Corte di Cassazione sentenza n. 16703 depositata il 24 maggio 2022
IVA – abuso di diritto – motivazione apparente – omessa pronuncia
RILEVATO CHE:
1. L’Agenzia delle entrate ricorre con dieci motivi contro la N.P. S.p.A. in liquidazione, che resiste con controricorso, avverso la sentenza n.1957/2014, pronunciata il 10/12/2013, depositata in data 11/4/2014 e non notificata, con la quale la Commissione tributaria regionale della Lombardia ha rigettato l’appello dell’ufficio, in controversia avente ad oggetto l’impugnativa dell’avviso di accertamento ai fini Irap per l’anno di imposta 2005.
2. Con la sentenza impugnata, la t.r. riteneva esaustiva e completa, nonché condivisibile, la sentenza di primo grado; in particolare, la C.t.r. affermava che le transazioni commerciali poste in essere dalla società non avevano carattere elusivo, nè integravano un comportamento abusivo, in quanto la finalità di evadere le imposte non era predominante, avendo la contribuente realizzato una notevole plusvalenza.
I giudici di appello non condividevano l’assunto dell’amministrazione finanziaria, secondo cui gli atti posti in essere configuravano un’unica cessione di immobili nei confronti di società di diritto lussemburghese, ma rilevavano che gli stessi erano autonomi ed erano intervenuti anche con soggetti terzi.
Secondo giudici di appello, era irrilevante l’eventuale trasformazione della plusvalenza da cessione immobiliare in plusvalenza da cessione di partecipazione.
Infine la C.t.r. confermava l’indeducibilità dei costi di revisione per 26.800,00 euro, per il mancato rispetto del principio di competenza ex art. 109 t.u.i.r.
3. Il ricorso è stato fissato per la camera di consiglio del 4 maggio 2022, ai sensi degli 375, ultimo comma, e 380 bis 1, cod. proc. civ., il primo come modificato ed il secondo introdotto dal d.l. 31.08.2016, n.168, conv. in legge 25 ottobre 2016, n.197.
CONSIDERATO CHE:
1. Con il primo motivo, la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art.37 ..bis P.R. 29 settembre 1973 n. 600 e dei principi generali in materia di abuso del diritto, in relazione all’ art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.
Con il secondo motivo, la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697, 2727 e 2729 cod. civ. e dei principi generali in materia di abuso del diritto, in relazione all’ art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.
Con il terzo motivo, la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 4 e 5 d.lgs. 15 dicembre 1997 n.446 e dei
principi generali in materia di abuso del diritto, in relazione all’ art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.
Con il quarto motivo, la ricorrente denuncia la nullità della sentenza impugnata per inosservanza dell’art.112 cod. proc. civ., in relazione ali’ art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.
Con il quinto motivo, la ricorrente denuncia la nullità della sentenza impugnata per inosservanza dell’art.36 d.lgs. 31 dicembre 199 21n. 546, in relazione ali’ art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.
Con il sesto motivo, la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697, 2727 e 2729 cod. civ., in relazione ali’ art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.
Con il settimo motivo, la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dei principi generali in materia di abuso del diritto, in relazione ali’ art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.
Con l’ottavo motivo, la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 115cod. proc. civ., 2697, 2727 e 2729 cod. civ. e dei principi generali in materia di abuso del diritto, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.
Con il nono motivo, la ricorrente denuncia la nullità della sentenza impugnata per inosservanza dell’art.36 d.lgs. 31 dicembre 1992 n.546 e dell’art.112 cod. proc. civ., in relazione all’ art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.
Con il decimo motivo, la ricorrente denuncia la nullità della sentenza impugnata per inosservanza dell’art.36 d.lgs. 31 dicembre 1992 n.546, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.
2. Il primo motivo è inammissibile perché non coglie la ratio decidendi della sentenza impugnata, in quanto la C.t.r. non ha ritenuto l’illegittimità dell’accertamento per la violazione delle garanzie procedurali di contraddittorio preventivo di cui all’art.37. bis citato.
3. Passando all’esame del quarto e del quinto motivo, logicamente prioritari, essi sono infondati e vanno rigettati.
Come più volte ribadito da questa Corte, ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, ma è necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto: ciò non si verifica quando la decisione adottata comporti la reiezione della pretesa fatta valere dalla parte, anche se manchi in proposito una specifica argomentazione, dovendo ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto quando la pretesa avanzata col capo di domanda non espressamente esaminato risulti incompatibile con l’impostazione logico-giuridica della pronuncia (Cass. n. 20311/2011, Cass. n. 3756/2013, Cass. n. 29191/2017).
Pertanto non sussiste l’omessa pronuncia, lamentata con il quarto motivo di ricorso, in quanto le questioni sollevate dall’Agenzia appellante in merito alla sussistenza di un’ipotesi di abuso del diritto sono state tutte rigettate dalla C.t.r.
Inoltre, con riferimento all’imposizione ai fini Iva, è stato emesso un distinto avviso di accertamento, scaturito dalla medesima verifica e basato sugli stessi presupposti fattuali, oggetto del ricorso n.8678/2015 R.G., che è stato fissato e deciso nell’odierna camera di consiglio.
Né sussiste il vizio di motivazione apparente, denunziato con il quinto motivo.
Per le Sezioni unite di questa Corte la motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da errar in procedendo, allorquando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguìto dal giudice per la formazione del proprio convincimento, cioè tali da lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass. Sez. U. 19/06/2018, n. 16159 [p. 7.2.], che menziona Cass. Sez. U. 03/11/2016, n. 22232; conf.: Cass. Sez. U. nn. 22229, 22230, 22231, del 2016. I medesimi concetti giuridici sono espressi da Cass. Sez. U. 24/03/2017, n. 766; Cass. Sez. U. 09/06/2017, n. 14430 [p. 2.4.]; Cass. Sez. U.
18/04/2018, n. 9557 [p. 3.5.]). Ancor più di recente, Cass. Sez. U. 27/12/2019, n. 34476 (che cita, in motivazione, Cass. Sez. U. 07/04/2014, n. 8053; Cass. Sez. U. 18/04/2018, n. 9558; Cass. Sez. U. 31/12/2018, n. 33679) ha avuto modo di ribadire che «nel giudizio di legittimità è denunciabile solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, in quanto attiene all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali: tale anomalia si esaurisce nella mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, nella motivazione apparente, nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili e nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di sufficienza della motivazione».
Nel caso di specie, il giudice di appello, sia pure in maniera sintetica, ha ritenuto che non fosse ravvisabile l’abuso del diritto, poiché la società aveva posto in essere un’operazione effettiva, che aveva comportato una plusvalenza ingente, dichiarata ai fini Ires; pertanto, secondo la C.t.r., non vi sarebbe stata la finalità di evadere le imposte.
4. Di conseguenza sono inammissibili il nono ed il decimo motivo, che ripropongono le doglianze relative all’omessa pronuncia ed alla carenza di motivazione, meramente apparente, su affermazioni specifiche del giudice di appello, in ordine alla possibilità del contribuente di scegliere la soluzione che gli consenta un legittimo risparmio di imposta, nonché sull’autonomia delle singole operazioni propedeutiche alla cessione della partecipazione societaria alla società lussemburghese.
Tali considerazioni della C.t.r. non sembrano costituire autonome rationes decidendi, ma piuttosto si riferiscono a singole argomentazioni a supporto dell’assunto che la fattispecie in esame non abbia realizzato un’ipotesi di abuso del diritto.
5. Ancora, per priorità logica rispetto ai restanti motivi, deve essere esaminato l’ottavo motivo, che è infondato e va rigettato.
E’stato precisato (da Cass. n. 11892 del 2016) che la violazione dell’art. 115 cod. proc. civ. può essere dedotta come vizio di legittimità solo denunciando che il giudice ha dichiarato espressamente di non dovere osservare la regola contenuta nella norma, ovvero ha giudicato sulla base di prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiasi riconosciutigli, e non anche quando (come è accaduto in questo giudizio di merito) il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, ha attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre ed è giunto a conclusioni diverse rispetto a quelle prospettate dalla ricorrente.
A queste considerazioni si aggiunga che una censura relativa alla violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. non può avere ad oggetto l’erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, come dedotto nel caso di specie dalla ricorrente, ma solo il fatto che questi abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti o disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, ovvero abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, o abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione, restando conseguentemente escluso che il vizio possa concretarsi nella censura di apprezzamenti di fatto difformi da quelli propugnati da una delle parti (Cass. n. 18665 del 2017) o, in più in generale, nella denuncia di un cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali.
6. Passando, dunque, all’esame dei rimanenti motivi (secondo, terzo, sesto e settimo), essi sono fondati e vanno accolti.
6.1 La fattispecie trae origine da una verifica fiscale eseguita dalla Direzione Regionale della Lombardia – Settore Accertamento – Uffici Controlli Fiscali – nei confronti della società N.P. p.A. relativamente all’anno d’imposta 2005. La suddetta verifica si è conclusa con la notifica alla società del processo verbale di constatazione del 9/10/2008, il cui contenuto è espressamente richiamato nell’atto impositivo oggetto della presente controversia.
Nel corso della verifica, infatti, sono emerse in capo alla società contribuente una serie di situazioni fiscalmente rilevanti ai fini Irap ed Iva per l’anno d’imposta 2005 che hanno indotto l’ufficio a contestare un’ipotesi di abuso del diritto.
In particolare, la contestazione principale riguarda l’alienazione di due immobili ubicati in Milano, effettuata attraverso la cessione delle quote detenute dalla verificata nella società C. s.r.l., intestataria degli immobili, per il prezzo di cessione di €. 80.222. 172,00. Secondo l’ufficio, se la N.P. S.p.A. avesse effettuato direttamente la cessione degli immobili, invece che attraverso la cessione della partecipazione nella società C. s.r.l., a ciò sarebbe seguito l’obbligo di assoggettare l’operazione ad Irap ed Iva.
Con l’atto impositivo, inoltre, l’ufficio ha irrogato alla N.P. la sanzione amministrativa pecuniaria relativa alle violazioni contestate.
Secondo l’Agenzia delle entrate, la N.P. (holding del Gruppo immobiliare Z.) avrebbe posto in essere tale abuso per il tramite di un’altra società denominata C., nella quale, all’epoca dei fatti contestati (2005), deteneva una partecipazione pari al 100%. La C. s.r.l., società con un capitale pari ad €. 25.500,00, era stata costituita in data 31/03/1998 e, fino a tutto il 2004, era rimasta inattiva, tanto che nell’anno 2004 non aveva personale, non deteneva immobilizzazioni (immateriali, materiali e finanziarie), aveva disponibilità liquide per €23.215,00 ed un totale attivo di €27.484,00, evidenziava un utile di esercizio di soli €.1.505,00. Tale società era stata acquistata dalla N.P. proprio nell’anno 2004, e precisamente il 26/10/2004, da altra società facente parte del Gruppo Z., denominata Citta’2000 s.r.l. ad un prezzo di cessione di €25.500,00.
La cessione della C. s.r.l. rappresenta lo strumento attraverso il quale sono state realizzate le cessioni di immobili di rilevante valore tra i gruppi immobiliari Z. e C..
Per il raggiungimento di tale finalità sono state poste in essere diverse operazioni: 1) il 15/11/2004 viene stipulata una scrittura privata tra la società N.P. S.p.A., promittente, e il Gruppo C. S.p.A., promissario acquirente, in cui le parti si impegnano alla compravendita degli immobili di via Montenapoleone e via Manzoni da attuarsi mediante l’acquisto di una società proprietaria degli stessi; 2) il 29/04/2005 la C. s.r.l. acquista l’immobile di via Manzoni 44 da una società del medesimo gruppo Z. (Urbe s.r.l.), al prezzo di
€ 32.000.000 oltre IVA al 20%; 3) in data 24/05/2005 la C., a seguito di fusione, incorpora la società L. s.r.l., proprietaria dell’immobile di via Montenapoleone 15, che aveva acquistato l’immobile de quo da società terza al prezzo di €.28.000.000,00, oltre IVA; 4) il finanziamento ricevuto dalla L. per l’acquisto del suddetto immobile è stato estinto da N.P. e da altra società controllata da N.P.; 5) in data 29/06/2005 la N.P. comunica alla C. di contabilizzare con effetto dal 30/06/2005 l’importo di euro 60.845.349,75 a titolo di versamento soci in conto capitali (tale somma corrisponde ai crediti maturati da N.P. verso C. per effetto delle suddette operazioni); 6) acquisiti gli immobili che interessavano il gruppo C., in data 30/06/05 la società C. viene ceduta, per il suo intero capitale sociale, dalla controllante N.P. (gruppo Z.) alla società lussemburghese Milano P. S.A. (appartenente al Gruppo stesso che fornisce alla società estera la provvista finanziaria per l’acquisto della partecipazione in C.) per un corrispettivo pattuito di €. 80.222.172,00.
Dall’ottobre 2005 al marzo 2006 vengono poi compiute una serie di operazioni che vedono la dismissione dell’intero patrimonio immobiliare della C. e la mancata dichiarazione dei rispettivi redditi conseguiti, unitamente all’omesso versamento delle imposte conseguenti; fortemente indebitata verso l’Erario, la società C. viene poi posta in liquidazione in data 26/05/06 per essere interamente ceduta, con tutti i suoi debiti fiscali, in data 22/12/2006 alla San MRE s.r.l.
Dall’accertamento condotto sulle attività sopra descritte, l’ufficio ritiene che sia emerso che la N.P., per il tramite della C., abbia posto in essere un complesso di operazioni, preordinate e strumentali all’ottenimento di un indebito risparmio di imposta.
In particolare, ai fini Iva, il vantaggio perseguito dalla N.P. consisterebbe nella sottrazione all’imposizione ai fini Iva della cessione di immobili alla società lussemburghese Milano P. S.A. mediante trasformazione della stessa in una cessione di partecipazione, esente ex art. 10, punto 4, del d.P.R. n.633/1972; ai fini Irap, il vantaggio consisterebbe nella sottrazione dalla base imponibile Irap della plusvalenza da cessione immobiliare di €. 19.350.010,63 mediante la trasformazione della stessa in una plusvalenza da cessione di partecipazione.
6.2 Svolte queste premesse in fatto, sul piano dei princìpi di diritto questa Corte ha già avuto modo di rilevare che < < in materia tributaria, integra operazione elusiva, ai sensi dell’art. 10 della legge 29 dicembre 1990, n. 408, l’acquisto di terreni edificabili, da parte di una società immobiliare, realizzato tramite una cessione in suo favore, esente da V.A. ma priva di reali giustificazioni economiche, di quote di società a tale scopo costituita dall’alienante, dovendosi escludere che il contribuente possa conseguire indebiti vantaggi fiscali mediante l’uso distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un’agevolazione o un risparmio d’imposta, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili dell’operazione diverse dalla mera aspettativa di quei benefici>> (Cass. sent. n. 653 del 15/01/2014).
Più di recente, questa Corte ha affermato che sono prive di carattere elusivo e non integrano l’abuso del diritto le operazioni straordinarie sul capitale della società giustificate da valide ragioni extrafiscali, non marginali, anche d’ordine organizzativo o gestionale, che rispondono a finalità di miglioramento strutturale o funzionale dell’impresa (cfr. Cass. ord. n. 35398 del 19/11/2021).
Si è anche detto che l’abuso del diritto, enucleabile < <in materia tributaria, ricorre in base ai principi di capacità contributiva e di progressività ex art. 53 Cost, ogni qual volta si sia in presenza di una o più costruzioni di puro artificio che, pur se non contrastanti con alcuna specifica disposizione, sono realizzate al fine di eludere l’imposizione e siano prive di sostanza commerciale ed economica; di talchè, per configurare la condotta abusiva è necessaria un’attenta valutazione delle “ragioni economiche” delle operazioni negoziali che sono poste in essere, in quanto, se le stesse sono giustificabili in termini oggettivi, in base alla pratica comune degli affari, minore o del tutto assente è il rischio della pratica abusiva; se, invece, tali operazioni, pur se effettivamente realizzate, riflettono, attraverso artifici negoziali, assetti di “anormalità” economica, può verificarsi una ripresa fiscale là dove è possibile individuare una strada fiscalmente più onerosa>> (Cass. sent. n. 27158 del 6/10/2021).
Infine, con particolare riguardo alla fattispecie concreta, questa Corte ha ulteriormente enunciato il principio di diritto secondo cui «In tema di elusione fiscale, sono prive di carattere elusivo e non integrano l’abuso del diritto le operazioni straordinarie sul capitale delle società giustificate da valide ragioni extrafiscali, non marginali, anche di ordine organizzativo o gestionale, che rispondono a finalità di miglioramento strutturale o funzionale dell’impresa o di un ramo d’azienda e che quindi non perseguono l’esclusivo fine di trasformare le eventuali plusvalenze realizzabili sui beni di primo grado (immobili) in capitai gain sui beni di secondo grado ( quote di partecipazione), in aggiramento delle norme che regolano la tassazione ordinaria delle plusvalenze conseguite nell’ambito del reddito d’impresa.» (Cass. Ord. N.11890 del 5/4/2022, depositata il 12/4/2022).
La sentenza impugnata non si attiene a tale principio, in quanto omette di esaminare l’intero quadro indiziario a base dell’accertamento, in violazione tanto delle norme sull’onere probatorio e la prova presuntiva, quanto del principio generale del divieto dell’abuso del diritto.
Invero, con riguardo alle imposte dirette, hanno precisato le Sezioni Unite di questa Corte che non può non ritenersi insito nell’ordinamento, come diretta derivazione delle norme costituzionali, il principio secondo cui il contribuente non può trarre indebiti vantaggi fiscali dall’utilizzo distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un risparmio fiscale, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l’operazione, diverse dalla mera aspettativa di quel risparmio fiscale (Cass., Sez.Un., 23 dicembre 2008, n. 30057; vedi, in particolare, in tema di cessione di quote e fusione per incorporazione, Cass. 30 novembre 2012, n. 21390).
Nella specie, la C.t.r. avrebbe dovuto valutare se le operazioni su quote societarie (con connesse operazioni di compravendita immobiliare, fusioni per incorporazione, operazioni di cessione di crediti e accolli di debiti, riqualificazioni di crediti in versamento soci in conto capitale), nella loro concatenazione, finalizzata alla cessione degli immobili, come peraltro ammesso dalle stesse parti, fossero prive di reali ed autonome ragioni economiche giustificatrici, diverse dalla mera aspettativa di un indebito risparmio fiscale.
La sentenza impugnata, invece, non coglie che il profilo rilevante della fattispecie non attiene affatto alla liceità della compravendita di quote societarie, bensì all’elusione dell’imposta che da tale compravendita ne sarebbe derivata.
Nel caso di specie, la C.t.r. non ha valutato, con ciò incorrendo nelle denunziate violazioni di legge, se le operazioni relative alla cessione di partecipazioni societarie fossero rispondenti ad un effettivo scopo pratico o finalizzate solamente ad eludere l’Irap che sarebbe stata dovuta sulla cessione immobiliare.
Pertanto, in accoglimento del secondo, terzo, sesto e settimo motivo, la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla C.t.r. della Lombardia, in diversa composizione, che liquiderà anche le spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo, terzo, sesto e settimo motivo di ricorso, rigettati gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione ai
motivi accolti e rinvia alla C.t.r. della Lombardia, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.
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