. 378/2014, depositata il 10.12.2014, che aveva rigettato le domande del lavoratore, nei confronti di A. S.p.A., dirette al riconoscimento della natura subordinata a tempo indeterminato del rapporto di lavoro intercorso tra le parti, con inizio in data 1.4.2011, previo accertamento della illegittimità del contratto di attivazione sociale, con diritto all’inquadramento economico e normativo del I livello professionale dell’Area Operativa Funzionale secondo il CCNL Federambiente del 30.6.2008; con la condanna della società datrice a riammettere in servizio il ricorrente e con la corresponsione delle retribuzioni maturate e maturande; che per la cassazione della sentenza ricorre C. M. articolando due motivi, cui resiste con controricorso A. S.p.A.; che sono state depositate memorie nell’interesse di entrambe le parti;
che il PG ha chiesto il rigetto del ricorso, previa integrazione del contraddittorio nei confronti del Comune di Carrara, al quale non risulta che sia stato notificato il ricorso per cassazione;
Considerato
che, con il ricorso, si deduce: 1) la violazione e falsa applicazione degli artt. 1 della I. n. 328 del 2000, 128 del D.lgs. n. 112/1998 e della I. regionale toscana n. 41 del 2005; art. 2094, 2126 e 2099 c.c.; 36 Cost.; 1, 2 e 7 del D.lgs. n. 81 del 2000; 18 e 26 della I. n. 196 del 1997 e si lamenta che la Corte di merito avrebbe in primo luogo accertato la natura negoziale del’atto denominato progetto di attivazione sociale, nonché la esistenza di una prestazione di tipo lavorativo resa dal M. presso TA. S.p.A., e che, successivamente, avrebbero affermato la natura atipica del rapporto oggetto di causa, pur se giustificato da più di un supporto normativo, basato essenzialmente su un intervento di carattere assistenziale originato dallo stato di disoccupazione del ricorrente che cctrova radice>> nell’art. 2 della Costituzione e nei principi solidaristici ad esso sottesi; deduce, altresì, che, su queste premesse, i giudici di secondo grado avrebbero erroneamente osservato che <<le ore svolte non erano molte, che si associavano per convenzione ad un controllo dell’assistente sociale e che non si è trattato di un rapporto di lavoro vero e proprio, al quale, dunque, non può applicarsi la normativa che disciplina la cessazione del rapporto di lavoro, applicabile ratione temporis (il rapporto avrebbe dovuto cessare il 31.12.2011 e si è interrotto per infortunio il 13.8.2011>>; 2) la violazione e falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 1362, 1363 e 1367 c.c. con riferimento a quanto previsto dagli artt. 5 e 6 del Progetto di attivazione sociale intercorso tra il Comune di Carrara ed il Centro A. S.p.A. riguardante le prestazioni lavorative di C. M., per avere i giudici di merito affermato che il rapporto di lavoro di cui si tratta non avesse le caratteristiche del lavoro subordinato e che, essendo venuti meno i presupposti fiduciari reciproci che giustificavano il progetto, il rapporto intercorso tra le parti potesse essere sospeso nella sua attuazione;
che, preliminarmente, va respinta la richiesta di integrazione del contraddittorio nei confronti del Comune di Carrara, non ricorrendo, nella specie, una ipotesi di litisconsorzio necessario;
che i motivi, da trattare congiuntamente per ragioni di connessione, non sono fondati; al riguardo, va premesso che il M. ha prestato la propria opera presso TA. S.p.A., società operante nel settore dei rifiuti, in forza di un progetto di Attivazione socialè che prevedeva la prestazione di venti ore settimanali, al fine di acquisire una esperienza significativa nel mondo del lavoro per sopperire alla condizione di disagio sociale scaturita dalla condizione di disoccupazione del medesimo;
che il rapporto si era interrotto a causa di un infortunio occorso al lavoratore, il quale ultimo aveva proposto ricorso al fine di ottenere tutte le garanzie scaturenti dal rapporto di lavoro asseritamente qualificato come subordinato;
che il Tribunale aveva respinto la domanda, osservando che l’infortunio era stato regolarmente denunciato alI’INAIL, ma che nessuna certificazione era stata trasmessa, né di prosecuzione della malattia, né di guarigione, essendo stato accertato, invece, che il M. avesse abbandonato di fatto l’attuazione del progetto intrapreso in suo favore, nonostante il Comune continuasse ad erogare il contributo economico, così come previsto nel progetto di cui si tratta;
che, ciò premesso, i giudici di seconda istanza hanno sottolineato che il rapporto oggetto di causa ha indubbiamente natura negoziale, pur trovando l’origine in un intervento di tipo assistenziale e che <<il nucleo della controversia attiene alla configurazione da attribuire al rapporto medesimo e se lo stesso soggiaccia alle tutele proprie del lavoro subordinato (tra cui, la sufficienza della retribuzione ai sensi dell’art. 36 Cost.) o se la stessa struttura atipica giustifichi la diversa regolamentazione impostata con la regolamentazione intercorsa>>;
che, a fronte della precisa ricostruzione della fattispecie, operata dai giudici di merito, nel quadro normativo di riferimento e della ratio sottesa all’istituto, altresì riportata esaustivamente nei motivi di ricorso sopra enunciati, il ricorrente non ha messo in luce la sussistenza degli elementi tipici della subordinazione, quali, ad esempio, lo stabile inserimento nell’impresa, l’assoggettamento al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro, la relazione sinallagmatica tra la messa a disposizione delle energie lavorative e la retribuzione percepita; né ha fornito prove a sostegno dei propri assunti, limitandosi a contestare l’utilizzabilità dei riferimenti normativi indicati nella sentenza impugnata alla figura negoziale applicata e sostenendo la non derogabilità del regime ordinario del rapporto lavorativo per la insussistenza di un sistema legale ad hoc;
che, pertanto, in tale contesto, motivatamente e condivisibilmente, i giudici di merito hanno reputato che il contratto atipico così concluso trovi giustificazione nella normativa statale e regionale richiamata dallo stesso M. ed esprima <<un interesse al mantenimento dell’inserimento sociale, in vista di più concreti sviluppi lavorativi e personali, meritevoli di tutela>> (v., in particolare, pag. 6 della sentenza impugnata);
che, infine, correttamente, la Corte di Appello ha escluso la natura fraudolenta del comportamento datoriale che ha, invece, dato l’opportunità a chi versava in stato di bisogno di accedere ad una occupazione lavorativa con prospettive future, non realizzatesi a causa del comportamento del M. innanzi descritto;
che, per tutto quanto esposto, il ricorso va rigettato;
che le spese del presente giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza;
che, avuto riguardo all’esito del giudizio ed alla data di proposizione del ricorso, sussistono, allo stato, i presupposti di cui all’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002;
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 3.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della non sussistenza, allo stato, dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a normi del comma 1 – bis dello stesso articolo 13.
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