CORTE di CASSAZIONE – Sentenza n. 5075 depositata il 17 febbraio 2023
Tributi – Avvisi di accertamento – IRES, IRAP e IVA – Nullità della notifica – Sanatoria per effettiva conoscenza dell’atto – Criteri per l’individuazione della residenza fiscale stabiliti dall’art. 73, TUIR – Sede dell’amministrazione e dello svolgimento dell’oggetto principale nel territorio nazionale – Reddito ricostruito col metodo induttivo – Rigetto
Fatti di causa
1. L’Agenzia delle Entrate accertava nei confronti della ricorrente, con riferimento all’anno d’imposta 2009, IRES, IRAP ed IVA ritenendo la stessa localizzata sul territorio nazionale, e procedendo alla notifica dei relativi avvisi in Suzzara, via (…). La società proponeva impugnazione.
2. La CTP respingeva il ricorso, e quindi veniva proposto gravame, anch’esso respinto dalla CTR con la sentenza qui impugnata.
La contribuente propone così ricorso in cassazione, affidato a sei motivi. L’Agenzia si è costituita per resistere.
Ragioni della decisione
1. Nell’ordine di priorità logica dev’essere anzitutto esaminato il quarto motivo. Con esso si denuncia violazione degli artt. 59 e 60, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, 140, 157 e 160, cod. proc. civ., e 57, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, in relazione all’art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ.
Tali disposizioni stabiliscono che le notifiche vanno eseguite presso la sede sociale, e con criterio sussidiario presso il legale rappresentante che risieda nel comune in cui l’ente abbia il domicilio fiscale, da individuarsi ai sensi dell’art. 58, d.P.R. n. 600/1973.
Poiché nella specie la notifica avvenne presso una sede supposta e a persona diversa dal legale rappresentante, non comunque presso la sede legale, la notifica stessa sarebbe nulla.
1.1. Il motivo è infondato. Come premesso esso si fonda su un’asserita ipotesi di nullità della notifica, per essere la stessa avvenuta in un luogo diverso da quello in cui doveva essere effettuata, ma essendo pacifica la tempestiva impugnazione degli avvisi di accertamento – ed a prescindere dalla relativa fondatezza – la nullità sarebbe in ogni caso sanata ai sensi dell’art. 156, cod. proc. civ.
In effetti l’applicabilità di tale disposizione anche agli atti tributari è pacifica nella giurisprudenza di legittimità “In tema di notificazione degli avvisi e degli altri atti tributari, l’avvenuto ritiro dell’atto (nella specie, un avviso di liquidazione dell’INVIM), da parte del destinatario, presso la casa comunale, dove sia stato depositato ai sensi dell’art. 140 cod. proc. civ., con invio al medesimo destinatario della notizia del deposito mediante raccomandata, produce effetto sanante della eventuale nullità della notificazione, in conseguenza della piena conoscenza dell’atto che dal ritiro evidentemente deriva” (Cass. 13/01/2006, n. 590; Cass. 28/10/2016, n. 21865).
2. Venendo così al primo motivo, con esso la contribuente denuncia violazione o falsa applicazione degli artt. 73, TUIR, 2697, cod. civ., e 115, cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ.
A parere della stessa, infatti, i giudici d’appello avrebbero violato le indicate norme avendo anzitutto invertito l’onere della prova, attribuendo agli elementi individuati dall’amministrazione per localizzare in Italia la sede effettiva dell’impresa il valore di presunzione legale relativa.
Per determinare poi il luogo di svolgimento dell’oggetto principale e la sede amministrativa, il giudice d’appello avrebbe dovuto esaminare le prove fornite, ma l’indicazione delle stesse non sarebbe contenuta nella sentenza.
Del resto, anche il riferimento all’illegittimo vantaggio fiscale, valorizzato dalla CTR, sarebbe erroneo posto che l’art. 73, TUIR, non farebbe alcun riferimento a tale requisito.
2.1. Il motivo è inammissibile.
Con lo stesso in effetti non viene individuata alcuna violazione delle norme di legge citate, ma essenzialmente solo criticati gli accertamenti di fatto svolti dal giudice del merito, insindacabili in questa sede.
Per il resto, il riferimento all’indebito vantaggio fiscale trova riscontro nella giurisprudenza di legittimità, laddove si ritiene che anche il diritto di stabilimento trova il limite nell’artificiosità della società costituita all’estero (ipotesi identificata dagli accertamenti operati dai giudici di merito) al solo scopo di trarre vantaggio fiscale dalla legislazione del paese in cui la sede viene così fissata, mentre in ordine all’asserita violazione dell’art. 2697, cod. civ., appare evidente che il giudice d’appello abbia fondato l’individuazione della sede in Italia, come già aveva fatto il primo giudice, sulla base di elementi presuntivi (praesumptio hominis), tratti dal materiale probatorio espressamente richiamato (corrispondenza, dati estratti dal “computer” dell’impresa, elaborati excel, risultanze del p.v.c. redatto dalla Guardia di Finanza; in negativo assenza di elementi che indichino l’autonomia dell’impresa sedente all’estero), ritenuti dunque gravi, precisi e concordanti.
Trattasi quindi di applicazione del normale meccanismo di formazione della prova, in questo caso sulla base di elementi indiziari – quindi senza necessità di ricorso alla regola di giudizio finale, di cui all’art. 2697 cod. civ., cui si deve invece far riferimento in caso di insufficienza degli stessi – che nulla ha a che vedere con le presunzioni legali, e la cui critica passa piuttosto per la contestazione dei relativi requisiti o per l’indicazione di elementi – che del pari abbiano trovato ingresso nel processo – che contrastano le relative risultanze.
3. Con il secondo motivo si denuncia violazione dell’art. 7, d.P.R. 28 ottobre 1972, n. 633 (ndr art. 7, d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633), nonché degli artt. 49 e 54, TFUE, in relazione all’art. 360, primo comma, num.3, cod. proc. civ. Con esso si denuncia la decisione in quanto ai fini IVA i criteri per l’individuazione della residenza fiscale stabiliti dall’art. 73, TUIR, non sarebbero applicabili, come invece ritenuto dalla CTR.
3.1. Il motivo è infondato, perché anche ai sensi dell’art. 7, d.P.R. n. 633/1972, nel testo applicabile alla fattispecie in esame, si considera per le persone giuridiche domicilio il luogo in cui si trova la loro sede legale e residenza quello in cui si trova la sede effettiva.
Sulla base di un accertamento di merito, non sindacabile in sede di legittimità, la CTR, e prima d’essa la CTP, hanno stabilito che la sede effettiva della società ricorrente si trova in Italia.
4. Con il terzo motivo si censura la sentenza d’appello per aver ritenuto domanda nuova quella con cui si contestavano i rilievi inerenti l’IRAP.
La ricorrente sottolinea infatti di aver già proposto la questione in primo grado, avendo infatti ivi richiesto l’annullamento dell’avviso di accertamento “in materia di IRES, IRAP e IVA, anno d’imposta 2009” (la ricorrente localizza tale richiesta alla pag. 25 ricorso introduttivo), con motivo intitolato “mancanza di prova della sede dell’amministrazione e dell’oggetto principale in Italia” (la ricorrente localizza tale intitolazione alla pag. 7 ricorso introduttivo).
4.1. In effetti può ritenersi, sulla base delle conclusioni prese e dell’intitolazione del motivo, che già in primo grado la ricorrente abbia impugnato l’avviso anche con riferimento all’IRAP, sotto il profilo della mancata prova circa la sede dell’amministrazione e dello svolgimento dell’oggetto principale nel territorio nazionale.
Peraltro, non dipendendo la decisione nel merito da ulteriori accertamenti in fatto, la domanda può essere decisa in questa sede ai sensi dell’art. 384, cod. proc. civ.
In particolare i giudici di merito hanno già accertato che la sede effettiva della contribuente si trova in Italia, e tale accertamento deve essere posto alla base anche della definizione nel merito circa l’analoga questione in materia di IRAP, che in virtù dell’art. 1, d.lgs 15 dicembre 1997, n. 446 trova il proprio presupposto applicativo nell’esercizio abituale di una attività autonomamente organizzata diretta alla produzione e scambio di beni o alla prestazione di servizi “nel territorio delle regioni”.
Individuata dai giudici di merito nel territorio nazionale, ed in particolare in Suzzara (Mantova), la sede effettiva dell’impresa ricorrente, ne deriva il rigetto del motivo d’appello.
5. Con il quinto motivo si denuncia violazione dell’art. 112, cod. proc. civ., con riferimento all’art. 360, primo comma, num. 4, cod. proc. civ.
Il giudice d’appello avrebbe omesso di esaminare il motivo relativo alla dedotta assenza di reddito, in quanto la società – nell’anno d’imposta in questione – era in perdita.
5.1. Effettivamente la sentenza, nella parte motiva, non argomenta in proposito, ma deve ritenersi che ricorra non un’ipotesi di omessa pronuncia, ma di motivazione implicita, desumibile dal contesto generale e dal quadro probatorio unitariamente considerato come emergente dalla pronuncia.
Infatti, la Commissione decide su un presupposto che esplica nell’incipit della parte in fatto, costituito dalla circostanza per cui gli avvisi di accertamento vennero emessi per omessa presentazione della dichiarazione dei redditi “con conseguente ricostruzione dei ricavi con metodo induttivo sulla base delle fatture emesse e dei costi”, dunque prescindendo dalle risultanze contabili e di bilancio.
Non risultando contestazioni inerenti agli elementi presi in considerazione, e per la natura della fattispecie risultando invece irrilevanti le risultanze contabili e di bilancio (dedotte invece dal motivo, che appunto fa valere la perdita ricavabile dal bilancio d’esercizio), la commissione ha proceduto all’esame delle questioni che già presupponevano la sussistenza di un reddito ricostruito col metodo induttivo, la cui modalità di applicazione – si ripete – non risulta essere stata oggetto di alcuna censura.
6. Con il sesto motivo si denuncia omesso esame di un fatto decisivo ai sensi dell’art. 360, primo comma, num. 5, cod. proc. civ., per “omessa motivazione o motivazione apparente e per motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”.
Secondo la contribuente, la CTR avrebbe omesso di esaminare il fatto che nel periodo rilevante la società era in perdita, fornendo così una motivazione apparente.
Quanto alla localizzazione della società, avrebbe la CTR omesso di motivare in merito alle prove fornite in proposito.
Da tutto ciò emergerebbe che la motivazione apparirebbe “omessa o apparente nonché perplessa ed obiettivamente incomprensibile per omesso esame delle prove fornite” in ordine ad entrambi gli aspetti.
6.1. Il motivo è inammissibile.
Orbene dalla lettura dell’intero motivo risulta una censura sotto profili tra loro confusi e inestricabilmente combinati, con commistione tra asserita mancata valutazione di risultanze probatorie (pag. 46, 47) sovrapposta ad aspetti inerenti all’apparenza della motivazione, che però poco dopo (pag. 48) viene invece, e contraddittoriamente, qualificata come perplessa ed obiettivamente incomprensibile.
Volendo peraltro considerare il motivo come riferentesi ad omessa valutazione di fatti oggetto di discussione, con riferimento alla sola questione inerente la localizzazione, come (pur con le surriferite gravi incertezze) pare a tratti nell’illustrazione del motivo e nella relativa epigrafe, deve escludersi la sussistenza del vizio in quanto la CTR a tal proposito ha chiaramente dimostrato di aver valutato gli elementi, laddove ha prima ritenuto che la sede effettiva dovesse essere individuata nel territorio nazionale, dove veniva svolta tutta l’attività indicando le relative fonti di prova e le modalità di svolgimento dell’oggetto principale (sotto il primo profilo vanno richiamati gli elementi indicati sub 2.1., oltre al fatto che risultasse come la società ricorrente fosse amministrata dal P. che ne “controllava ogni operazione gestionale e finanziaria”; sotto il secondo anche l’assenza di qualsiasi base operativa all’estero e che gli autisti ritiravano proprio a Suzzara i mezzi e, al termine di ogni periodo di lavoro, depositavano il loro mezzo di trasporto presso il medesimo indirizzo di Suzzara), tutto ciò a fronte dell’ “assenza assoluta di elementi che possono dimostrare l’effettiva autonoma operatività della società di diritto estero”, avendo evidentemente i giudici di merito valutato non rilevanti gli elementi portati dalla ricorrente, che peraltro aveva essenzialmente fondato le sue difese piuttosto sull’assenza di prove circa l’estero-vestizione (cfr. pag. 2 della sentenza).
7. Il ricorso dev’essere dunque respinto, con aggravio di spese in capo alla ricorrente soccombente.
Sussistono i presupposti processuali per dichiarare l’obbligo di versare, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della l. 24 dicembre 2012, n. 228, un ulteriore importo a titolo di contributo unificato.
P.Q.M.
Respinge il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite che liquida in € 8.000,00, oltre spese prenotate a debito.
Dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per l’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, se dovuto.
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