CORTE di CASSAZIONE sentenza n. 19261 depositata il 19 luglio 2018
Fatto
Con sentenza in data 17 giugno 2008 il Tribunale di Trani, sezione distaccata di Andria, rigettava la domanda proposta da SM nei confronti di RM, diretta ad accertare l’estinzione – a seguito del deposito presso l’Agenzia di Adria della banca CREDEM, in data 31 marzo 2016, della somma di 67.139,92 euro, oggetto dell’offerta reale da lui fatta al RM il 6 febbraio 2006 e dallo stesso rifiutata – dell’obbligazione relativa al pagamento della somma di lire 176.500.000 (corrispondente al saldo del prezzo di un fabbricato da lui promesso in vendita al RM) cui il medesimo Tribunale aveva condizionato il trasferimento ex art. 2932 c.c., in suo favore, del suddetto immobile, nonché per ottenere la condanna del convenuto al rilascio dell’immobile medesimo.
Il primo giudice rilevava che la somma offerta dallo SM non corrispondeva all’importo di 176.500.000 ( pari ad euro 91.154,64) cui, con la sentenza n.1482/2000, passata in giudicato, era stato subordinato il trasferimento ex art. 2932 c.c., e la differenza non era giustificata dai crediti che questi vantava nei confronti del RM, se non altro perché gli stessi erano comprensivi della somma di 11.698,00 curo, che il RM era stato condannato a pagare al difensore dello SM, quale distrattario, per le spese della causa conclusasi con la citata sentenza 1482/2000.
La Corte d’Appello di Bari, con la sentenza pubblicata il 27 agosto 2013, in riforma della sentenza di primo grado, ha dichiarato che in data 24 aprile si era avverata la condizione cui il Tribunale di Trani aveva subordinato il trasferimento dell’immobile in favore dello SM e condannava il RM al rimborso delle spese del doppio grado di giudizio.
La Corte territoriale, escluso che il credito per spese legali distratte in favore del difensore dello SM fosse un credito di quest’ultimo e non del suo legale, rilevava tuttavia che il RM ,ritirando la somma di 67.139,92 euro ( depositata in banca a suo nome) oggetto dell’offerta reale a lui fatta dallo SM e da lui precedentemente rifiutata, aveva accettato il deposito, in tal modo liberando lo Sagaramella dall’obbligazione relativa al pagamento della somma di lire 176.500.000, cui il Tribunale di Trani, con la sentenza n.148212000, aveva condizionato il trasferimento in suo favore.
Per la cassazione di detta sentenza, propone ricorso, con un solo motivo, il RM.
Lo SM resiste con controricorso, proponendo a sua volta ricorso incidentale, articolato su due motivi. Con ordinanza interlocutoria, resa all’esito della precedente adunanza in camera di consiglio del 10 novembre 2017, il Collegio, visti gli artt. 375 e 380 bis comma 1 cpc, ritenuto che il ricorso poneva una questione di diritto di particolare rilevanza, avuto riguardo alle condizioni cui, nel deposito successivo all’offerta reale, è subordinato il verificarsi della liberazione del debitore, ha disposto il rinvio della causa alla pubblica udienza per la trattazione del ricorso.
Considerato in diritto
Con l’unico motivo (violazione e falsa applicazione dell’art. 1210 comma 2 c.c., in relazione all’art. 360 n.3) il ricorrente in via principale sostiene che la Corte d’Appello ha errato nel ritenere che il ritiro della somma depositata in banca integri accettazione del deposito, idoneo a liberare il debitore dalla sua obbligazione.
Deduce, inoltre, che l’offerta era invalida, in quanto non comprendeva l’intera son-mia (91.154,64 euro) al cui pagamento il debitore SM era obbligato: la Corte d’Appello non poteva considerare accettato il deposito per il solo fatto che il promittente venditore aveva ritirato, in data 24 aprile 2006, la parziale somma depositata, senza tener conto del rifiuto dell’offerta, manifestato mediante la dichiarazione raccolta dall’ufficiale giudiziario.
Il motivo è infondato.
Conviene premettere che l’offerta reale ex art. 1208 c.c. ed il deposito ex art 1210 c.c., ancorchè inseriti nel medesimo procedimento (di liberazione del debitore), possiedono distinti requisiti di validità e producono effetti diversi. E’ pertanto irrilevante, ai fini della validità del deposito e dell’efficacia liberatoria della sua accettazione, sia la dedotta invalidità dell’ offerta, ai sensi dell’art.1208 comma 1 n.3) c.c. , che il suo rifiuto da parte del creditore, rifiuto che costituisce anzi il presupposto per la fase successiva, costituita appunto dal deposito di cui all’art. 1210 c.c. Va dunque disattesa la prospettazione del ricorrente, secondo cui il suo precedente rifiuto dell’offerta, si sarebbe riverberato sulla successiva fase del deposito. Ciò premesso, deve senz’altro rilevarsi la natura negoziale dell’accettazione del deposito da parte del creditore, che costituisce modalità di liberazione del debitore alternativa rispetto alla “convalida” ed è unicamente subordinata a requisiti di validità e capacità (dell’accettante) propri degli atti negoziali.
Essa va dunque tenuta distinta dall’accettazione della prestazione al di fuori del procedimento di liberazione coattiva del debitore, che, al contrario, non ha natura negoziale: l’accettazione di un pagamento parziale, ex art. 1181 c.c., in assenza di espressa dichiarazione “liberatoria”, non comporta pertanto rinunzia al credito o rimessione del debito (Cass. 5363/1997; 14573/2007) e dunque non fa perdere al creditore il diritto di pretendere l’intero.
Nel caso del procedimento di liberazione coattiva del debitore, al contrario, l’accettazione del deposito, secondo l’espressa previsione dell’art. 1210 c.c., ha effetto liberatorio, con efficacia retroattiva ( alla data del deposito stesso) e determina l’estinzione dell’obbligazione, con effetto assimilabile a quello della datio in solutum.
Da ciò consegue che, una volta intervenuta l’accettazione del deposito ex art. 1210 comma 2 c.c., non vi è luogo ad alcuna valutazione sulla congruità della prestazione ( nel caso in esame la somma di denaro) depositata ed accettata e la stessa non può più essere messa in discussione sotto il profilo dell’esattezza dell’adempimento.
Orbene, l’accettazione del deposito, secondo i principi generali in materia negoziale, può essere espressa o tacita.
In particolare, il ritiro da parte del creditore della somma depositata, senza sollevare alcuna riserva, considerato lo specifico contesto in cui tale comportamento si inserisce, vale a dire il procedimento preordinato alla liberazione del debitore, integra, ad avviso del collegio, un comportamento concludente, implicante accettazione a nulla rilevando il pregresso rifiuto dell’offerta, che, come si è avuto occasione di rilevare, costituisce lo stesso antecedente del successivo deposito.
Se infatti, nel caso di accettazione di un pagamento parziale, o di una prestazione parziale o ritardata, il silenzio del creditore non può essere inteso come adesione alla volontà del debitore, quando pure quest’ultimo lo effettui a titolo di saldo del maggior importo preteso dal primo (in tal senso, Cass. 5363/1997), ben diversa è la rilevanza del ritiro, da parte del creditore, della somma depositata ai sensi dell’art. 1210 comma 1 c.c.: in tal caso il ritiro della somma non configura, infatti, mera accettazione di una prestazione parziale, ma accettazione del deposito, con i conseguenti effetti liberatori di cui all’art.1210 comma 2 c.c.
Se dunque, in caso di accettazione della prestazione parziale il silenzio del creditore non assume valore negoziale e non può intendersi come adesione alla volontà del debitore, nè determina estinzione dell’intera obbligazione, il ritiro della somma depositata ex art. 1210 c.c., senza alcuna contraria dichiarazione, in quanto si inserisce in un apposito procedimento disciplinato dalla legge e finalizzato alla liberazione del debitore integra, come già ritenuto dal giudice di appello, comportamento concludente di accettazione tacita, in quanto realizza il risultato tipico cui è preordinato il deposito della somma in favore del creditore: da esso r discendono, dunque, gli effetti stabiliti dall’art. 1210 comma 2 c.c.:
il debitore non potrà richiedere indietro la somma depositata e sarà liberato dalla sua obbligazione.
Non è in contrasto con tale conclusione il precedente di questa Corte, secondo cui , qualora il creditore, nel ritirare la somma, ne denunci l’insufficienza rispetto all’importo dovuto, il deposito non ha effetto liberatorio, se non sottoposto alla procedura di convalida (cosí Cass.743/1983).
In tale ipotesi, infatti, l’espressa dichiarazione di insufficienza della somma fatta dal creditore in sede di ritiro della somma, impedisce di attribuire a tale comportamento efficacia di accettazione tacita.
Nel caso di specie, al contrario, il RM non formulò alcuna riserva al momento del ritiro della somma o comunque nella sua immediatezza, e dichiarò di rifiutare il deposito solo diversi mesi dopo, quando si era già perfezionato l’effetto estintivo-liberatorio conseguente all’accettazione tacita del deposito medesimo.
Deve dunque affermarsi che il ritiro senza riserve, da parte del creditore, della somma depositata nell’ambito del procedimento di liberazione coattiva del debitore costituisce accettazione tacita del deposito, e determina, ai sensi dell’art. 1210 comma 2 con efficacia ex tunc, l’effetto liberatorio per il debitore.
Il successivo rifiuto del creditore è dunque inefficace ed inidoneo ad incidere su una fattispecie estintiva già realizzatasi, cui corrisponde, in capo al debitore/la preclusione alla ripetizione della somma depositata e ritirata dal primo.
Passando al ricorso incidentale, con il primo motivo lo SM denuncia la violazione dell’art. 1243 c.c., in relazione all’art. 360 n.3) cpc, censurando la sentenza impugnata nella parte in cui ha erroneamente f., escluso la legittimità della compensazione legale da lui operata.
Con il secondo motivo si lamenta l’erroneità della sentenza impugnata (violazione dell’art. 115 cpc e 2697 c.c. ai sensi dell’ art. 360 nn.3) e 5) cpc) per avere respinto la domanda di rilascio dell’immobile, ritenendo che non potesse ritenersi provata la detenzione del bene da parte del RM, pur in assenza di contestazione da parte della controparte.
Il rigetto del ricorso principale assorbe l’esame del primo motivo del ricorso incidentale.
Il secondo motivo è invece fondato e va accolto.
La Corte territoriale, infatti, pur ritenendo che si fosse avverata la condizione cui era stato subordinato, ai sensi dell’art. 2932 c.c. il trasferimento del bene, ha respinto la domanda di rilascio del bene medesimo, poiché non risultava provato che l’immobile in questione fosse occupato dal RM.
Si rileva in contrario che alla luce del contegno processuale tenuto dal RM, vale a dire la mancata contestazione della perdurante occupazione dell’immobile, ed anzi l’ammissione, contenuta negli atti difensivi (comparsa conclusionale in appello) del mancato rilascio del bene (giustificato dall’inadempimento dello SM) , ai sensi dell’art. 115 cpc comma 1 ult. inciso, l’occupazione del bene da parte del RM deve ritenersi un fatto non contestato, con conseguente relevatio dal relativo onere processuale in capo all’odierno ricorrente incidentale, il quale aveva specificamente e reiteratamente allegato tale situazione di fatto nel giudizio di primo e secondo grado.
La sentenza impugnata va dunque cassata sul punto e, considerato che non sono necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, con condanna del RM all’immediato rilascio dell’immobile.
Quanto alle spese di lite, va confermata la statuizione di condanna del RM al rimborso dei due gradi di merito, nella misura stabilita nella i sentenza impugnata; il RM va altresí condannato al pagamento delle spese del presente giudizio, che si liquidano come da dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater Dpr 115 del 2002 sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale. Dichiara assorbito il primo motivo del ricorso incidentale.
Accoglie il secondo motivo e, decidendo la causa nel merito, condanna il RM all’immediato rilascio del bene immobile oggetto di causa.
Conferma la statuizione sulle spese, relative ai due gradi di merito, adottata nella sentenza impugnata. Condanna il ricorrente principale al rimborso allo SM delle spese del presente giudizio, che liquida in complessivi 4.200,00 euro, di cui 200,00 euro per rimborso spese vive, oltre a rimborso forfettario spese generali, in misura del 15%, ed accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater Dpr 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a
quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
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