CORTE di CASSAZIONE – Sentenza n. 15364 depositata il 31 maggio 2023

Lavoro – Passaggio a posizione economica superiore – Selezione interna – Remunerazioni delle prestazioni nel pubblico impiego – Previsioni di spesa – Attestazione da parte del responsabile del servizio finanziario della copertura finanziaria – Mancanza – Nullità della delibera – Avvio della procedura di avanzamento economico senza «impegno di spesa» – Inefficacia dell’atto – Rilevabilità d’ufficio – Rigetto

Fatti di causa

1. La Corte d’Appello di Caltanissetta, riformando la pronuncia del Tribunale di Enna, ha rigettato la domanda con la quale F.G.S. aveva chiesto accertarsi il suo diritto al passaggio alla posizione economica superiore, in virtù di selezione interna avviata nel 2008, con formulazione di graduatoria al cui interno essa era utilmente collocata, poi mai seguita dall’attuazione della progressione orizzontale.

La Corte territoriale riteneva l’insussistenza della copertura finanziaria di quella progressione, in quanto i documenti allegati alla deliberazione riguardavano il triennio 1999-2001, mentre la progressione orizzontale riguardava l’anno 2004 ed era stata indetta nel 2008, senza contare che il CCNL 2002/2005 sottoscritto il 22.1.2004 prevedeva che le risorse dovessero essere determinate annualmente e dunque non era possibile che le risorse valutate per il 2001 sorreggessero una procedura del 2008.

2. F.G.S. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di due motivi, resistiti da controricorso del Comune.

Sono in atti memorie difensive di ambo le parti.

Motivi della decisione

1. Il primo motivo di ricorso è rubricato come violazione dell’art. 132, co. 2, n. 4, c.p.c. (art. 360 n. 4 c.p.c.), violazione e falsa applicazione degli artt. 191, co., 1, prima parte e 153, comma 4, d.lgs. 267/2000 e dell’art. 13 della Legge Regionale 44/1991, vizio di sussunzione, nonché violazione degli artt. 15 e 17, co. 2, lett. b) del CCNL 1.4.1999 e degli artt. 13, co. 2, 14, co. 2, 19, 31, 34, 35 e 39, co. 2, CCNL 22.1.2002 del Comparto regioni ed autonomie locali (art. 360 n. 3 c.p.c.) e infine la violazione dell’art. 2697 c.c. Con il motivo si sostiene in prima battuta che la sentenza di appello sarebbe caratterizzata da un mera apparenza di motivazione, in quanto non era dato comprendere a che cosa si riferisse l’affermazione secondo cui la progressione non avrebbe potuto essere attuata per mancanza dell’impegno di spesa corredato dl visto di regolarità contabile, tenuto conto che l’impegno contabile vistato è atto successivo al perfezionamento dell’obbligazione, sicché, in definitiva, la pronuncia gravata ometteva di indicare quale concreto elemento di fatto sarebbe mancato ed alla cui assenza si dovesse imputare la mancanza dell’effetto rivendicato.

La censura prosegue argomentando rispetto all’astrattezza del richiamo alle norme di contabilità pubblica, risultando del tutto assente il riferimento agli atti delle procedure di progressione economica che in ipotesi non sarebbero con essa compatibili e/o risultassero da essa difformi.

Infine, secondo la ricorrente, sarebbe apodittica l’affermazione della Corte d’Appello secondo cui l’esistenza di copertura finanziaria triennale attestata nel giugno 2001, non coprendo la progressione oggetto di causa, potesse far concludere che quest’ultima fosse priva di tale copertura, anche perché il CCNL prevedeva che le risorse finanziarie per le progressioni fossero determinate annualmente.

Il motivo, in altra parte, richiama la previsione del CCNL 1.4.1999, comparto Regioni ed enti locali, con cui si era stabilita la destinazione a produttività e sviluppo delle risorse umane di risorse economiche da esso indicate, nonché le norme del CCNL 2002-2005, sottoscritto il 22.1.2004 che parimenti richiamavano risorse (art. 34 e 31) a determinazione annuale.

Aggiungendosi poi che la contrattazione integrativa aveva previsto parimenti una determinazione annuale in sede decentrata del fondo per le progressioni orizzontali, di cui si indicava la cadenza annuale, sicché alla luce di tali previsioni e del fatto che la procedura di progressione era stata comunque indetta, doveva semmai presumersi che la copertura finanziaria vi fosse, e non il contrario.

Analogamente, il motivo prosegue con il richiamo all’art. 2697 c.c., sostenendo che gli elementi appena menzionati avrebbero imposto alla P.A. di dimostrare la fondatezza dell’eccezione svolta rispetto alla carenza di copertura finanziaria, in quanto essa non rientrerebbe tra gli elementi costitutivi del diritto e ribadendo ancora come la previsione della spesa debba preesistere all’avvio della procedura di progressione, sulla base del fondo costituito annualmente, mentre l’impegno di spesa, con attestazione della copertura finanziaria, segue l’esperimento di tale procedura quale prima fase dell’iter finalizzato al pagamento.

2. Il motivo, nelle sue diverse articolazioni, non è fondato.

3. Non vi è dubbio che una qualsiasi attività che sia fonte di spesa per la P.A. in tanto possa essere avviata e comunque possa conseguire gli effetti suoi propri solo in quanto vi sia copertura dei relativi costi.

Questa S.C. ha già chiarito che le remunerazioni delle prestazioni nel pubblico impiego possono essere riconosciute solo se in linea con le previsioni ed allocazioni di spesa e che l’accordo incoerente con esse è invalido (Cass. 21 febbraio 2022, n. 5679) e rende pertanto ripetibili eventuali pagamenti eseguiti sulla sua base (Cass. 9 maggio 2022, n. 14672).

Fuoriescono da tale assetto solo quelle ipotesi in cui la situazione di fatto, per ragioni di diritto ancora superiori, si imponga a prescindere dalla previa regolarità dell’attività sotto il profilo della spesa, come può accadere in ambito lavoristico quando una certa attività sia stata fatta comunque svolgere dalla P.A.-datore di lavoro, pur in assenza dei requisiti di validità di essa, e debba quindi essere remunerata per effetto del disposto dell’art. 2126 c.c. e dei principi costituzionali (art. 35 e 36 Cost.) che a tale norma si affiancano.

Ma non è questo il caso, in cui si parla invece del conseguimento, di puro diritto, di una posizione economica migliore, la quale dipende solo ed unicamente dal verificarsi in modo pieno della fattispecie di riferimento.

3.1 Il principio della necessaria copertura della spesa, quanto agli enti locali, ha fondamento normativo, attualmente, nel combinato disposto dell’art. 191 e 153, co. 5, d. lgs. 267/2000, secondo cui (art. 191, co., 1 cit.) «gli enti locali possono effettuare spese solo se sussiste l’impegno contabile registrato sul competente programma del bilancio di previsione e l’attestazione della copertura finanziaria di cui all’articolo 153, comma 5».

3.2 Sulla base della normativa allora vigente e di portata sostanzialmente analoga (art. 55, co. 5 L. 142/1990, secondo cui «i provvedimenti dei responsabili dei servizi che comportano impegni di spesa sono trasmessi al responsabile del servizio finanziario e sono esecutivi con l’apposizione del visto di regolarità contabile attestante la copertura finanziaria») questa S.C. ha già affermato che «la delibera …. è valida e vincolante nei confronti dell’ente soltanto se il relativo impegno di spesa sia accompagnato dall’attestazione, da parte del responsabile del servizio finanziario, della copertura finanziaria» e che «l’inosservanza di tale prescrizione determina la nullità della delibera …. comportando l’esclusione di qualsiasi responsabilità od obbligazione dell’ente pubblico in ordine alle spese assunte senza il suddetto adempimento» (Cass., S.U., 28 giugno 2005, n. 13831).

Non diversamente, secondo Cass. 18 novembre 2011, n. 24303, in tema di contratti stipulati dai comuni, è principio inderogabile quello della necessità dell’impegno di spesa, già ai sensi degli artt. da 284 a 288 del r.d. n. 383 del 1934, e succ. mod., la cui violazione comporta radicale nullità ed ancora, secondo Cass., S.U. 18 dicembre 2014, n. 26657, in tema di obbligazioni della P.A., all’ente non è consentito di derogare alle procedure di spesa di cui all’art. 23, commi 3 e 4, del d.l. 2 marzo 1989 n. 66, convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, legge 24 aprile 1989, n. 144 (oggi sostituito dall’art. 191 del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267) sicché, in mancanza, il rapporto obbligatorio non è riferibile all’ente.

In ambito di lavoro autonomo convenzionato, Cass. 27 giugno 2019, n. 17358, ha parimenti ritenuto che «l’esigenza di prevedere la copertura economica di qualunque spesa per la P.A. contraente è presupposto per la formazione di una valida volontà negoziale dell’amministrazione. Pertanto, ove la delibera di conferimento di un incarico professionale di consulenza sia stata adottata senza la necessaria copertura finanziaria, è legittima la delibera di cessazione dell’incarico assunta dall’ente pubblico».

3.3 Tali principi valgono senza dubbio, data la generale portata delle norme, anche rispetto ad impegni destinati ad incidere su rapporti preesistenti (qui, rapporti di lavoro di pubblico impiego privatizzato) e dunque a vicende, come una progressione orizzontale, che evidentemente comportano il maturare di costi.

Nel senso che la produzione di effetti di quegli impegni, quali nel caso di specie derivanti dall’indizione di una procedura utile ad individuare il personale che potrebbe godere di tale progressione, in tanto può dispiegare effetti e tradursi in un reale obbligo della P.A.–datore di lavoro di adempiere, in quanto quella copertura di spesa vi sia.

Né vi è richiamare quella giurisprudenza che, nel contesto dell’indirizzo del tutto uniforme di cui sopra, esclude l’invalidità o l’inefficacia quando l’attività negoziale sia fonte di costi non ancora certi e definiti (Cass. 22 maggio 2019, n. 13913; Cass. 11 luglio 2017, n. 17056), non potendosi opinare in tal senso rispetto ai costi del personale e tanto meno dei costi relativi ad un aumento di trattamento di personale in forza, rispetto ai quali la copertura rispetto ai fondi destinati alla relativa sovvenzione non può non essere determinabile.

4. Al di là di eventuali imprecisioni terminologiche, la sentenza qui impugnata, nella propria motivazione, si allinea sostanzialmente a tale assetto giuridico, quando afferma che l’avvio della procedura di avanzamento economico senza «impegno di spesa» rende gli atti “inefficaci” perché sono «vincolanti per l’ente solo gli atti deliberativi supportati da attestazione di regolarità contabile».

4.1 In punto di fatto, con riferimento appunto alla richiesta «copertura finanziaria» la Corte non ne ritiene l’esistenza in quanto i prospetti allegati alla deliberazione riguardavano «soltanto le risorse economiche per il triennio 1999-2001», mentre la progressione -. aggiunge la sentenza – riguardava l’anno 2004, per quanto poi indetta nel 2008.

Con l’ulteriore precisazione che, prevedendo il CCNL 2002/2005 cit., agli artt. 31, co. 2 e 34, la determinazione annuale delle risorse, la disponibilità per quel risalente triennio non poteva valere per gli anni di interesse.

Ciò significa che la Corte di merito ha ritenuto inesistente la necessaria copertura finanziaria con le conseguenze di inefficacia della procedura indetta, in linea con la giurisprudenza di questa S.C. di portata generale in tema di obbligazioni della P.A. e degli enti locali, sulla quale già si è detto

4.2 A fronte di tale accertamento di fatto, non vi è alcuna violazione dell’art. 2697 c.c., perché, al di là di chi spetti provare l’esistenza o meno di tale copertura, la Corte ha ritenuto che essa non vi fosse, con ragionamento di merito – sopra sintetizzato – non implausibile e non fondato sull’onere della prova, ma sulla deduzione logica che, essendo stati allegati all’atto deliberativo indicazioni di copertura di spesa non riguardanti gli anni interessati, si dovesse ritenere insussistente la copertura stessa.

Ragionamento rispetto al quale non ha neppure rilievo il richiamo a previsioni della contrattazione su fondi e risorse destinate ad alimentarli, perché quello che conta è l’esistenza in concreto dei finanziamenti e della conseguente copertura di spesa per la delibera in concreto assunta, che la Corte ha ritenuto non esservi e che certamente non può essere sostituita da mere previsioni negoziali.

4.3 Quanto sopra ricostruito, anche attraverso il richiamo ai passaggi motivazionali essenziali, esclude altresì che si possa parlare di difetti motivazionali, tanto meno sotto il profilo dell’apparenza ed il motivo va dunque complessivamente disatteso.

5. In memoria, la ricorrente fa rilevare come la questione di cui sopra non fosse stata posta dal Comune nel costituirsi in primo grado e fosse dunque in sostanza tardiva.

In proposito, si deve premettere come da tali difese ed anche dalla sentenza di appello si evinca che il tema era stato in effetti comunque esposto dal Comune nel giudizio di primo grado ed era stato oggetto di appello, sicché non vi sono dubbi sul fatto che in merito ad esso fosse sceso il contraddittorio.

A parte ciò e pur tenuto conto che si tratta di questione di validità ed efficacia degli atti assunti, come tale rilevabile d‘ufficio, si deve rilevare come il ricorso per cassazione non facesse riferimento ad un vizio di eccesso di petizione, profondendosi in difese di merito.

E’ vero che, nella narrativa processuale, la ricorrente richiama le proprie difese di appello su tale tardività; poi tuttavia, nell’argomentare, essa giunge a condividere l’assunto della Corte territoriale e ad affermare– si cita dal primo motivo – che «è cioè senz’altro vero che la nullità di un atto negoziale, ove sia provata la sua adozione in violazione di norme imperative, ben può essere rilevata d’ufficio dal giudice anche in atto di appello», poi proseguendo la censura al fine di confutare gli argomenti addotti dal giudice di secondo grado per ritenere tale invalidità e\o inefficacia.

Il che è l’esatto opposto della proposizione della questione sull’eccesso di petizione o di analisi di temi al di fuori del processo, sicché quanto adotto in memoria, non potendo integrare e modificare i motivi di ricorso (Cass. 20 dicembre 2016, n. 26332, ora, anche, Cass. 30 marzo 2023, n. 894), è comunque mal posto.

6. Il secondo motivo censura la sentenza impugnata per non avere disaminato la domanda subordinata di risarcimento del danno, in ragione dei ritardi maturati dalla P.A. e della frustrazione degli affidamenti creati.

6.1 Sul punto è tuttavia fondata l’eccezione di inammissibilità sollevata dal Comune controricorrente e ciò perché la domanda, rimasta assorbita in primo grado per effetto dell’accoglimento della domanda principale, era da riproporre ai sensi dell’art. 346 c.p.c.

Il motivo neppure adduce, al proprio interno, che vi fosse stata riproposizione in appello, limitandosi ad affermare che la pretesa subordinata era stata avanzata in primo grado e dunque esso difetta di specificità.

Vale infatti l’indirizzo per cui, quando col ricorso per cassazione venga denunciato un vizio che comporti la nullità del procedimento o della sentenza impugnata, sostanziandosi nel compimento di un’attività deviante rispetto ad un modello legale rigorosamente prescritto dal legislatore il giudice di legittimità è investito del potere di esaminare direttamente gli atti ed i documenti sui quali il ricorso si fonda, purché la censura sia stata proposta dal ricorrente in conformità alle regole fissate al riguardo dal codice di rito e quindi, in particolare, in conformità alle prescrizioni dettate dagli artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, c.p.c. (Cass., S.U. 22 maggio 2012, n. 8077 e, poi, Cass. S.U., 25 luglio 2019, n. 20181).

Principio spiegato, sempre da S.U. 8077 cit., nel senso che «il riconoscere al giudice di legittimità il potere di cognizione piena e diretta del fatto processuale, nei termini sopra chiariti, non comporta certo il venir meno della necessità di rispettare le regole poste dal codice di rito per la proposizione e lo svolgimento di qualsiasi ricorso per cassazione, ivi compreso quello con cui si denuncino errores in procedendo» sicché «non solo … i vizi del processo non rilevabili d’ufficio possono esser conosciuti dalla Corte di cassazione solo se, e nei limiti in cui, la parte interessata ne abbia fatto oggetto di specifico motivo di ricorso, ma anche che la proposizione di quel motivo resta soggetta alle regole di ammissibilità e di procedibilità stabilite dal codice di rito, in nulla derogate dall’estensione ai profili di fatto del potere cognitivo della Corte», in quanto «nemmeno in quest’ipotesi viene meno, in altri termini, l’onere per la parte di rispettare il principio di autosufficienza del ricorso, da intendere come un corollario del requisito della specificità dei motivi d’impugnazione …. tradotto nelle più definite e puntuali disposizioni contenute nell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art.369 c.p.c., comma 2, n. 4».

Pertanto, nel fare riferimento, con il motivo, solo all’avvenuta proposizione in primo grado della domanda subordinata, vi è un difetto impugnatorio, perché il motivo doveva piuttosto incentrarsi, provocando ab origine apposito contraddittorio in proposito, sulla riproposizione in appello ai sensi dell’art. 346, evidentemente necessaria, ma di ciò non vi è traccia.

Né, ad integrare il motivo, come già si è detto, possono valere le successive difese sul punto svolte con la memoria difensiva (Cass. 20 dicembre 2016, n. 26332, ora, anche, Cass. 30 marzo 2023, n. 894).

7. Al rigetto dell’impugnazione segue la regolazione secondo soccombenza delle spese di giudizio.

8. Va anche espresso il seguente principio: «Anche in tema di rapporti di lavoro nel pubblico impiego privatizzato, le decisioni datoriali che incidano sul costo del personale e comportino spese a carico della Pubblica Amministrazione devono essere assunte in presenza della necessaria copertura finanziaria e di spesa, in mancanza della quale gli atti e le procedure eventualmente svolte sono prive di effetti e non consentono il sorgere di diritti delle parti, a ciò facendo eccezione soltanto i casi riportabili alla fattispecie di cui all’art. 2126 c.c. e quindi caratterizzati dallo svolgimento di fatto di prestazioni di lavoro subordinato chieste e ricevute dal datore di lavoro pubblico pur in violazione di norme di legge o di contrattazione collettiva».

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento in favore della controparte delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in euro 1.900,00 per compensi ed euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali in misura del 15 % ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto, per il ricorso a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.