CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 31 dicembre 2019, n. 34750

Tributi – Reddito d’impresa – Conferimento d’azienda – Ammortamento cespiti – Deducibilità – In capo al conferitario per l’intero periodo d’imposta

Fatti di causa

1. La fattispecie trae origine dal P.V.C. del 31/7/2007 dell’Agenzia delle Entrate, Direzione provinciale di Milano (ora Direzione provinciale 1 di Milano), con cui, per quanto ancora di interesse, si contestavano i seguenti rilievi: 1) indeducibilità degli ammortamenti, pari ad euro 4.039.320,06, stanziati dalla S.I. S.p.A. (di seguito S.I.) nell’anno di imposta 2004 sui cespiti di un’azienda, conferita nel corso dell’anno ad altra società, nel periodo intercorrente tra l’inizio dell’anno e la data del conferimento (1 ottobre 2004), ai sensi dell’art. 176, comma 4, T.U.I.R.; comunque, indeducibilità, ai sensi dell’art. 109, comma 4, lett. b), T.u.i.r., dell’ammortamento anticipato pari ad euro 153.480,37; ineducibilità dell’ammortamento di euro 558.242.00 relativo al marchio A. e frutto di un’operazione elusiva ai sensi dell’art. 37 bis d.P.R. n. 600/73; 2) indeducibilità degli interessi passivi ai sensi dell’art. 110, comma 7, T.u.i.r..

In data 3/12/2008 l’Agenzia delle Entrate notificava l’avviso di accertamento, ai fini Irap, Iva e Ires per l’anno di imposta 2004, con cui riprendeva le motivazioni già espresse nel P.V.C., pur dando atto della presa visione delle giustificazioni fornite con il questionario dalla società contribuente in merito alla contestata operazione elusiva.

2. In data 20 gennaio 2009 la società presentava istanza di accertamento con adesione, che aveva esito negativo, e successivamente ricorso alla C.T.P. di Milano, che veniva parzialmente rigettato con la sentenza n. 113 del 20/3/2010.

3. La C.T.R. della Lombardia, investita dell’appello della società contribuente, con la sentenza impugnata, ha ritenuto: l’indeducibilità delle quote di ammortamento e l’applicabilità alla fattispecie in esame della disciplina di cui all’art. 176, comma 4, T.u.i.r., da interpretarsi nel senso che il conferitario assume il costo storico originario dei cespiti dell’azienda acquisita ed anche il relativo fondo di ammortamento, risultante dal bilancio anteriore al conferimento, con conseguente deducibilità degli ammortamenti dell’intero periodo di imposta da parte del conferitario di azienda e non del conferente; comunque l’indeducibilità degli ammortamenti anticipati, che non erano stati indicati nell’apposito quadro della dichiarazione dei redditi, nonostante il chiaro disposto in tal senso dell’art. 109, comma 4, T.u.i.r.; l’indeducibilità degli ammortamenti relativi al marchio A., perchè ricollegati ad operazioni elusive, come ampiamente descritto nell’avviso di accertamento, la cui motivazione era condivisibile a fronte dell’inconsistenza delle giustificazioni fornite dalla società contribuente.

4. Avverso la sentenza del giudice di appello, la società ricorre con nove motivi, cui resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate, che, a sua volta, spiega ricorso incidentale.

5. Il ricorso è stato fissato per la pubblica udienza del 6/11/2019.

6. La società ricorrente ha depositato memoria.

Ragioni della decisione

1.1. Con il primo motivo, parte ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 176, commi 1 e 4 T.u.i.r., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., giacché la C.T.R. avrebbe dovuto ritenere legittima la deduzione, da parte del conferente, delle quote di ammortamento dei cespiti, compresi nel complesso aziendale oggetto di conferimento in corso d’anno, dall’inizio dell’anno di imposta fino al momento del conferimento, con conseguente ammortamento delle ulteriori quote da parte del conferitario.

1.2. Il motivo è infondato e va rigettato.

1.3. Invero, il giudice di appello ha ritenuto che, in base all’art. 176, commi 1 e 4, t.u.i.r. vigente ratione temporis, solo il conferitario, subentrando al conferente nelle attività e passività del ramo di azienda conferita, potesse dedurre le quote di ammortamento dell’intero periodo di imposta.

La norma in oggetto prevedeva: “1. I conferimenti di aziende effettuati tra soggetti residenti nel territorio dello Stato nell’esercizio di imprese commerciali, non costituiscono realizzo di plusvalenze o minusvalenze a condizione che il soggetto conferitario rientri fra quelli di cui all’articolo 73, comma 1, lettere a) e b). Tuttavia il soggetto conferente deve assumere, quale valore delle partecipazioni ricevute, l’ultimo valore fiscalmente riconosciuto dell’azienda conferita e il soggetto conferitario subentra nella posizione di quello conferente in ordine agli elementi dell’attivo e del passivo dell’azienda stessa, facendo risultare da apposito prospetto di riconciliazione della dichiarazione dei redditi i dati esposti in bilancio e i valori fiscalmente riconosciuti”.

A mente del successivo quarto comma: “4. Le aziende acquisite in dipendenza di conferimenti effettuati con il regime di cui al presente articolo si considerano possedute dal soggetto conferitario anche per il periodo di possesso del soggetto conferente. Le partecipazioni ricevute dai soggetti che hanno effettuato i conferimenti di cui al periodo precedente o le operazioni di cui all’articolo 178, in regime di neutralità fiscale, si considerano iscritte come immobilizzazioni finanziarie nei bilanci in cui risultavano iscritti i beni dell’azienda conferita o in cui risultavano iscritte, come immobilizzazioni, le partecipazioni date in cambio”.

La disciplina legislativa, quindi, stabilisce la neutralità fiscale dei conferimenti di azienda e la continuità dei valori fiscalmente riconosciuti, sicché la società conferitaria subentra nella medesima posizione della conferente in ordine alle attività e passività formanti il compendio aziendale conferito.

Ai sensi del comma 1 dell’art. 176 citato, il soggetto conferente deve assumere, quale valore delle partecipazioni ricevute, l’ultimo valore fiscalmente riconosciuto dell’azienda conferita ed il conferitario subentra nella posizione del conferente in ordine agli elementi dell’attivo e del passivo dell’azienda stessa, facendo risultare da apposito prospetto di riconciliazione della dichiarazione dei redditi i dati esposti in bilancio e quelli fiscalmente riconosciuti.

Ciò significa che, come ritenuto dal giudice di appello, il conferitario assumerà il costo storico delle immobilizzazioni ed il relativo fondo di ammortamento, quale risulta dal bilancio dell’esercizio anteriore al conferimento.

Di conseguenza, il conferitario deve effettuare gli ammortamenti per l’intero periodo, secondo il piano del conferente, mentre il conferente non può effettuare gli ammortamenti per il periodo di esercizio anteriore al conferimento, nè può dedurli, attesa la portata derogatoria dell’art. 176, I e IV comma, norma inserita nella disciplina fiscale delle operazioni straordinarie, che tende a garantire la neutralità fiscale e la continuità dei valori fiscali nel caso di conferimento di azienda.

2.1. Con il secondo motivo, parte ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 109, comma 4, lett. b) T.u.i.r., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., perché la C.T.R. avrebbe dovuto riconoscere la legittimità della deduzione dell’ammortamento anticipato, pari ad euro 153.480,00, in capo a S.I. S.p.A., anche in assenza di indicazione nell’apposito quadro EC della dichiarazione dei redditi, omissione dovuta al fatto che i beni relativi all’ammortamento non erano più parte del patrimonio della società dichiarante al termine del periodo di imposta.

2.2. Il motivo è infondato.

2.3. Invero, il Legislatore, nel 2004, ha introdotto, nell’articolo 109, comma 4, lettera b), una disposizione legislativa, secondo la quale veniva posto a carico del contribuente l’onere di gestire in via extracontabile i componenti negativi di redditi ammessi in deduzione dalla normativa fiscale: le maggiori deduzioni ammesse fiscalmente, che non formavano oggetto di rilevazioni contabili, dovevano essere indicate in un apposito prospetto facente parte della dichiarazione dei redditi, vale a dire il Quadro EC. Alla compilazione di tale quadro, si accompagnava anche la gestione delle imposte anticipate, così come il vincolo sulle poste del patrimonio netto.

In particolare, l’art. 109, comma 4, lett. b), vigente ratione temporis, prevedeva: “4. Le spese e gli altri componenti negativi non sono ammessi in deduzione se e nella misura in cui non risultano imputati al conto economico relativo all’esercizio di competenza. Sono tuttavia deducibili: a)…; b) quelli che pur non essendo imputabili al conto economico, sono deducibili per disposizione di legge. Gli ammortamenti dei beni materiali ed immateriali, le altre rettifiche di valore e gli accantonamenti sono deducibili se in apposito prospetto della dichiarazione dei redditi è indicato il loro importo complessivo, i valori civili e fiscali dei beni e quelli dei fondi”.

Come è stato detto, in tema di beni materiali, “la deduzione degli ammortamenti anticipati (di beni materiali) nel conto economico è ammissibile, ai sensi dell’art. 109, comma 4, lett. b), del d.P.R. n. 917 del 1986 (nella formulazione, applicabile “ratione temporis”, modificata dall’art. 1 del d.lgs. n. 344 del 2003), purché venga compilato l’apposito prospetto (Quadro EC) della dichiarazione dei redditi della società, contenente informazioni relative ai componenti negativi non transitati nel conto economico, venendo meno, in mancanza di detta registrazione, la neutralità degli stessi sul piano civilistico, contabile e fiscale” (Sez. 5, Sentenza n. 26398 del 19/10/2018).

Tale adempimento non riveste carattere meramente formale, poiché la disciplina dettata dall’art. 109, comma 4, lett. b) TUIR, come modificato dall’art. 1, d.lgs. 12 dicembre 2003, n. 344, applicabile all’anno d’imposta 2004, ammetteva che alcuni componenti negativi di natura tributaria potessero essere dedotti dalla base imponibile in via extracontabile, senza necessità di transitare nel conto economico, esclusivamente sulla base della loro segnalazione nel prospetto allegato alla dichiarazione dei redditi.

Da ciò consegue che la mancata indicazione nella dichiarazione preclude la possibilità, in base al chiaro disposto legislativo, di dedurre l’ammortamento anticipato.

La decisione della C.T.R. sul punto è, quindi, conforme ai principi citati e non realizza la dedotta violazione di legge.

3.1. Con il terzo motivo, parte ricorrente denuncia, con riferimento all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c. ed all’art. 112 c.p.c., l’omessa pronuncia del giudice di secondo grado circa l’inosservanza da parte dell’Ufficio impostore dell’obbligo di motivare specificamente, in relazione alle giustificazioni fornite dalla società, per le contestazioni relative alla condotta elusiva ai sensi dell’art. 37 bis, comma 5, d.P.R. n. 600/73.

3.2. Il motivo è infondato, in quanto la sentenza impugnata contiene una sintetica ed espressa motivazione sul punto, con la quale il giudice.di appello ha affermato che la motivazione della ripresa a tassazione assolve anche al compito di contrastare le giustificazioni fornite dalla società, mentre lo stesso motivo di appello (sul quale la C.T.R. non si sarebbe pronunciata secondo l’assunto difensivo), per come riportato per stralcio in ricorso, appare oltremodo generico (copiose documentazioni delle quali non vi sarebbe traccia nella motivazione dell’avviso di accertamento) e, quindi, inammissibile.

4.1. Il quarto motivo, con cui la ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione dell’art. 37 bis, comma 5, d.P.R. n. 600/73, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., è inammissibile.

4.2. Invero, la ricorrente, nell’impugnare la statuizione del giudice di seconde cure, secondo cui le motivazioni dell’atto di accertamento tengono conto, disattendendole, delle giustificazioni fornite dalla società come risposta al questionario, non riporta le argomentazioni della società contribuente sulle quali l’Amministrazione avrebbe omesso di motivare, nè il contenuto motivazionale dell’avviso di accertamento, non consentendo alla Corte il controllo richiesto.

5.1. Con il quinto motivo, la ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione dell’art. 37 bis, comma 1, d.P.R. n. 600/73 e del principio sull’abuso del diritto, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c..

Deduce la ricorrente che la C.T.R. avrebbe erroneamente ritenuto sussistenti gli elementi costitutivi dell’elusione, rappresentati dal vantaggio fiscale, dalla sua connotazione asistematica e dall’assenza di valide ragioni economiche a base delle operazioni societarie.

5.2. Il motivo è infondato.

5.3. Ai sensi dell’art. 37-bis, comma 1, D.P.R. n. 600 del 1973, «sono inopponibili all’amministrazione finanziaria gli atti, i fatti e i negozi, anche collegati tra loro, privi di valide ragioni economiche, diretti ad aggirare obblighi o divieti previsti dall’ordinamento tributario e ad ottenere riduzioni di imposte o rimborsi, altrimenti indebiti», ameno che l’operazione si dimostri – con onere a carico del contribuente – giustificata da «valide ragioni economiche», sia pure in via concorrente al perseguito risparmio fiscale.

Occorre però che tali ragioni economiche siano «valide», ossia di carattere «non meramente marginale o teorico», perché in tal caso risulterebbero «inidonee a fornire una spiegazione alternativa dell’operazione rispetto al mero risparmio fiscale, e tali quindi da potersi considerare manifestamente inattendibili o assolutamente irrilevanti rispetto alla predetta finalità» (cfr. Cass. n. 10257/2008; 21221/2006).

In tal senso possono dunque definirsi elusive le operazioni compiute «essenzialmente» (anche se non esclusivamente) per il conseguimento di un vantaggio fiscale, con ciò intendendosi rimarcare che, al fine di negare il carattere elusivo dell’operazione, non può attribuirsi rilievo alla compresenza purchessia di ragioni extrafiscali indipendentemente dalla loro effettiva rilevanza.

Anche le pronunce più recenti di questa Corte hanno ribadito che “In materia tributaria, il divieto di abuso del diritto si traduce in un principio generale antielusivo, che preclude al contribuente il conseguimento di vantaggi fiscali ottenuti mediante l’uso distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione normativa, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un risparmio d’imposta, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l’operazione, la cui ricorrenza deve essere provata dal contribuente. (Nella specie, la S.C., in applicazione del principio, ha annullato la decisione impugnata che aveva ritenuto non elusiva una complessa operazione societaria avente quale unico risultato un indebito vantaggio di imposta, consistente nella sostituzione del regime IRPEF di tassazione delle persone fisiche con quello IRPEG, con conseguente deduzione di maggiori costi)” (Sez. 5, Ordinanza n. 30404 del 23/11/2018; vedi anche n. 24294/2019; tra le più risalenti, ex multis, n. 438/2015; n. 439/2015; n. 5155/2016).

Inoltre, l’interpretazione adottata appare in linea con gli esiti dei lavori della Commissione Gallo per la scrittura del nuovo art. 10-bis dello Statuto del contribuente, introdotto dall’art. 1 del d.lgs. attuativo n. 128 del 5 agosto 2015 (conf. Relazione illustrativa) e recante al disciplina dell’abuso del diritto e dell’elusione fiscale, con riferimento alla raccomandazione 2012/772/UE sulla pianificazione fiscale aggressiva.

In estrema sintesi due sono gli indici di mancanza di sostanza economica: la non coerenza della qualificazione delle singole operazioni con il fondamento giuridico del loro insieme e la non conformità degli strumenti giuridici a normali logiche di mercato, mentre per vantaggi fiscali indebiti si considerano i benefici realizzati in contrasto con le finalità delle norme fiscali o con i principi dell’ordinamento tributario.

Precisa la raccomandazione che “una costruzione o una serie di costruzioni è artificiosa se manca di sostanza commerciale” (4.4), o più esattamente di “sostanza economica” (4.2), e “consiste nell’eludere l’imposizione quando, a prescindere da eventuali intenzioni personali, contrasta con l’obiettivo, lo spirito e la finalità delle disposizioni fiscali”.

Peraltro la stessa raccomandazione UE (4.4 lett d), precisa che “Per determinare se la costruzione o la serie di costruzioni è artificiosa, le autorità nazionali sono invitate a valutare … se … le operazioni concluse sono di natura circolare” (pertanto è evidente che persino nel nuovo assetto normativo restano abusive le costruzioni artificiose e circolari – conf. CGUE, 10/11/2011, in causa C-126/10, punto 34).

Nel caso di specie non vi sono elementi per ritenere che i Giudici di appello si siano mossi in una prospettiva diversa da quella tracciata dalle esposte direttrici.

Deve ritenersi, infatti, provato il carattere anomalo e “circolare” dell’operazione, atteso che, come riconosciuto dalla stessa ricorrente, vi sarebbe stato, da parte dei vertici del gruppo, un repentino mutamento dello schema operativo, motivato da diverse strategie imprenditoriali, che avrebbe portato, pochi mesi dopo la fusione per incorporazione di D. S.p.A. in S.I. S.p.A., al conferimento del ramo di azienda ad una società veicolo, costituita lo stesso giorno della fusione, con un capitale sociale irrisorio, successivamente denominata D. s.r.l., con l’evidente risultato che l’assetto sociale del gruppo, prima e dopo le complesse operazioni poste in essere, sostanzialmente fosse coincidente, con la sola differenza che alla D. S.p.A. si sostituiva la D. s.r.l.

La concatenazione negoziale (la fusione per incorporazione di D. S.p.A., già interamente detenuta da S.I., in S.I. S.p.A., la costituzione nello stesso giorno di W.E. s.r.l., poi denominata D. s.r.l., il conferimento a quest’ultima del ramo di azienda facente originariamente capo a D. S.p.A), secondo quanto rilevato dai giudici di appello, non trova ragionevole giustificazione in reali ragioni economiche, la cui esistenza, eventualmente, doveva essere provata dalla società contribuente.

Le operazioni suddette, invece, hanno sicuramente comportato evidenti vantaggi fiscali, altrimenti non conseguibili con la semplice trasformazione della D. S.p.A. in D. s.r.l., consistenti nella rivalutazione del marchio A. a costo zero, attraverso il disavanzo di fusione, pari ad euro 7.443.226,00, affrancato gratuitamente (ex art. 6, comma 2, d.lgs. n. 358/97, che si riferisce alle operazioni di fusione deliberate prima del 30 aprile 2004) e con un corrispondente ammortamento per euro 558.242,00, interamente dedotto.

Pertanto, la sentenza impugnata, nel ritenere la sussistenza dei requisiti di cui all’art. 37 bis, comma 1, d.P.R. n. 600/73, non è incorsa nella dedotta violazione di legge.

6.1. Con il sesto motivo, la ricorrente denunzia l’omessa pronuncia, in relazione agli artt. 112 e 360, comma 1, n.4, c.p.c., circa l’illegittimità dell’avviso di accertamento, laddove irroga sanzioni amministrative per la violazione dell’art. 176, comma 4, T.u.i.r.

La ricorrente, inoltre, deduce la violazione dell’art. 10, comma 2, Statuto del contribuente, sul principio di affidamento.

6.2. Il motivo, per come formulato, risulta inammissibile, in quanto il giudice di appello, avendo ritenuto che la società contribuente fosse incorsa nella violazione dell’art. 176, comma 4, T.u.i.r., di conseguenza ha implicitamente confermato anche l’aspetto sanzionatorio ad essa ricollegabile, senza incorrere in omissione di pronuncia.

7.1. Con il settimo motivo, la ricorrente denunzia l’omessa pronuncia, in relazione agli artt. 112 e 360, comma 1, n.4, c.p.c., circa l’illegittimità dell’avviso di accertamento, laddove irroga sanzioni amministrative per la violazione dell’art. 37 bis d.P.R. n. 600/73, in corrispondenza di fattispecie elusiva o di abuso del diritto.

7.2. Anche tale motivo è inammissibile perchè, all’evidenza, il giudice di appello ha ritenuto legittime le sanzioni irrogate in relazione alla condotta elusiva, della quale ha ravvisato la ricorrenza dei presupposti.

Inoltre, non sussiste alcuna incompatibilità logica tra la condotta prevista dall’art. 37 bis d.p.r. n. 600/73 e l’applicazione di sanzioni, perchè, come si è detto, “in materia tributaria, il divieto di abuso del diritto si traduce in un principio generale antielusivo, che trova fondamento nell’art. 37 bis del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, secondo il quale l’Amministrazione finanziaria disconosce e dichiara non opponibili le operazioni e gli atti, privi di valide ragioni economiche, diretti solo a conseguire vantaggi fiscali, in relazione ai quali gli organi accertatori emettono avviso di accertamento, applicano ed iscrivono a ruolo le sanzioni di cui all’art. 1, comma 2, del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, comminate dalla legge per il solo fatto di avere il contribuente indicato in dichiarazione un reddito imponibile inferiore a quello accertato, rendendo così evidente come il legislatore non ritenga gli atti elusivi quale criterio scriminante per l’applicazione delle sanzioni, che, al contrario, sono irrogate quale naturale conseguenza dell’esito dell’accertamento volto a contrastare il fenomeno l’abuso del diritto” (Sez. 5, Sentenza n. 25537 del 30/11/2011).

8.1. Con l’ottavo ed il nono motivo, la ricorrente denunzia l’omessa pronuncia del giudice di secondo grado circa la dedotta illegittimità, per violazione dell’art. 110, comma 7, d.P.R. n. 917/86 della ripresa a tassazione di interessi passivi per euro 606.119,41, non interamente deducibili o, in subordine, indeducibili nel limitato importo di euro 99.699,41 (avendo la società operato, in sede di dichiarazione dei redditi una rettifica degli interessi deducibili, ai sensi dell’art. 97 T.u.i.r.).

Sull’indeducibilità degli interessi passivi, anche l’Agenzia delle Entrate ha spiegato ricorso incidentale, denunziando l’omessa pronuncia del giudice di secondo grado in ordine all’appello incidentale, relativo alla indebita deduzione degli stessi in violazione dell’art. 98 T.u.i.r., avendo l’Ufficio dimostrato, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice di prime cure, che il rapporto tra la consistenza media dei finanziamenti del socio qualificato e la quota del patrimonio netto di sua pertinenza superava in concreto il rapporto previsto dalla disposizione evocata.

8.2. Tutti tali motivi risultano fondati (risultando logicamente prioritario l’esame del ricorso incidentale dell’Amministrazione finanziaria) e vanno accolti, non rinvenendosi nella decisione impugnata alcuna statuizione in ordine all’appello incidentale dell’amministrazione ed ai motivi di appello della società ricorrente relativi all’entità degli interessi deducibili ed alla loro stessa deducibilità.

La sentenza impugnata, quindi, va cassata in relazione [al primo] all’ottavo ed al nono motivo del ricorso principale, nonché all’unico motivo di ricorso incidentale, con rinvio alla C.T.R. della Lombardia in diversa composizione, che provvederà anche alla regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie l’ottavo ed il nono motivo del ricorso principale e l’unico motivo di ricorso incidentale, rigettati gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla C.T.R. della Lombardia, in diversa composizione, che provvederà anche alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.