CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 31 luglio 2018, n. 20258
Tributi – IVA – Prestazione pubblicitaria – Luogo della prestazione – Sede del destinatario extra UE – Effettiva utilizzazione – Diffusione internazionale – Operazione non imponibile
Fatti rilevanti e ragioni della decisione
1. L’Agenzia delle Entrate propone quattro motivi di ricorso per la cassazione della sentenza n. 64/27/11 del 21 settembre 2011, con la quale la Commissione Tributaria Regionale del Piemonte, a conferma della prima decisione, ha ritenuto infondato – per la parte che qui ancora interessa – l’avviso di accertamento notificato, per Iva e IIDD 2004, ad A.I. spa sulla base di diversi rilievi e riprese a tassazione.
La Commissione Tributaria Regionale, in particolare, ha ritenuto che: a. per quanto concerneva i rilievi n. 1 (indebita deduzione di costi di gestione-fabbricato non di competenza, perché da porsi pro quota a carico di soggetto subconduttore), n. 2 (indebito storno, tramite nota di credito, di costi pari al controvalore di partita di merce difettosa; non restituita ad Asics, ma portata al macero direttamente dalla società cessionaria) e n. 3 (indebita deduzione cumulativa di costi per spese di ospitalità di agenti, rappresentanti e collaboratori esterni; asseritamente suscettibili di essere dedotti unicamente da costoro in quanto lavoratori autonomi), l’amministrazione finanziaria non avesse dedotto in appello alcun elemento probatorio tale da inficiare quanto già ritenuto dal primo giudice in ordine alla loro infondatezza;
b. per quanto concerneva il rilievo n.6 (mancata applicazione dell’Iva sulle fatture di riaddebito alla casa madre, e proprietaria del marchio, Asics Corporation Japan di una quota delle prestazioni pubblicitarie erogate da media italiani su incarico di A.I., in asserita violazione del principio di territorialità), esso fosse parimenti infondato, dal momento che tra A.I. e la casa madre extra-UE non era intercorso, contrariamente a quanto sostenuto dall’ufficio, un rapporto di mandato senza rappresentanza, bensì un rapporto di fornitura di un servizio pubblicitario indiretto forfettariamente quantificato; dovendosi distinguere il luogo della sede della società erogante il servizio e degli sponsor (nella specie, calciatori ed atleti residenti in Italia ma operanti anche in ambito internazionale), e quello (indeterminato) in cui il messaggio pubblicitario trovava realizzazione ed effetto (sostanzialmente, in tutto il mondo e, quindi, anche in ambiti extraterritoriali ai fini Iva, ex art. 7, co. 4^, lett.d) dpr 633/72).
Resiste con controricorso A.I. spa, la quale deduce vari profili di inammissibilità del ricorso, nonché la sua infondatezza.
Formula altresì tre motivi di ricorso incidentale condizionato all’eventuale accoglimento del ricorso avversario sui rilievi nn. 1), 2) e 3).
2.1 Con il primo motivo di ricorso l’agenzia delle entrate lamenta- ex art. 360, 1^ co. n. 5 cod.proc.civ. – motivazione insufficiente in ordine ai rilievi nn.l) e 2), per non avere la commissione tributaria regionale: – (rilievo n. 1) chiarito quali altri elementi di prova, oltre al contratto di sublocazione del fabbricato intercorso tra A.I. e la A. srl, dovesse l’ufficio addurre a dimostrazione della indebita deduzione di costi di gestione dell’immobile afferenti la superficie oggetto del contratto di sublocazione medesimo e, in quanto tali, suscettibili di essere dedotti unicamente da A. srl; – (rilievo n. 2) rilevato l’inverosimiglianza e genericità della tesi di A.I. sulla difettosità della partita di merce oggetto di storno, tanto più che il beneficio della distruzione dei beni competeva unicamente al soggetto che l’aveva materialmente posta in essere, nella specie individuabile nella cessionaria A.I. srl.
2.2 La doglianza non può trovare accoglimento, risultando finanche inammissibile nella parte in cui non mostra di cogliere l’esatta ratio decidendi adottata dalla commissione regionale, ed in cui – in ogni caso – mira a suscitare una nuova valutazione di circostanze prettamente fattuali; come tali riservate alla delibazione del giudice di appello.
Questi, del resto, ha compiutamente motivato il proprio convincimento richiamando, da un lato, quanto sul punto già ritenuto dal primo giudice ed osservando, dall’altro, come l’agenzia delle entrate si fosse limitata a riproporre in appello la propria tesi iniziale (come già dedotta nell’avviso di accertamento), senza addurre argomentazioni e prove idonee a specificamente e persuasivamente inficiare la ratio della prima decisione.
Ratio individuabile nel convincimento del giudice di merito secondo cui: – (rilievo n. 1) non sussistevano elementi tali da sostenere la presunzione di addebito di costi di gestione immobiliare a carico del sublocatario, con conseguente mancata dichiarazione dei corrispondenti ricavi da parte della locatrice; dovendosi anzi ritenere che il canone del contratto di sub-locazione, relativo ad una minor parte della superficie immobiliare e regolarmente dichiarato, fosse forfettariamente comprensivo anche delle spese di gestione; – (rilievo n. 2) correttamente la società aveva contabilizzato nota di accredito alla cessionaria, a seguito e per effetto del comprovato invio al macero, da parte di quest’ultima, della merce difettosa; fermo restando che rilevava l’oggettività in sé della “rettifica delle movimentazioni rilevate nella fattura originaria, indipendentemente dalla motivazione per cui lo storno del credito aziendale sia dovuto”.
Con riguardo a nessuno dei due rilievi risultano addotti elementi di segno contrario, sicché la motivazione impugnata – ancorché basata in buona parte per relationem, ma non senza autonomo vaglio critico, su quanto già appurato ed esplicitato dal primo giudice – non può dirsi affetta dal vizio denunciato.
3.1 Con il secondo motivo di ricorso l’agenzia delle entrate deduce – ex art. 360, 1° co. n. 3 cod.proc.civ. – violazione e falsa applicazione degli articoli 109 d.P.R. 917/1986 e 1748 cod.civ., relativamente al rilievo n. 3). Per avere la commissione tributaria regionale erroneamente affermato che le spese di ospitalità di agenti e rappresentanti potessero essere cumulativamente dedotte da A.I., invece che pro quota dai singoli fruitori (“nella misura in cui siano state sostenute direttamente da questi ultimi”), in quanto oneri di lavoro autonomo.
3.2 La doglianza, che non è di natura motivazionale ma esclusivamente di applicazione normativa, è infondata.
In linea di fatto, l’amministrazione finanziaria non contesta che i recuperi fiscali per costi asseritamente ‘non inerenti’ avessero in realtà riguardo ad oneri per riunioni ed ospitalità di agenti, collaboratori esterni e professionisti (come accertato dalla commissione di primo grado sulla base della documentazione prodotta); sicché illegittimamente l’avviso di accertamento in questione ne aveva confutato l’inerenza all’attività imprenditoriale della società contribuente. Va d’altra parte evidenziata l’oggettiva debolezza della censura mossa sul punto dall’agenzia delle entrate, secondo cui tali costi non sarebbero inerenti solo perché facenti capo a lavoratori autonomi, così da potere (dovere) essere dedotti pro quota esclusivamente da questi ultimi ‘se ed in quanto effettivamente sopportatì. Argomentazione, quest’ultima, di per sé inidonea ad escludere quanto ravvisato dal giudice di merito in ordine sia alla ‘effettività’ dei costi (affrontati nell’ambito di attività di distribuzione marketing), sia alla loro ‘finalizzazione’ ed ‘inerenza’ all’attività sociale.
4.1 Con il terzo motivo di ricorso si lamenta – ex art. 360, 1° co. n. 3 cod.proc.civ.
– violazione e falsa applicazione dell’art. 9 della Sesta Direttiva Iva (alla luce dei principi fissati con sentenze CGUE 19 febbraio 2009 in causa C-1/08AthesiaDruck, e 15 marzo 2001 in causa C-108/00), nonché dell’art. 7, 4^ comma, lett. f) dpr 633/72. Per avere la commissione tributaria regionale, in relazione al rilievo n. 6), escluso l’imponibilità Iva delle prestazioni pubblicitarie, nonostante che: – tali prestazioni divenissero imponibili in Italia (luogo di residenza degli atleti incaricati) anche se rese a favore di soggetto extra Ue (art. 7, 4^ comma, lett. f) cit.), posto che in Italia si collocava il ‘luogo di utilizzazione della prestazione pubblicitarià, ravvisabile in quello “dal quale vengono diffusi i messaggi pubblicitari” (sent. CGUE 19 febbraio 2009 cit.);
– quest’ultima disposizione normativa si ponesse in deroga al principio generale di territorialità, così come consentito agli Stati membri dall’articolo 9, n. 3,lett.b) della citata direttiva Iva (sicché il criterio di collegamento generale del domicilio del prestatoreera sostituito, per le prestazioni pubblicitarie, dal luogo di utilizzo della prestazione’, come sopra individuabile).
4.2 Il motivo non può trovare accoglimento.
Il tema fondamentale di causa attiene alla corretta applicazione del principio di territorialità dell’Iva in una fattispecie di prestazione pubblicitaria indiretta rese in forza di contratti di sponsorizzazione di abbigliamento sportivo, da atleti, squadre e federazioni sedenti in Italia (ma partecipanti a competizioni e manifestazioni sportive su scala internazionale), a favore di un soggetto non-UE (la casa madre giapponese, alla quale la committente italiana fatturava, fuori campo Iva ex art. 7, 4^ co. lett. f) dpr 633/72, il rimborso forfettario della parte di compensi relativi alle prestazioni pubblicitarie mondiali).
Il dato normativo di partenza è costituito dall’art. 9 della Sesta Direttiva CEE in materia di Iva, secondo la quale (2^ co., lett. e) il luogo (tra le altre) delle prestazioni pubblicitarie “rese a destinatari stabiliti fuori della Comunità (…)” deve essere individuato in “quello in cui il destinatario ha stabilito la sede della sua attività economica o ha costituito un centro di attività stabile per il quale si è avuta la prestazione di servizi o, in mancanza di tale sede o di tale centro d ‘attività stabile, il luogo del suo domicilio o della sua residenza abituale”.
Questa regola generale, che porterebbe di per sé ad escludere la rilevanza Iva delle prestazioni pubblicitarie rese alla società giapponese, trova però temperamento nel terzo comma, lett. b), del medesimo art. 9 Dir., in base al quale, per le prestazioni in oggetto: “Al fine di evitare casi di doppia imposizione, di non imposizione o di distorsione di concorrenza, gli Stati membri possono(…) considerare: (…) b ) il luogo di prestazione dei servizi situato al di fuori della Comunità a norma del presente articolo come se fosse situato all’interno del paese quando l’effettiva utilizzazione e l’effettivo impiego hanno luogo all’interno del paese”.
Su tale presupposto, il legislatore italiano ha disciplinato la materia nell’articolo 7, 4/vco., lett. f), dpr 633/72 cit. in base al quale, nella formulazione vigente ratione temporis (la disciplina della territorialità Iva, successivamente ai fatti di causa, è mutata per effetto del decreto legislativo n. 18/2010, emanato per adeguare l’ordinamento nazionale alle sopravvenute direttive UE in materia),è previsto (prima parte) che le prestazioni pubblicitarie (tra le altre) “si considerano effettuate nel territorio dello Stato quando sono utilizzate in Italia o in altro Stato membro della Comunità stessa”, quand’anche “rese a soggetti domiciliati e residenti fuori della Comunità economica europea”.
La stessa disposizione prescrive poi (seconda parte) che le medesime prestazioni, se rese – anche a favore di soggetti extra UE – da soggetti domiciliati o residenti in Italia “si considerano effettuate nel territorio dello Stato quando sono utilizzate in Italia o in altro Stato membro della Comunità stessa”.
Risulta dunque che l’esercizio in materia della potestà di deroga si è concretato nella sostituzione del criterio di collegamento costituito dalla ‘sede del destinatario’ della prestazione pubblicitaria, con quello del ‘luogo di utilizzazione’ di tale prestazione.
Sul contenuto di quest’ultimo criterio di collegamento territoriale, è intervenuta (su questione pregiudiziale sollevata da questa corte di legittimità, nell’ambito del giudizio poi definito con la sentenza n. 26687/09, escludente anch’essa l’imposizione Iva) la citata sentenza CGUE 19 febbraio 2009, in causa C-1/08 AthesiaDruck, la quale ha formulato – per la parte qui rilevante – i seguenti principi conclusivi:
a. in materia di prestazioni pubblicitarie, quando il destinatario della prestazione è stabilito fuori del territorio della Comunità, il luogo della prestazione, in linea di principio, ai sensi dell’art. 9, n. 2, lett. e), della sesta direttiva, è fissato ove ha sede il destinatario; tuttavia, gli Stati membri possono avvalersi della facoltà prevista dall’art. 9, n. 3, lett. b), della sesta direttiva, stabilendo il luogo della prestazione dei servizi in questione, in deroga a detto principio, all’interno dello Stato membro interessato;
b. ove si sia fatto uso della facoltà di cui all’art. 9, n. 3, lett. b), della sesta direttiva, una prestazione pubblicitaria effettuata da un prestatore stabilito nella Comunità a vantaggio di un destinatario stabilito in uno Stato terzo, indipendentemente dal fatto che tale destinatario sia un destinatario finale o intermedio, è considerata essere stata effettuata nella Comunità, purché l’effettiva utilizzazione e l’effettivo impiego, ai sensi dell’art. 9, n. 3, lett. b), della sesta direttiva, avvengano all’interno dello Stato membro interessato;
c. in materia di prestazioni pubblicitarie si verifica l’ipotesi di effettiva utilizzazione ed effettivo impiego “quando la diffusione dei messaggi pubblicitari oggetto della prestazione avviene a partire dallo Stato membro interessato”.
Dal tenore della motivazione della CGUE si evince che il criterio di collegamento in deroga (considerazione del luogo di prestazione dei servizi situato al di fuori della Comunità a norma dell’art. 9 Dir.cit. come se fosse situato all’interno del Paese) può operare (§ 28) “quando l’effettiva utilizzazione e l’effettivo impiego hanno luogo all’interno del paese”; e per Paese all’interno del quale hanno luogo l’effettiva utilizzazione e l’effettivo impiego delle prestazioni pubblicitarie si deve intendere “il paese dal quale vengono diffusi i messaggi pubblicitari” (§ 29).
Ora, è proprio facendo applicazione di tali principi che si giunge a ritenere infondato il motivo di ricorso in esame.
Il giudice di merito ha appurato che le prestazioni pubblicitarie oggetto di rimborso da parte della casa-madre giapponese non individuavano in Italia, ai fini dell’imposizione globale Iva, il suddetto criterio di collegamento del ‘luogo di utilizzazione’; posto che, indipendentemente dalla residenza in Italia tanto della società committente quanto dei soggetti ed enti sportivi vincolati alla sponsorizzazione, la prestazione veniva resa e diffusa, in occasione di manifestazioni e competizioni sportive internazionali, in Stati extra UE, ed attraverso media ed organismi di trasmissione e comunicazione ivi ubicati.
L’agenzia delle entrate si è limitata a dare per scontato che anche le prestazioni oggetto di rimborso, in forza degli accordi contrattuali interni alle due società del gruppo, trovassero diffusione a partire e nell’ambito del territorio nazionale; senza peraltro contestare che tali prestazioni consistessero in attività di sponsorizzazione sportiva destinata anche all’ambito internazionale, perché affidata ad atleti (per es., calciatori della squadra nazionale) e federazioni normalmente impegnati in manifestazioni in tutto il mondo; e nell’ambito di competizioni riprese e diffuse da organismi di comunicazione ed informazione anch’essi dislocati in tutto il mondo.
Si tratta di circostanza fattuale dirimente, posto che la quota di rimborso dei compensi pubblicitari addebitata dalla società italiana alla casa-madre giapponese faceva appunto riferimento alle (sole) prestazioni pubblicitarie di diffusione mondiale (extra UE); trovando la propria giustificazione contrattuale (causale) nel nesso di corrispettività intercorrente tra il pagamento di tale quota di compensi da parte della casa-madre giapponese ed il vantaggio da quest’ultima conseguito per effetto della pubblicizzazione del marchio di proprietà in ambito internazionale.
Nemmeno, poi, l’amministrazione ha contestato la congruità della percentuale forfettaria di rimborso in rapporto alla percentuale di effettiva diffusione ‘mondiale’ (non Iva) del messaggio pubblicitario.
In definitiva non può pertanto dirsi, sulla base dei principi fissati dalla menzionata sentenza CGUE Athesia Druck, che la quota di rimborso fatturato fuori campo Iva facesse riferimento a prestazioni pubblicitarie connotate da “effettiva utilizzazione ed effettivo impiego all’interno del paese”.
5.1 Con il quarto motivo di ricorso si lamenta – ex art. 360, 1^ co. n. 5 cod.proc.civ. – insufficiente motivazione in ordine alla ritenuta insussistenza di un rapporto contrattuale di mandato senza rappresentanza tra A.I. ed Asics Corporation Japan; in forza del quale la società italiana aveva stipulato i contratti originari’ di pubblicità in nome proprio ma per conto e nell’interesse anche della società giapponese, come desumibile dai contratti di riaddebito intercorsi tra le due. Al contrario, in conseguenza del rapporto di mandato, rilevava l’articolo 3, 3^ co., dpr 633/72, recante la totale equiparazione dei servizi resi o ricevuti dal mandatario a quelli resi al mandante, con conseguente normale imponibilità Iva.
5.2 Nemmeno questa doglianza può trovare accoglimento, risultando anzi – per più versi – inammissibile.
Non è qui in discussione che A.I. non abbia funto da erogatrice diretta della prestazione di pubblicità (infatti fornita da altri soggetti, sulla base di fatture regolarmente assoggettate ad Iva); né è revocabile in dubbio che il problema della territorialità possa concernere anche le modalità ‘indirette’ di prestazione del servizio, secondo quanto già stabilito da CGUE con la sentenza 15 marzo 2001, in causa C-108/00 (Syndicat des producteurs indépendants (SPI)), secondo cui: “L’art. 9, n. 2, lett. e), secondo trattino, della sesta direttiva 77/388/CEE, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari, relativo al luogo di competenza fiscale delle prestazioni pubblicitarie, dev’essere interpretato nel senso che si applica non soltanto alle prestazioni pubblicitarie fornite direttamente e fatturate dal prestatore di servizi a un utente pubblicitario soggetto passivo, ma anche a prestazioni fornite indirettamente all’utente pubblicitario e fatturate ad un terzo che le fattura a sua volta all’utente stesso”. Si tratta di principio più volte ribadito, e recepito anche dalla già menzionata sentenza CGUE Athesia Druck, secondo cui (§ 23): “conformemente alla giurisprudenza della Corte, l’art. 9, n. 2, lett. e), secondo trattino, della sesta direttiva dev’essere interpretato nel senso che esso si applica non soltanto alle prestazioni pubblicitarie fornite direttamente e fatturate dal prestatore di servizi a un committente di pubblicità soggetto passivo, ma anche a prestazioni fornite indirettamente al committente di pubblicità e fatturate ad un terzo che le fattura a sua volta al committente stesso (sentenze 15 marzo 2001, causa C-108/00, SPI, Racc. pag. 1-2361, punto 22, e 5 giugno 2003, causa C-438/01, Design Concepì, Racc. pag. 1-5617, punto 17)”; nonché (§ 24) “ne consegue che il carattere indiretto delle prestazioni, risultante dal fatto che esse sono state fornite o fatturate da un primo prestatore ad un’impresa, a sua volta incaricata di effettuare servizi pubblicitari, prima di essere fatturate da quest’ultima al committente di pubblicità, non osta all’applicazione dell’art. 9, n. 2, lett. e), della sesta direttiva (citata sentenza Design Concepì, punto 18)”.
Resta però che, quand’anche si individui in concreto una modalità indiretta di prestazione pubblicitaria, il problema della territorialità resterebbe ancorato al dato normativo su riportato, sicché non potrebbe tale modalità determinare di per sé una diversa soluzione del caso (sempre legata al ‘luogo di utilizzazione’ della prestazione, come su definibile).
Né varrebbe obiettare – con l’amministrazione finanziaria – che siffatta modalità indiretta di prestazione venne basata su un vero e proprio rapporto di mandato senza rappresentanza tra le due società del gruppo, cosicché “le prestazioni di servizi rese o ricevute dai mandatari senza rappresentanza sono considerate prestazioni di servizi anche nei rapporti tra il mandante ed il mandatario” (art. 3, 4^ co., dpr 633/72).
Da un lato, la disposizione in esame estende al rapporto tra mandante e mandatario la nozione di ‘prestazione di servizi’ intercorrente tra il mandatario ed il terzo; senza con ciò recare deviazione alcuna dal regime di territorialità al quale la prestazione di servizi – sebbene assunta in questa accezione soggettivamente estesa – deve ritenersi ordinariamente assoggettata (‘luogo di utilizzazione’).
D’altro lato – ed in radice – l’effettiva sussistenza del rapporto di mandato senza rappresentanza tra A.I. ed Asics Corporation non ha trovato comunque riscontro alcuno nel corso del giudizio di merito. Essendo anzi in quest’ultimo emerso come le prestazioni pubblicitarie in oggetto venissero commissionate da A.I. in completa autonomia, nonché in nome e per conto proprio. Salva la stipulazione di distinti contratti di fornitura con la consociata giapponese volti a porre a carico di quest’ultima il costo derivante dai ‘contratti originari’ di sponsorizzazione, nella quota forfettaria pertinente al ritorno pubblicitario internazionale del marchio.
Si tratta, all’evidenza, di una valutazione resa dal giudice di appello sulla tipica quaestio facti costituita dall’interpretazione degli accordi negoziali intercorsi tra le parti. Valutazione che, in quanto adeguatamente motivata, non è sindacabile nella presente sede di legittimità; nella quale, del resto, non è stata formulata alcuna censura di violazione normativa con indicazione degli specifici criteri legali di interpretazione del contratto, ex artt. 1362 segg. cod.civ., che il giudice di merito avrebbe, in ipotesi, disatteso.
6.1 Al rigetto del ricorso principale consegue l’assorbimento di quello incidentale condizionato proposto da A.I..
Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
P.Q.M.
– rigetta il ricorso principale dell’agenzia delle entrate;
– dichiara assorbito il ricorso incidentale condizionato di A.I. spa;
– condanna l’agenzia delle entrate al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in euro 7.300,00; oltre rimborso forfettario spese generali ed accessori di legge.
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