CORTE di CASSAZIONE – Sentenza n. 18905 depositata il 4 luglio 2023
Tributi – Atto di recupero di somme dovute – IVA – Indebita compensazione – Sanzioni – Ravvedimento operoso – Notifica – Manifestazioni di volontà – Acquiescenza – Pagamento integrale della sanzione – Rigetto
Fatti di causa
Con la sentenza indicata in epigrafe, la CTR accoglieva l’appello proposto dalla (…) s.p.a. (società integralmente partecipata dai Comuni della Regione Sardegna e unico gestore, per conto dei predetti Enti, del servizio idrico integrato), avverso la sentenza emessa dalla CTP di Cagliari, che aveva respinto il ricorso proposto avverso l’atto di recupero di somme dovute per l’anno 2007, a seguito di credito IVA indebitamente utilizzato in compensazione, e contestuale irrogazione di sanzioni.
La CTR osservava che:
– nessuna acquiescenza poteva derivare dall’avvenuto pagamento, da parte della società contribuente, della sanzione in misura intera, non potendo questo costituire rinuncia all’impugnazione dell’atto di recupero;
– benché la disciplina all’epoca vigente inibisse l’accesso al ravvedimento operoso, una volta iniziato l’accertamento, con l’entrata in vigore della legge finanziaria 2015 (art. 1, comma 637, della l. n. 190 del 2014), invece, si era consentita l’applicazione di detto istituto, con efficacia retroattiva, anche nei casi in cui detto controllo fosse già iniziato;
– essendosi la società (…) avvalsa del ravvedimento operoso, l’Agenzia delle Entrate avrebbe dovuto considerare i versamenti effettuati e, alla luce delle somme ingiunte e di quelle versate, procedere alla restituzione della differenza.
Contro la suddetta decisione proponeva ricorso per cassazione l’Agenzia delle Entrate deducendo un unico articolato motivo.
La società contribuente resisteva con controricorso.
Ragioni della decisione
1. Con l’unico motivo, l’Agenzia deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 13 e 17, comma 2, del d.lgs. 472 del 1997 (ratione temporis vigente), per avere la CTR errato nel ritenere applicabile la nuova disciplina del ravvedimento operoso, prevista dall’art. 13 del d.lgs. n. 472 del 1997, come modificata dalla legge di stabilità del 2015, di cui si era avvalsa la (…) versando, nelle more dell’attività di controllo, l’importo contestato comprensivo delle sanzioni in misura ridotta, in quanto, dopo la notificazione dell’atto di recupero e prima di proporre il ricorso, la predetta contribuente aveva pagato l’integrale importo della sanzione irrogata, operando così una ricognizione di debito e rendendo l’atto di recupero definitivo, con conseguente estinzione dell’obbligazione tributaria. Sostiene, inoltre, che nella specie non si poteva applicare né la disciplina agevolativa prevista dall’art. 15, del d.lgs. n. 218 del 1997 (che non include, peraltro, l’atto di recupero), né quella stabilita dall’art. 17, comma 2, del d.lgs. n. 472 del 1997, in quanto la prima presuppone la rinuncia ad impugnare l’atto impositivo nel suo complesso, mentre la seconda implica la rinuncia a contestare la sola parte sanzionatoria, in ordine alla quale la contribuente ha deciso, invece, di proporre ricorso.
2. Occorre premettere che il richiamo agli artt. 15 del d.lgs. 218 del 1997 e 17, comma 2, del D.Lgs. n. 472 del 1997 è del tutto inconferente, in quanto, dopo essersi avvalsa del ravvedimento operoso, la contribuente ha pagato nuovamente la sanzione irrogata in misura piena.
3. Ciò posto, il ricorso è infondato.
3.1 Risulta in modo pacifico che la contribuente aveva già versato in data 30.07.2009 l’imposta indebitamente compensata, unitamente alle sanzioni calcolate in misura ridotta, avvalendosi dell’istituto del ravvedimento operoso; tale versamento è, quindi, precedente alla notificazione dell’atto di recupero impugnato, avvenuta in data 4.08.2009.
3.2 L’Ufficio sostiene che il nuovo pagamento dell’importo delle sanzioni in misura integrale, effettuato in data 18.09.2009, al solo fine di sbloccare il rimborso di un credito IVA, dopo avere ricevuto la notificazione dell’atto di recupero e prima di proporre il ricorso, avrebbe comportato una ricognizione di debito, rendendo l’atto di recupero definitivo, con conseguente estinzione dell’obbligazione tributaria.
4. Orbene, come ha sempre affermato questa Corte, “costituisce principio generale nel diritto tributario che non si possa attribuire al puro e semplice riconoscimento, esplicito o implicito, fatto dal contribuente d’essere tenuto al pagamento di un tributo e contenuto in atti della procedura di accertamento e di riscossione (denunce, adesioni, pagamenti, domande di rateizzazione o di altri benefici), l’effetto di precludere ogni contestazione in ordine all’an debeatur, salvo che non siano scaduti i termini di impugnazione e non possa considerarsi estinto il rapporto tributario. Siffatto riconoscimento esula, infatti, da tale procedura, regolata rigidamente e inderogabilmente dalla legge, la quale non ammette che l’obbligazione tributaria trovi la sua base nella volontà del contribuente. Le manifestazioni di volontà del contribuente, pertanto, quando non esprimano una chiara rinunzia al diritto di contestare l’an debeatur, debbono ritenersi giuridicamente rilevanti solo per ciò che concerne il quantum debeatur, nel senso di vincolare il contribuente ai dati a tal fine forniti o accettati. Ciò non esclude che il contribuente possa validamente rinunciare a contestare la pretesa del fisco, ma, perché tale forma di acquiescenza si verifichi, è necessario il concorso dei requisiti indispensabili per la configurazione di una rinuncia, e cioè: 1) che una controversia tra contribuente e fisco sia già nata e risulti chiaramente nei suoi termini di diritto o, almeno, sia determinabile oggettivamente in base agli atti del procedimento; 2) che la rinuncia del contribuente sia manifestata con una dichiarazione espressa o con un comportamento sintomatico particolare, purché entrambi assolutamente inequivoci” (Cass. n. 2463 del 18/06/1975).
4.1 Contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, quindi, l’istituto dell’acquiescenza al provvedimento amministrativo, sotto la specie dell’accettazione di esso, non può trovare applicazione nel diritto tributario, non potendosi attribuire al puro e semplice riconoscimento, esplicito o implicito, fatto dal contribuente, di essere tenuto al pagamento di un tributo, contenuto in atti della procedura di accertamento e di riscossione (denunce, adesioni, pagamenti, domande di rateizzazione o di altri benefici), l’effetto di precludere ogni contestazione in ordine all’an debeatur, salvo che non siano scaduti i termini di impugnazione e non possa considerarsi estinto il rapporto tributario (Cass. n. 3347 del 8.02.2017 e Cass. n. 26515 dell’8.02.2022), risultando irripetibile il versamento solo in quanto spontaneamente pagato (Cass. n. 2231 del 30.01.2018).
5. Nella specie, la contribuente ha allegato sin dal primo grado che il pagamento integrale della sanzione irrogata era intervenuto dopo la notificazione dell’atto di recupero, al fine di poter conseguire il rimborso dell’IVA per l’anno 2007, poi effettivamente riconosciuto dall’Ufficio. Il pagamento non è stato, dunque, effettuato spontaneamente, ma al solo fine di evitare conseguenze pregiudizievoli o, comunque, di carattere preclusivo.
6. La sentenza impugnata ha fatto buon governo dei principi sopra enunciati, ritenendo applicabile al primo versamento della sanzione, calcolata in misura ridotta, effettuato prima della notificazione dell’atto di recupero, la nuova disciplina del ravvedimento operoso, prevista dall’art. 13 del D.Lgs. n. 472 del 1997, come modificato dall’art. 1, comma 637 della l. n. 190 del 2014 (sulla cui efficacia retroattiva, in generale, l’Agenzia comunque concordava), e non riconoscendo valore di rinuncia all’impugnazione di detto atto di recupero al successivo pagamento della sanzione in misura integrale.
7. In conclusione, il ricorso va rigettato e la parte ricorrente deve essere condannata al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese relative al presente giudizio di legittimità, che si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso;
condanna l’Agenzia delle Entrate al pagamento in favore della (…) s.p.a. delle spese del giudizio, che liquida in Euro 5.600,00 per compensi, Euro, 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie e accessori di legge.
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