Corte di Cassazione sentenza n. 10643 del 7 marzo 2013
SICUREZZA SUL LAVORO – VIOLAZIONI IN MATERIA DI SICUREZZA – INFORTUNIO CON UN TRAPANO IRREGOLARE PRIVO DEL NECESSARIO DISPOSITIVO DI PROTEZIONE – RESPONSABILITA’ DEL DATORE DI LAVORO
massima
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Vi è la responsabilità del datore di lavoro delle lesioni riportate dal lavoratore dipendente, sul rilievo che al medesimo era stato fornito uno strumento di lavoro (un trapano) irregolare perchè mancante del necessario dispositivo di protezione.
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FATTO
C.L. ricorre avverso la sentenza di cui in epigrafe che, confermando quella di primo grado, l’ha riconosciuta colpevole, quale datore di lavoro, delle lesioni riportate dal lavoratore dipendente O.A., sul rilievo che al medesimo era stato fornito uno strumento di lavoro (un trapano) irregolare perché mancante del necessario dispositivo di protezione.
In fatto, attraverso la valorizzazione della deposizione dell’ispettore del lavoro intervenuto sul luogo dell’infortunio, era risultato accertato che il trapano il cui utilizzo aveva determinato l’infortunio non era munito di adeguata protezione in modo da impedire possibili contatti della mano dell’operatore con la parte rotante, onde l’addebito contestato al datore di lavoro, il quale, in ogni caso, laddove fosse risultato impossibile applicare il meccanismo di protezione per la vetustà dell’attrezzo, avrebbe comunque dovuto sostituirlo con altro in regola.
Con il ricorso si censura il giudizio di responsabilità sostenendo che il trapano, pur mancando della lastra di protezione, era munito di un dispositivo di arresto – blocco di sicurezza conforme alle direttive vigenti in materia. Si invoca nuovamente l’abnormità e l’imprevedibilità del comportamento del lavoratore, che pure aveva ricevuto adeguata istruzione.
E’ stata presentata memoria dell’INAIL, che insta per il non accoglimento del ricorso.
DIRITTO
Il ricorso è manifestamente infondato.
A fronte di una doppia conforme decisione di condanna si vuole riproporre il tema della responsabilità, pur risultando accertata l’irregolarità dell’attrezzo e il conseguente obbligo del datore di lavoro di quantomeno sostituirlo.
Ineccepibile è la decisione anche laddove è stata escluso rilievo alla pretesa colpa del lavoratore.
E ciò in ossequio al principio pacifico in forza del quale, in caso di infortunio sul lavoro, non è consentito al datore di lavoro invocare a propria discolpa, per farne discendere l’interruzione del nesso causale (art. 41 c.p., comma 2), la legittima aspettativa della diligenza del lavoratore, allorquando lo stesso datore di lavoro versi in re illicita per non avere, per propria colpa, impedito l’evento lesivo cagionato dallo stesso infortunato, consentendogli di operare sul luogo di lavoro in condizioni di pericolo (Sezione 4, 25 marzo 2011, dep. 17 agosto 2011, n. 32119, D’Acquisto, che, da queste premesse, con affermazione qui pertinente, ha rigettato il ricorso del datore di lavoro, cui era stato addebitato di avere fornito macchinari non omologati e pericolosi, sul rilievo che doveva quindi ritenersi non rilevante la condotta, pur imprudente e negligente, comunque tenuta dal lavoratore infortunato e da altri lavoratori coinvolti nell’eziologia dell’infortunio, affatto abnorme o imprevedibile, perché posta in essere nell’ambito dell’attività lavorativa e delle mansioni demandate).
Va infatti ribadito che non potrebbe mai assumere le caratteristiche del comportamento “abnorme” del lavoratore, idoneo ad interrompere il nesso causale, il comportamento del lavoratore, pur in ipotesi imprudente, che abbia compiuto un’operazione comunque rientrante pienamente, oltre che nelle sue attribuzioni, nel segmento di lavoro attribuitogli (Sezione 4, 11 gennaio 2011, dep.26 gennaio 2011, n. 2606, L’Episcopo).
Ciò che qui non è revocabile in dubbio.
Alla inammissibilità del ricorso, riconducibile a colpa della ricorrente (Corte Cost., sent. 7-13 giugno 2000, n. 186), consegue la condanna della ricorrente medesima al pagamento delle spese processuali e di una somma, che congruamente si determina in Euro mille, in favore della cassa delle ammende, oltre alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile INAIL in questo giudizio, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000,00 in favore della Cassa delle ammende, oltre alla rifusione delle spese in favore della parte civile INAIL, che liquida in complessivi Euro 2.000,00, oltre accessori come per legge.
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