CORTE di CASSAZIONE – Sentenza n. 17640 depositata il 20 giugno 2023
Lavoro – MISE – Contratto di lavoro a progetto – Organizzazione di Seminari – Regolarità formale del contratto – Progetto determinato – Fissazione di un obiettivo – Mancata ammissione dei mezzi istruttori – Natura subordinata del rapporto di lavoro – Accoglimento
Fatti di causa
1. Con sentenza n. 1326 del 2018, la Corte d’appello di Roma confermava la decisione n. 12515 del 2013, con la quale il locale Tribunale aveva rigettato la domanda proposta da N.P., dipendente dell’A.I.S.C.L.L. – le cui funzioni venivano assunte dal MISE, in virtù della soppressione avvenuta con D.L. n. 95/2012, poi convertito in L. n. 135/2012 – tesa ad ottenere: i) l’accertamento dell’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato presso l’Associazione nel periodo di tempo intercorso tra il 2.03.2009 e 30.03.2011; ii) l’inquadramento nel I livello impiegatizio del CCNL commercio; iii) la condanna della parte convenuta al pagamento delle differenze retributive; iv) la reintegrazione nel posto di lavoro, stante l’illegittimità dell’intimato licenziamento.
2. Evidenziava la Corte territoriale da un lato la mancanza di allegazione circa l’esistenza del presunto vincolo di subordinazione invocato dal ricorrente e, dall’altro, riteneva sussistente la specificità del progetto dedotto nel contratto tra le odierne parti in causa, in conformità agli artt. 61 ss. del d.lgs. n. 276/2003.
Premetteva che, ai fini dell’accertamento della natura dipendente del rapporto di lavoro, è necessaria la prova circa l’esistenza di un vincolo di soggezione personale del lavoratore a specifici poteri di autorità privata e, tale onere della prova, in virtù dei principi regolatori della materia, ricade in capo al lavoratore.
Alla luce di queste premesse, la Corte, come del resto anche il giudice di prime cure, reputava insufficienti, o comunque non decisive, le allegazioni della lavoratrice al fine dell’integrazione dell’elemento dell’eterodirezione, di natura personale, richiesta dagli artt. 2094 ss. cod. civ.
Con la seconda argomentazione, invece, il giudice di secondo grado rilevava l’adeguata specificità del progetto posto a fondamento del contratto siglato tra la P. e l’Associazione, in virtù del combinato disposto degli artt. 61 ss. del d.lgs. n. 276/2003 e 1, comma 24, della L. n. 92/2012. Richiamava la giurisprudenza maggioritaria (e così Cass. 16 ottobre 2017, n. 24379) secondo cui la nozione di “specifico progetto”, di cui all’art. 61 d.lgs. n. 276 del 2003, quale deriva dalla esegesi normativa, deve ritenersi consistere – tenuto conto delle precisazioni introdotte nell’art. 61 cit. dalla L. n. 92 del 2012 – in un’attività produttiva chiaramente descritta ed identificata e funzionalmente ricollegata ad un determinato risultato finale, cui partecipa con la sua prestazione il collaboratore; la norma in esame non richiede che il progetto specifico debba inerire ad una attività eccezionale, originale o del tutto diversa rispetto alla ordinaria e complessiva attività di impresa, non essendo desumibile tale nozione restrittiva né dall’art. 61 cit. nell’originaria formulazione, né dalla complessiva regolamentazione della fattispecie dettata dal d.lgs. n. 276 del 2003 e successive modifiche.
In particolare, secondo la Corte di merito, il contratto, integrato nel quadro di una più ampia convenzione tra il MISE e l’Associazione datrice di lavoro, poneva a carico della lavoratrice l’obbligo di realizzare dei seminari universitari, già individuati dalla convenzione medesima, provvedendo alla loro programmazione ed esecuzione, di tal che l’attività svolta per tale realizzazione si ricollegava all’oggetto del contratto.
3. Avverso tale sentenza N.P. ha proposto ricorso per cassazione, affidandolo a quattro motivi.
4. Il MISE ha resistito con controricorso.
5. L’Associazione L. è rimasta contumace.
6. Il PG ha depositato requisitoria scritta concludendo per l’accoglimento del ricorso.
7. La ricorrente ha presentato istanza di discussione orale.
8. Il MISE ha depositato memoria.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo, la lavoratrice lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 69 del d.lgs. n. 276/2003, con riferimento all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ.
In particolare, assume che la Corte territoriale ha errato nell’aver considerato valido il contratto di collaborazione a progetto sottoscritto da essa ricorrente con l’A.L.. Invero, tale contratto risulta viziato, tanto dal punto di vista formale, stante la mancanza dell’adeguata specificità richiesta dagli artt. 61 ss. del d.lgs. n. 276/2003 e successive modificazioni, quanto dal punto di vista sostanziale, avendo la lavoratrice svolto attività di natura subordinata non previste dal contratto medesimo.
Innanzitutto, dal punto di vista formale, nel contratto di lavoro a progetto per cui è causa, non era individuato alcun “progetto specifico”, ma si faceva generico riferimento all’oggetto sociale dell’A.L. e alla mera organizzazione di seminari che, di fatto, costituivano l’attività principale dell’Associazione. Dunque, seguendo la ricostruzione operata dalla ricorrente, l’attività individuata nel “progetto” tendeva a confondersi con l’attività principale dell’ente, concretizzandosi nelle singole incombenze di volta in volta indicate dai suoi superiori gerarchici, senza riuscire ad individuare un risultato finale cui la collaborazione avrebbe dovuto tendere, neanche a seguito di una verifica ex-post.
Inoltre, dal punto di vista sostanziale e a conferma di quanto detto sopra, nonostante il progetto indicato in contratto fosse individuato nella “Organizzazione dei Seminari”, la ricorrente aveva svolto le incombenze più varie: dalla gestione della Biblioteca a quella del sito web e ad ogni altra questione amministrativa richiesta, dimostrando così il carattere fittizio e generico del progetto.
Assume l’applicabilità al caso in esame dell’art. 69, comma 1, d.lgs. n. 276/2003, il che porta con sé due precipitati logici: da un lato, la presunzione di subordinazione – così intesa dalla maggioritaria giurisprudenza di merito anche alla luce della legge di interpretazione autentica sul punto intervenuta, ex art. 1, comma 24, L. n. 92/2012 – e, dall’altro, la costituzione di un rapporto di lavoro di natura subordinata a partire dal marzo 2009 (e, di conseguenza, il diritto della lavoratrice ad essere inquadrata presso il MISE a seguito della soppressione dell’Associazione).
2. Con il secondo motivo, la ricorrente denuncia l’omesso esame circa i fatti decisivi tempestivamente dedotti dalla Sig.ra P. nel corso del giudizio di primo grado, con riferimento alle numerose attività svolte da questi del tutto estranee e non previste dal contratto a progetto sottoscritto, in relazione all’art. 360, n. 5, cod. proc. civ.
Rileva che, la Corte territoriale ha omesso di accertare, da un punto di vista sostanziale, tutte le attività che la lavoratrice ha concretamente svolto, le quali, se da un lato costituiscono la prova della genericità del progetto sopra richiamata, dall’altro integrano violazione diretta dell’art. 69, comma 1, d.lgs. n. 276/2003, con conseguente trasformazione, con efficacia retroattiva, del rapporto a progetto in ordinario rapporto di lavoro subordinato. Tale norma, infatti, stabilendo che il progetto deve essere specifico, implicitamente impone che, nel corso del rapporto, il lavoratore sia effettivamente utilizzato per la realizzazione di quello specifico progetto e non per altre attività.
3. Con il terzo rilievo, invoca la violazione e falsa applicazione dell’art. 2094 cod. civ., e degli artt. 414 e 416 cod. proc. civ., con riferimento all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., per non aver considerato, il giudice d’appello, la natura subordinata del rapporto di lavoro in questione anche sotto il profilo della c.d. subordinazione attenuata e per non aver correttamente valutato quanto tempestivamente esposto, dedotto e documentato dalla Sig.ra P. in relazione al rapporto di lavoro.
Innanzitutto, la Corte di merito ha erroneamente ritenuto generiche le allegazioni presentate dalla ricorrente in primo grado; esse, infatti, erano state dedotte con sufficiente specificità, presentando sia l’elencazione delle numerose attività svolte e, sia, il fatto che tali attività venivano svolte sulla base delle direttive di volta in volta indicate dai superiori gerarchici della ricorrente.
In secondo luogo, assume che la Corte territoriale ha errato nel non valorizzare i c.d. indici sussidiari della subordinazione, anche al fine di dedurre la presenza di una c.d. subordinazione attenuata, la quale risulta essere, per la giurisprudenza maggioritaria (Cass. n. 9463/2016), equiparabile alla subordinazione “classica”, contraddistinta solamente dallo svolgimento di mansioni non esecutive, ma direttivo-gestorie.
Più specificatamente, l’orientamento prevalente ritiene che esistano nella realtà contestuale degli “indicatori”, dall’analisi congiunta dei quali il giudice può ricavare la sussistenza concreta di un vincolo di subordinazione, anche se questo non risulta formalmente previsto nel contratto. Tra i vari indici di subordinazione individuati dalla giurisprudenza di legittimità, sembrano essere maggiormente rilevanti nell’attuale controversia: l’oggetto della prestazione (Cass. 6803/2002), la proprietà degli strumenti di lavoro (Cass. 1274/2008), l’assenza di rischio economico (Cass. 5645/2009), le modalità di retribuzione e l’obbligo di osservare un orario di lavoro ecc.…
Ebbene, secondo la ricorrente, se la Corte territoriale avesse correttamente analizzato tali indici, avrebbe potuto ricavare l’esistenza in concreto del vincolo di subordinazione, visto che la P. aveva l’obbligo di rispettare un orario di lavoro predeterminato, non aveva alcun rischio di impresa e, soprattutto, ha lavorato per due anni, senza soluzione di continuità, ricevendo una retribuzione fissa, predeterminata e svincolata da qualsivoglia risultato e/o obiettivo.
4. Con l’ultima censura, la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 244, 414, 416, 420, 421 e 447-bis cod. proc. civ. per la mancata ammissione dei mezzi istruttori richiesti, nonché violazione e falsa applicazione degli artt. 416 e 115 cod. proc. civ. per il mancato rispetto del principio di specifica contestazione, il tutto in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ.
La lavoratrice ritiene che la prova testimoniale, non ammessa in primo grado poiché considerata irrilevante, avrebbe potuto chiarire la natura subordinata delle numerose attività da questa svolte.
Inoltre, assume che la Corte territoriale ha disatteso il principio di specifica e tempestiva contestazione come onere in capo all’Associazione convenuta. Quest’ultima, infatti, si è limitata a dedurre la genuinità del rapporto contrattuale senza entrare nel merito delle numerose circostanze dedotte dalla ricorrente; pertanto, ai sensi degli artt. 115 e 416 co. 3 cod. proc. civ., “la mancata contestazione specifica di circostanze di fatto produce l’effetto della relevatio ab onere probandi per la controparte” (p. 39 ricorso), ossia la portata vincolante di quanto allegato e non specificatamente contestato.
Infine, ulteriormente a quanto già detto, la ricorrente insiste per la condanna della parte convenuta al pagamento delle differenze retributive, per aver recepito retribuzioni inferiori a quelle spettanti e per la reintegrazione nel posto di lavoro, stante l’illegittimità dell’intimato licenziamento.
5. Ritiene il collegio che è fondato il quarto motivo, mentre sono infondati il primo e il secondo, con assorbimento del terzo.
6. È infondata la censura con la quale la ricorrente insiste nel sostenere l’assenza di ogni riferimento nel contratto ad un progetto specifico.
Tale specificità è stata ritenuta sussistente dalla Corte territoriale che, con valutazione di merito incensurabile in questa sede di legittimità, oltre ad aver individuato la regolarità formale del contratto, ha precisato che nello stesso si individuavano la correlazione ad un progetto determinato e la fissazione di un obiettivo.
7. È inammissibile il rilievo con il quale la ricorrente denuncia l’omesso esame di fatti decisivi con riguardo all’asserito svolgimento di attività non comprese nel generico oggetto indicato nel contratto.
Le Sezioni Unite di questa Corte (Cass., sez. un., 27 dicembre 2019, n. 34476, richiamata espressamente da Cass. n. 6742/2022, cit.) hanno riassunto i principi, ormai consolidati, affermati in relazione alla riformulazione dell’art. 360, n. 5, cod. proc. civ., ad opera del D.L. n. 83/2012 e, rinviando a Cass., sez. un., n. 8053/2014, n. 9558/2018 e n. 33679/2018, hanno evidenziato che: a) il novellato testo dell’art. 360, n. 5, cod. proc. civ. ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico che concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti, oltre ad avere carattere decisivo; b) l’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sé vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie; c) neppure il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito dà luogo ad un vizio rilevante ai sensi della predetta norma; d) nel giudizio di legittimità è denunciabile solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, in quanto attiene all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; e) tale anomalia si esaurisce nella mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, nella motivazione apparente, nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili e nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di sufficienza della motivazione. Quest’ultimo vizio, non riconducibile al n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ., va denunciato ai sensi del combinato disposto degli artt. 132 e 360, n. 4, cod. proc. civ. ed è ravvisabile solo qualora la carenza o la contraddittorietà siano tali da indurre la mancanza di un requisito essenziale della decisione.
Orbene, il fatto storico del quale si lamenta la mancata considerazione, ossia le numerose attività del tutto estranee rispetto al generico oggetto del contratto che avrebbero dovuto indurre la Corte territoriale ritenere non solo generico tale contratto, ma sussistente un elemento per la trasformazione del rapporto, non integra il vizio di omesso esame di un fatto decisivo nei termini suddetti.
4. È fondato il quarto motivo (il che determina l’assorbimento del terzo).
Secondo la prospettazione della ricorrente, riscontrata dalla trascrizione degli atti di causa nelle parti di interesse e dallo stesso contenuto della sentenza impugnata come riassunto nello storico di lite, in sede di ricorso di primo grado era stato anche chiesto accertarsi, in punto di fatto, la natura subordinata del rapporto costituito come rapporto a progetto.
Era stata, altresì, articolata prova testimoniale intesa proprio ad accertare tale subordinazione (e non solo lo svolgimento di attività estranee all’asserito generico oggetto del contratto a progetto) attraverso la sussistenza di indici sintomatici di essa e così lo svolgimento di mansioni sotto il costante potere direttivo e di controllo dei responsabili e preposti sia quanto alle modalità organizzative del lavoro sia quanto al regime disciplinare, all’orario da rispettare, al trattamento economico.
Emblematici sono, sul punto, gli stessi capitoli di prova trascritti dalla Corte territoriale nel corpo della sentenza (vedi pagg. 2 e 3) rispetto ai quali, però, erroneamente i giudici di merito hanno ritenuto che gli stessi integrassero solo “valutative affermazioni, come tali non demandabili a testi”.
5. Da tanto consegue che va accolto il quarto motivo di ricorso, rigettato il primo e il secondo ed assorbito il terzo.
La sentenza impugnata va cassata in relazione al motivo accolto con rinvio alla Corte d’appello di Roma che, in diversa composizione, procederà ad un nuovo esame attenendosi ai principi sopra indicati e provvederà anche in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità.
6. Non sussistono le condizioni di cui all’art. 13, comma 1-quater d.P.R. n. 115 del 2002.
P.Q.M.
Accoglie il quarto motivo di ricorso, rigetta il primo e il secondo, assorbito il terzo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione.
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