CORTE di CASSAZIONE – Sentenza n. 11189 depositata il 27 aprile 2023
Tributi – Avvisi di accertamento IRES e IRAP – Variazioni della riserva – Istanza di autotutela – Interessi per ritardato rimborso di imposte pagate – Data del versamento delle somme da rimborsare – Natura compensativa degli interessi maturati sui crediti di imposta – Principio dell’autonomia dei periodi d’imposta – Decorrenza degli accessori – Accoglimento
Fatti di causa
1. La S. R. M. di A. s.p.a. ricevette la notifica di due avvisi d’accertamento, rispettivamente in materia di Ires ed Irap, entrambi aventi ad oggetto l’anno d’imposta 2006, con i quali le veniva contestato, quanto al rilievo più gravoso e tuttora rilevante in questa sede, di non avere tassato taluni elementi reddituali (variazioni della riserva) di competenza del periodo d’imposta accertato, avendo erroneamente accantonato nella riserva sinistri importi in eccedenza.
La contribuente impugnò gli avvisi, ma nel frattempo ricevette la notifica di due cartelle di pagamento recanti l’iscrizione a ruolo di tutti gli importi accertati, sul presupposto che gli avvisi fossero stati tardivamente impugnati.
L’adita Commissione tributaria provinciale di Torino dichiarò inammissibili i ricorsi avverso gli accertamenti, ritenendoli tardivamente proposti. La contribuente propose quindi, innanzi la Commissione tributaria regionale del Piemonte, appello avverso le relative sentenze di primo grado.
In tale contesto, la contribuente presentò altresì istanza di autotutela, relativa sempre al periodo d’imposta 2006, chiedendo l’annullamento del rilievo in questione.
Inoltre, la stessa contribuente propose istanza di rimborso per il periodo d’imposta 2007, sostenendo che con il rilievo di cui ai predetti accertamenti, relativi all’anno d’imposta 2006, l’Ufficio aveva sottoposto a tassazione poste contabili che erano state dichiarate dalla società e sottoposte a tassazione, con versamento del dovuto, nell’anno d’imposta successivo. Nella sostanza, secondo la contribuente, tenuto conto della contestazione mossa dall’Ufficio per l’anno d’imposta 2006, risultava allora pagato un importo in eccesso, ai fini sia Ires che Irap, per l’anno d’imposta successivo, ovvero il 2007.
La complessiva situazione venutasi a creare tra le parti sulle relative questioni veniva definita con il verbale del 18 settembre 2004, con il quale ” le parti precisano gli aspetti procedurali dell’ipotesi di definizione già discussa con l’Agenzia (…)” (cfr. verbale riprodotto a pag. 13 del ricorso), prevedendo che:
l’Amministrazione avrebbe accolto l’istanza di autotutela, limitatamente agli errori materiali e di calcolo, con l’annullamento parziale degli avvisi e l’attivazione dei provvedimenti di sgravio parziale delle iscrizioni a ruolo contenute nelle cartelle di pagamento per il 2006;
la contribuente, ricevuto il provvedimento di autotutela, avrebbe consegnato all’Ufficio gli atti di rinuncia, con compensazione delle spese di lite di secondo grado, agli appelli avverso le sentenze di primo grado che avevano rigettato i ricorsi proposti contro gli avvisi relativi al 2006. Le rinunce, accettate dall’Amministrazione, sarebbero state quindi depositate presso la CTR adita in appello;
l’Ufficio, “a seguito della declaratoria di estinzione dei giudizi relativi agli appelli 2006 da parte della Commissione tributaria regionale del Piemonte, provvederà ad accogliere l’istanza di rimborso 2007 (Euro 18.124.942 per Ires ed Euro 2.842.980 per Irap per un totale di Euro 20.967.922 oltre interessi) e ad eseguire le lavorazioni di propria competenza per la restituzione delle somme ivi richieste.” (cfr. pag. 14 del ricorso).
2. All’esito dell’accordo, l’Amministrazione ha quindi disposto l’erogazione delle somme richieste a rimborso dalla contribuente per l’anno d’imposta 2007.
La contribuente ha presentato ricorso avverso il relativo provvedimento di rimborso (che ha qualificato come diniego espresso) e contro la conseguente erogazione (che ha qualificato come diniego implicito), sostenendo che l’Ufficio avrebbe quantificato in maniera errata gli interessi sulle somme da rimborsare, relativamente alla corretta determinazione sia del dies a quo che di quello ad quem della relativa decorrenza.
In sintesi, a detta della contribuente, nell’ipotesi di specie, nella quale il rimborso era finalizzato a neutralizzare la doppia imposizione che derivava dalla ritenuta competenza dell’anno 2006 di componenti sottoposte dalla società a tassazione nel 2007, la decorrenza iniziale degli interessi avrebbe dovuto coincidere con quella (30 novembre 2007) di versamento delle imposte del 2007 da rimborsare, non rilevando la data in cui la pretesa erariale relativa al 2006 era divenuta definitiva. Tanto meno rilevando, secondo la contribuente, la data in cui essa ha provveduto a versare l’ultima rata delle cartelle per il 2006, che abbia condotto al pagamento di una somma complessiva pari alle imposte oggetto del rimborso per il 2007, come invece ritenuto dall’Amministrazione, sul presupposto che sino a quel momento (26 luglio 2013), non avendo la debitrice ancora pagato integralmente una somma pari a quanto comunque dovuto per il 2006, non vi sarebbe stata, relativamente al 2007, la doppia imposizione che avrebbe giustificato il rimborso.
Quanto poi al dies ad quem, secondo la contribuente esso avrebbe dovuto coincidere con la data dell’ordinativo di pagamento, come del resto riteneva l’Agenzia. Tuttavia, la contribuente assumeva che in mancanza di notifica dell’ordinativo, non prodotto dall’Ufficio, ed in presenza di una mera lista (di evidenza puramente interna) dell’emissione di alcuni ordinativi, l’incertezza comportava che gli interessi dovessero computarsi sino alla data di effettiva esecuzione del rimborso.
L’adita Commissione tributaria provinciale di Torino (la cui motivazione è riprodotta per stralcio sia nel ricorso che nel controricorso) ha rigettato il ricorso, rilevando, in sintesi, che l’indebito da rimborsare non era tale ab origine, ma lo è diventato solo quando è divenuto definitivo l’accertamento relativo al 2006, ” vale a dire il 26 luglio 2013″, essendo quindi sorto il diritto al rimborso soltanto successivamente al versamento da rimborsare. Ha poi aggiunto la CTP che era pertanto corretto il riconoscimento, da parte dell’Ufficio, della decorrenza degli interessi solo ” dal secondo semestre successivo alla data in cui la società ha effettuato il pagamento dell’undicesima rata” dell’importo dovuto per il pagamento delle imposte relative al 2006.
Quanto al dies ad quem, la CTP ha ritenuto che giustamente l’Amministrazione lo aveva fatto coincidere con la data di emissione del mandato di pagamento, ritenendo irrilevanti sia la data di comunicazione di quest’ultimo alla contribuente, sia quella di effettivo accredito dell’importo da rimborsare.
3. Proposto appello dalla contribuente, la Commissione tributaria regionale, con la sentenza di cui all’epigrafe, lo ha rigettato.
Nella sostanza, la CTR ha confermato la correttezza della condotta erariale che aveva fatto coincidere la decorrenza degli interessi con il 26 luglio 2013, perché non vi era stata doppia imposizione “prima del pagamento da parte del contribuente dell’ultima rata relativa alle somme richieste con gli avvisi d’accertamento 2006″, ” poiché il diritto al rimborso (“non”: negazione omessa per refuso nel testo, come emerge univocamente dal senso del periodo e dell’intera decisione)) poteva certamente essere fatto valere prima di quel momento (non essendosi verificata in precedenza alcuna doppia imposizione): cfr. sul punto anche la motivazione di Cass. 6331 del 2008.”.
Ha poi aggiunto la CTR che “Anzi, per la verità, il definitivo consolidamento della doppia imposizione è avvenuto con la successiva stipula (avvenuta, come si è visto, solo in data 18.9.2014) dell’accordo già citato in forza del quale l’attuale contribuente ha fatto acquiescenza avverso l’accertamento di una maggiore imposizione da lei dovuta nell’anno 2006.”. Ed ancora, sul punto, la sentenza d’appello ha rilevato che il differimento nel tempo del momento in cui poteva essere richiesta la restituzione delle maggiori imposte versate nell’anno 2007 è stata determinata (oltre che dal pagamento tardivo di quanto ab origine dovuto per l’anno d’imposta 2006, anche) dall’impugnazione degli accertamenti relativi all’anno d’imposta 2006, per cui il presunto ritardato adempimento dell’obbligazione di rimborso non era ascrivibile alla pretesa mora dell’Amministrazione.
4. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per Cassazione la società, affidato a due motivi, mentre ha resistito l’Agenzia con controricorso.
Il Procuratore generale ha prodotto conclusioni scritte, chiedendo di rigettare il ricorso. La ricorrente ha prodotto memoria.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso principale la contribuente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, ” Violazione e falsa applicazione dell’art. 44 del d.p.r. n. 602 del 1973, in correlazione con l’art. 23 della Cost., gli artt. 72, 76, 83, 109 e 163 del D.P.R. 22 dicembre 1986, l’art. 60 del d.p.r. 29 settembre 1973, n. 600, l’art. 28ter del d.p.r. 29 settembre 1973, n. 602, il provvedimento del direttore dell’Agenzia delle Entrate del 24 febbraio 2012 e gli artt. 407 e 409 del R.D. 23 maggio 1924 n. 827.”.
Si eccepisce l’erronea interpretazione ed applicazione delle norme in rubrica circa le nozioni di titolo giuridico dell’imposizione e di doppia imposizione; nonché circa l’individuazione della data iniziale e di quella finale di decorrenza degli interessi.
1.1. Il motivo è fondato.
È opportuno richiamare il dato testuale della norma che rileva nel caso di specie.
L’art. 44, comma 1, del d.p.r. n. 602 del 1973 è rubricato “Interessi per ritardato rimborso di imposte pagate” e, al comma 1, così dispone: “Il contribuente che abbia effettuato versamenti diretti o sia stato iscritto a ruolo per un ammontare di imposta superiore a quello effettivamente dovuto per lo stesso periodo ha diritto, per la maggior somma effettivamente pagata, all’interesse del 1,375 per cento per ognuno dei semestri interi, escluso il primo, compresi tra la data del versamento o della scadenza dell’ultima rata del ruolo in cui è stata iscritta la maggiore imposta e la data dell’ordinativo emesso dall’intendente di finanza o dell’elenco di rimborso.”.
Questa Corte ha già ritenuto applicabile l’art. 44 del d.p.r. n. 602 del 1973 (per effetto del rinvio, contenuto nel comma 2, all’art. 38, comma 5, del medesimo D.P.R.) ai rimborsi delle imposte pagate, facendone discendere che gli interessi decorrono non dalla data della domanda, ma dal secondo semestre successivo alla data del versamento (Cass. 3/09/2008, n. 22217).
Dunque, in tema di rimborso d’imposte, gli interessi dovuti dall’erario al contribuente per la ritardata restituzione sono soggetti alla disciplina dei rimborsi semestrali, ai sensi degli artt. 38 e art. 44 del d.p.r. n. 602 del 1973, sicché maturano al compimento di ogni singolo semestre, escluso il primo, successivo alla data non della domanda, ma del versamento e fino a quella dell’ordinativo del pagamento, e vanno calcolati al tasso legale vigente al momento della scadenza di ciascun semestre (Cass. 14/12/2016, n. 25684); senza che trovino applicazione le regole civilistiche ordinarie, presentando la disciplina tributaria in esame carattere di specialità (Cass. 20/10/2021, n. 29237); tuttavia, a decorrere dal 1° gennaio 2008, tale interesse va computato, ove siano trascorsi almeno dieci anni dalla richiesta di rimborso, giorno per giorno, come stabilito dall’art. 1, comma 139, l. n. 244 del 2007, disposizione che ha una portata meramente ricognitiva della situazione debitoria pregressa, non modificando né integrando la normativa previgente (Cass. 20/10/2021, n. 29237, cit.).
1.2. Il dato testuale normativo in ordine al dies a quo della decorrenza degli accessori in questione è quindi, anche secondo la giurisprudenza richiamata, univoco nell’individuare “la data del versamento” delle somme da rimborsare come momento temporale dal quale computare i semestri (fatto salvo il primo) di maturazione degli interessi secondo i criteri indicati nella citata disposizione.
La stessa previsione legislativa espressa della decorrenza ancorata alla ” data del versamento” delle somme da rimborsare rivela la ratio della debenza degli interessi nel caso di ripetizione delle imposte non effettivamente dovute, ovvero la funzione degli stessi accessori.
Sul punto, è opportuno premettere che è noto che questa Corte ha già avuto modo di affermare che gli interessi sulle somme che l’Amministrazione deve rimborsare al contribuente non hanno natura corrispettiva, ma moratoria, ossia sono disposti per il ritardo con cui l’imposta non dovuta è rimborsata (cfr. Cass. 21/03/2019, n. 7955), per cui non decorrono quando il ritardo non è addebitabile all’Amministrazione finanziaria (Cass. 21/03/2019, n. 7955, cit; cfr. Cass. 29/04/2016, n. 8540 e Cass. 23/07/2004, n. 13808).
Si tratta, tuttavia, di pronunce non strettamente conferenti la fattispecie sub iudice, poiché riguardano specificamente il rimborso di crediti Iva ai sensi dell’art. 38bis del d.p.r. 26 ottobre 1972, n. 633, ed in particolare la non decorrenza degli accessori nel periodo compreso tra il sedicesimo giorno dalla data di notifica della richiesta di documenti da parte dell’Ufficio e quella della loro consegna (Cass. n. 7955 del 2019); o nel periodo in cui sia stato mantenuto dall’Amministrazione il provvedimento, legittimo, di sospensione del relativo pagamento, a causa dell’inadempimento, da parte del contribuente, delle condizioni stabilite dallo stesso provvedimento, ovvero il rilascio di garanzia, per poter dare ugualmente corso al rimborso richiesto (Cass. 22/06/2021, n. 17828).
Invece, più in generale, questa Corte, quando si è trattato di individuare, (al fine di verificarne l’imponibilità, in base alle norme pro tempore vigenti) l’effettiva funzione degli accessori maturati sui crediti che i contribuenti hanno nei confronti dell’Amministrazione finanziaria, ha affermato che ” Gli interessi maturati sui crediti di imposta che i contribuenti hanno nei confronti dell’Amministrazione finanziaria non sono dovuti a titolo moratorio (non essendovi mora dell’Amministrazione) né derivano dall’impiego di capitale, ma servono a compensare i contribuenti dell’esborso pecuniario che essi hanno in precedenza effettuato versando al Fisco una somma di denaro che deve essere loro restituita. L’interesse su tale somma serve a reintegrare la diminuzione patrimoniale subita dal contribuente, che viene così compensato del mancato godimento del denaro in precedenza versato (…). Chiara è perciò la “natura compensativa” degli interessi maturati sui crediti di imposta, idonea ad escluderli dai redditi di capitale elencati nel citato art. 41” (Cass. 5/7/1990, n. 7091, in motivazione; conformi, sulla natura compensativa degli interessi in questione, in materia di imposte dirette, Cass. 6/04/1995, n. 4037; Cass. 28/11/1995, n. 12318; Cass. 15/04/1996, n. 3525; Cass. 10/06/1996, n. 5352; Cass. 15/02/1999, n. 1255; Cass. 17/07/1999, n. 7575; Cass. 8/09/1999, n. 9510; Cass. 17/05/2000, n. 6397; Cass. 20/09/2004, n. 18864; Cass. 04/09/2012, n. 31820; Cass. n. 9852 del 2016; Cass. 13/12/2017, n. 29879; Cass. 17/04/2019, n. 10705; Cass. 4/11/2021, n. 31820, in motivazione).
Per quanto qui rileva, il consolidato e continuo orientamento in questione (a prescindere da ogni interferenza delle norme applicabili ratione temporis in tema di imposizione dell’attribuzione patrimoniale rappresentata dagli interessi in questione) evidenzia dunque la funzione in senso lato “compensativa” (del mancato godimento, da parte del contribuente, del denaro in precedenza versato), che prescinde da un ritardo che sia colpevolmente imputabile all’Amministrazione (che, nel frattempo, ha ricevuto e posseduto la stessa somma) e legittimi la “mora” di quest’ultima, ai fini della decorrenza degli interessi di legge.
Del resto, qualora pure la natura “moratoria” degli interessi di cui all’art. 44 del d.p.r. n. 602 del 1973 volesse farsi dipendere dalla mera circostanza del riferimento al “ritardato” rimborso contenuto nella rubrica della stessa norma, dovrebbe comunque prendersi atto, per quanto qui interessa, che nel comma 1 la disposizione prende come riferimento, quale dies a quo della decorrenza dei semestri per i quali (escluso il primo) sono dovuti gli accessori, la ” data del versamento”. Pertanto, se ne dovrebbe trarre la conclusione che il legislatore (a prescindere dalla specifica regola dei semestri e dall’esclusione del primo di essi) considera comunque “ritardato” il rimborso ed in mora l’Amministrazione sin dal versamento che deve essere rimborsato.
Invero, indipendentemente dalla sovrapposizione di concetti e qualificazioni di natura squisitamente civilistica, non si può prescindere dal dato testuale offerto dal comma 1 del ridetto art. 44 del d.p.r. n. 602 del 1973, che individua la ” data del versamento” quale riferimento temporale, certo ed univoco, ai fini della conseguente individuazione del semestre di decorrenza iniziale degli accessori, prescindendo quindi da ulteriori elementi di valutazione. In coerenza, peraltro, con la peculiarità della disciplina del rimorso delle imposte, che, a differenza di quella civilistica generale sull’indebito, di cui agli artt. 2033 ss. c.c., prescinde, ai fini degli accessori, dallo stato soggettivo di buona fede o mala fede dell’accipiens. Infatti, nell’ordinamento tributario italiano vige, per la ripetizione del pagamento indebito, un regime speciale basato sull’istanza di parte, da presentare, a pena di decadenza dal relativo diritto, nel termine previsto dalle singole leggi di imposta, o, in mancanza di queste, dalle norme sul contenzioso tributario, e tale regime impedisce, in linea di principio, l’applicazione della disciplina prevista per l’indebito di diritto comune (Cass., sez. Un., 9/06/1989, n. 2786, in motivazione; Cass., sez. un., 16/06/2014, n. 13676 in motivazione, ove si cita altresì Cass. n. 11456 del 2011; da ultimo, nello stesso senso, Cass. 4/07/2022, n. 21106).
Giova peraltro rilevare che (come dedotto dalla ricorrente nel corpo del motivo, come argomentazione a supporto ulteriore della violazione di legge denunciata) sussiste indubbiamente un’ asimmetria tra la decorrenza degli interessi dovuti dalla (” a partire dal giorno successivo a quello di scadenza del pagamento”, ai sensi dell’art. 20 del d.p.r. n. 602 del 1973) sulle maggiori imposte accertate e quella degli interessi alla stessa contribuente spettanti (a norma dell’art. 44 del d.p.r. n. 602 del 1973, con esclusione del primo semestre successivo alla data del versamento) sul rimborso dell’imposta versata e non dovuta. Ed è vero che la disciplina dell’art. 44 del d.p.r. n. 602 del 1973, in sé considerata, è stata ritenuta legittima da Corte Cost., sentenza n. 157 del 1996, che ha posto in evidenza (anche richiamando le proprie precedenti ordinanze n. 288 del 1988 e n. 93 del 1989), la speciale natura del credito e la conseguente peculiare disciplina della materia tributaria apprestata dal legislatore, nella sua discrezionalità, congruamente giustificata dalle esigenze connesse alle operazioni di liquidazione dell’imposta e di formazione dei ruoli, nonché di quelle degli uffici preposti allo svolgimento dei complessi procedimenti restitutori. Tuttavia, proprio in considerazione di tale asimmetria, appare difficilmente sostenibile l’accoglimento di un’interpretazione che posticipi la decorrenza degli interessi sulle somme da rimborsare in misura maggiore rispetto a quella che il legislatore stesso, considerando le peculiarità del rapporto tributario e del procedimento di liquidazione e pagamento delle somme da restituire al contribuente, ha già collocato in relazione al loro versamento, con il conseguente semestre “bianco”.
Può quindi formularsi il seguente principio di diritto ” In tema di rimborso delle imposte sul reddito, gli interessi di cui all’art. 44 D.P.R. n. 602 del 1973 non presuppongono la mora dell’Amministrazione, ma hanno la funzione di reintegrare la diminuzione patrimoniale subita dal contribuente che non ha goduto della somma di denaro che ha versato al Fisco e che deve essergli restituita. Tali interessi, indipendentemente dalla buona o mala fede dell’accipiens, maturano al compimento di ogni singolo semestre, escluso il primo, successivo alla data non della domanda, ma del versamento e fino a quella dell’ordinativo del pagamento“.
1.3. Tanto premesso in generale a proposito degli interessi sulle imposte da rimborsare, deve rilevarsi che non vi è ragione di derogarvi nel caso di specie, nel quale la ragione che giustifica il rimborso, e ne costituisce il titolo, non è meramente la violazione del criterio di competenza commessa dallo stesso contribuente nella dichiarazione dei redditi dell’anno d’imposta 2007, ma è la violazione del divieto della doppia imposizione, dettato sia dall’art. 163 (già art. 127) del d.p.r. n. 917 del 1986, secondo cui “La stessa imposta non può essere applicata più volte in dipendenza dello stesso presupposto, neppure nei confronti di soggetti diversi.”; sia dall’art. 67 del d.p.r. n. 602 del 1973, per il quale ” La stessa imposta non può essere applicata più volte, in dipendenza dello stesso presupposto, neppure nei confronti di soggetti diversi. L’imposta personale pagata dal soggetto erogante a titolo definitivo a seguito di accertamento è scomputata dall’imposta dovuta dal percipiente il medesimo reddito”. Come infatti deduce la stessa ricorrente, il titolo giuridico del rimborso 2007 era la doppia imposizione generata dalla doppia applicazione (non dal doppio pagamento) delle imposte al medesimo reddito in due diversi periodi d’imposta.
Ed è vero che proprio la doppia imposizione ha legittimato la contribuente a presentare, il 5 aprile 2013, un’istanza di rimborso, relativa ad un versamento effettuato il 30 novembre 2007, che sarebbe invece tardiva, rispetto al termine decadenziale di cui all’art. 38 del d.p.r. n. 602 del 1973, ove prescindesse dalla (sopravvenuta) doppia imposizione e si fondasse unicamente sulla violazione commessa dalla stessa contribuente nell’imputare all’esercizio 2007 componenti reddituali che, per competenza, avrebbero dovuto essere considerate nell’anno d’imposta precedente.
Infatti, proprio in ragione della necessità che dal principio dell’autonomia dei periodi d’imposta e dall’obbligatorietà delle disposizioni in materia di competenza potesse derivare l’emersione di una doppia imposizione, la giurisprudenza ha riconosciuto, in materia, all’istanza di rimborso la funzione di valvola di sicurezza del sistema, assicurandone la funzionalità attraverso il coordinamento della disciplina della decadenza con la (probabile, nella maggior parte dei casi) sopravvenienza dell’evidenza della duplicazione dell’imposta, in periodi diversi, rispetto al versamento da rimborsare ed allo stesso termine decadenziale che da esso decorre.
E’ stato quindi affermato che ” In tema di reddito d’impresa, le regole sull’imputazione temporale dei componenti negativi, dettate in via generale dall’art. 75 del d.p.r. 22 dicembre 1986, n. 917, sono inderogabili, non essendo consentito al contribuente scegliere di effettuare la detrazione di un costo in un esercizio diverso da quello individuato dalla legge come esercizio di competenza, così da alterare il risultato della dichiarazione; né l’applicazione di detto criterio implica di per sé la conseguenza, parimenti vietata, della doppia imposizione, che è evitabile dal contribuente con la richiesta di restituzione della maggior imposta, la quale è proponibile, nei limiti ordinari della prescrizione ex art. 2935 c.c., a far data dal formarsi del giudicato sulla legittimità del recupero dei costi in relazione alla annualità non di competenza.” (Cass. 10/03/2008, n. 6331; conforme, ex plurimis, Cass. 23/06/2021, n. 18035).
E si è ribadito che ” In tema di reddito d’impresa, il recupero dei costi in base al criterio di competenza temporale non determina una duplicazione di imposta in quanto la dichiarazione del costo in una determinata annualità consente l’accertamento dell’Ufficio sulla base del corretto impiego di detto criterio, non essendo consentito al contribuente di scegliere il periodo in cui registrare le passività secondo la propria convenienza, così da alterare i risultati economici dell’esercizio, mentre, in caso di effettivo pagamento per due volte della medesima imposta, dispone dei rimedi ordinamentali della dichiarazione integrativa e del rimborso.” (Cass. 15/07/2020, n. 15019).
Nell’orientamento di legittimità richiamato, la decadenza dall’esercizio, da parte del contribuente (con istanza di rimborso e conseguente impugnazione del silenzio-rifiuto su di esso eventualmente formatosi), dell’azione di restituzione della maggior imposta indebitamente corrisposta in conseguenza dell’esposizione di componenti reddituali nell’annualità non di competenza, viene fatta quindi decorrere dal perfezionamento del giudicato sulla legittimità del recupero effettuato dall’Amministrazione in relazione all’annualità di competenza, ” che, nella prospettiva di cui all’art. 2935 c.c. (applicabile, anche in tema di decadenza: v. Cass. 9151/91), segna – pur in presenza di termini per l’emendabilità della dichiarazione (cfr. il d.p.r. n. 322 del 1998, art. 2 comma 8-bis, ratione temporis peraltro inapplicabile alla fattispecie) – il momento in cui il diritto al rimborso può essere fatto valere.” (Cass. 10/03/2008, n. 6331), ovvero la domanda di rimborso può essere presentata.
Nel medesimo senso, peraltro, prendendo atto di quanto statuito dalla giurisprudenza di legittimità in ordine alla decorrenza della decadenza dal diritto al rimborso, si veda anche la circolare 4 maggio 2010, n. 23/E, nella quale è stato riconosciuto che ” L’istanza di rimborso della maggiore imposta versata può essere presentata, ai sensi dell’art. 21, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992, entro due anni dal passaggio in giudicato della sentenza ovvero dalla data in cui è divenuta definitiva, anche ad altro titolo, la pretesa dell’Amministrazione finanziaria al recupero del costo oggetto di rettifica”, precisando che in nessun caso potrà accogliersi l’istanza di rimborso del contribuente, qualunque sia la norma invocata – ex art. 38 del d.p.r. n. 602 del 1973 oppure ex art. 8bis del d.p.r. n. 322 del 1998 o, in alternativa, ex art. 21, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992 – nel caso in cui la pretesa dell’Amministrazione finanziaria al recupero oggetto di rettifica non si sia resa definitiva.
Successivamente, la prassi (circolare 27 giugno 2021, n. 29/E) ha poi precisato che il diritto al rimborso della maggiore imposta versata con riguardo a un periodo d’imposta antecedente o successivo a quello oggetto di accertamento ” consegue a tutte le ipotesi in cui il rilievo divenga definitivo, e quindi anche nelle ipotesi di accertamento resosi definitivo per mancata impugnazione nei termini o per acquiescenza, nonché nei casi di accertamento con adesione o conciliazione giudiziale”.
Tuttavia, la circostanza che il termine di decadenza dal diritto al rimborso non decorra durante il periodo nel quale il contribuente neppure è consapevole di essere stato sicuramente assoggettato alla doppia imposizione, non esclude che, una volta che tale diritto sia stato esercitato tempestivamente, esso resti disciplinato dalle norme generali sul rimborso, compresa quella di cui all’art. 44, comma 1, del d.p.r. n. 602 del 1973, in materia di decorrenza (a prescindere dalla buona o mala fede e dalla mora dell’Amministrazione) degli interessi “compensativi” dal secondo semestre successivo al versamento delle somme da rimborsare.
Del resto, posticipando ulteriormente tale decorrenza, in contrasto con l’univoco dato normativo, non verrebbe eliminata integralmente la doppia imposizione e non si attuerebbe pienamente la funzione “compensativa” degli accessori, poiché, in relazione al medesimo presupposto dell’imposizione, sostanzialmente il contribuente subirebbe la cristallizzazione parziale (quanto ad una parte agli interessi) degli effetti del versamento già effettuato, sebbene pacificamente integralmente non dovuto, pur dovendo comunque adempiere il pagamento dovuto con effetti (ed accessori) risalenti alla sua originaria scadenza.
1.4. Tanto premesso, nel caso di specie la CTR ha motivato, in ordine alla decorrenza degli accessori, in maniera ambigua, o quanto perplessa. Invero, nello stesso contesto argomentativo, inizialmente la CTR pare individua e confermare, nella motivazione, il dies a quo degli accessori con riferimento alla data (26 luglio 2013) nella quale la contribuente ha versato le imposte accertate per il 2006 in misura tale da pareggiare quanto già versato dalla stessa società per le imposte dichiarate per il 2007, sul presupposto che solo in tale momento si sarebbe verificata la doppia imposizione titolo del rimborso. Tuttavia, nel periodo immediatamente successivo, la sentenza aggiunge che “Anzi, per la verità, il definitivo consolidamento della doppia imposizione è avvenuto con la successiva stipula (avvenuta, come si è visto, solo in data 18 settembre 2014) dell’accordo già citato in forza del quale l’attuale contribuente ha fatto acquiescenza avverso l’accertamento di una maggiore imposizione da lei dovuta nell’anno 2006.”.
1.5. In disparte l’ambiguità, e la conseguente incertezza, di tale due soluzioni, che di per sé sola legittima l’accoglimento della censura della contribuente, nessuna delle due è condivisibile, entrambe violando la lettera dell’art. 44, comma 1, del d.p.r. n. 602 del 1973 e posticipando, rispetto al secondo semestre dalla data del versamento, la decorrenza degli accessori sul rimborso dell’imposta versata per il 2007. Tanto meno poi è condivisibile l’affermazione che solo con l’integrale adempimento dell’ultima rata della pretesa erariale relativa all’imposta di cui al 2006, corretto esercizio di competenza, si realizzerebbe la doppia imposizione, che i citati artt. 163 del d.p.r. n. 917 del 1986 e 67 del D.P.R. n. 600 del 1973 riconnettono invece già all'”applicazione” più volte della stessa imposta in dipendenza dello stesso presupposto. La sentenza impugnata va quindi cassata, in parte qua, con rimessione della lite al giudice d’appello, che applicherà il principio di diritto già esposto.
2. Anche la censura, sempre compresa nel primo motivo, relativa alla determinazione della data finale della decorrenza degli stessi accessori, è ammissibile e fondata, nei termini che seguono. Infatti il ridetto art. 44 si riferisce alla ” data dell’ordinativo emesso dall’intendente di finanza o dell’elenco di rimborso.”, in applicazione del principio secondo cui, in tema di rimborso dei crediti, l’adempimento della relativa obbligazione da parte dell’amministrazione finanziaria deve ritenersi eseguito – con conseguente liberazione dalla prestazione dovuta – mediante l’emissione dell’ordinativo di pagamento (la cui esecuzione è poi affidata alla tesoreria), non essendo applicabile in materia tributaria la regola del pagamento al domicilio del creditore, stabilita dall’art. 1182 c.c..
Pertanto, ” Ne consegue che – alla luce del disposto dell’art. 44bis del d.p.r. n. 602 del 1973 – il termine finale della decorrenza degli interessi sulle somme da rimborsare va individuato nella data di emissione del mandato di pagamento, restando irrilevanti, a tal fine, sia la data della comunicazione dell’emissione stessa al contribuente (che pur va fatta in un termine ragionevole), sia quella dell’effettivo accredito della somma da rimborsare (il cui ritardo può, semmai, essere fonte di responsabilità` per il tesoriere) (Cass. sez. 5, sentenza n. 2843 del 9/02/2010; Cass. n. 2938 del 10/02/2010)” (Cass. 30/06/2020, n. 13082, in motivazione; nello stesso senso Cass. 2/03/2004, n. 4235). Tanto premesso, la sentenza impugnata, accertando il dies ad quem, ha ritenuto apoditticamente che l’Amministrazione ne avesse dato prova producendo una “lista degli ordinativi di pagamento riferiti al rimborso di cui si tratta”, “formata e validata” in data 21 novembre 2016. Deve pertanto ritenersi ammissibile la censura della ricorrente, nella parte in cui lamenta che la CTR ha accertato il dies ad quem equiparando, senza rendere conto di averne accertato la corrispondenza dei necessari contenuti, la “lista”(riprodotta nel ricorso) in questione agli atti (“data dell’ordinativo emesso dall’intendente di finanza o dell’elenco di rimborso”) previsti dal ridetto art. 44, anche in ordine all’individuazione degli accessori da pagare, non indicati nell’esemplare riprodotto. Si tratta, invero, non di una censura che attinge l’accertamento in fatto operato dalla CTR, ma la sussunzione dell’atto in questione nella fattispecie di cui all’art. 44 del d.p.r. n. 602 del 1973, che richiede la rimessione al giudice a quo, affinché proceda ai necessari accertamenti in fatto in conformità a tale fattispecie astratta.
Non sono invece ammissibili le ulteriori censure esposte dalla ricorrente in ordine al dies ad quem, che la contribuente non indica di aver già proposto nei gradi di merito e delle quali neppure dà conto la sentenza impugnata, dalla quale risulta invece la proposizione della contestazione della corrispondenza del documento in questione, sotto il profilo del suo contenuto, all’ordinativo di pagamento di cui alla citata norma.
3. Resta assorbito, dal parziale accoglimento del primo motivo, il secondo, con il quale la contribuente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la ” Violazione e falsa applicazione dell’art. 15 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546″, per avere la CTR condannato la contribuente soccombente alle spese di lite del giudizio d’appello, senza compensare le spese dei due gradi di giudizio per la novità della questione controversa.
P.Q.M.
Accoglie il primo motivo nei limiti di cui in motivazione e, assorbito il secondo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Piemonte, in diversa composizione, cui demanda di provvedere sulle spese del giudizio di legittimità.
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