CORTE di CASSAZIONE – Sentenza n. 20068 depositata il 13 luglio 2023

Lavoro – ASL – Licenziamento – Responsabilità disciplinare – Recidiva – Reintegra – Risarcimento – TFR – Danno biologico – Illeciti disciplinari anteriori alla data di entrata in vigore del D.Lgs. n.75/2017 – Applicabilità dell’art. 55-bis del D.Lgs. n. 165/2001 – Rigetto

Fatti di causa

1. Con la sentenza n. 883/2022, la Corte d’Appello di Roma rigettava l’appello principale proposto dalla AZIENDA SANITARIA LOCALE ROMA 1 avverso la sentenza con cui il Tribunale di Roma aveva dichiarato l’illegittimità dei provvedimenti prot. n. 8855 del 23.1.2018, prot. n. 131191 del 18.10.2018 e prot. n. 12028 del 24.1.2019 e l’aveva condannata alla reintegrazione di M.G. nel posto di lavoro e al pagamento di un’indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo di fine rapporto corrispondente al periodo dal 18.10.2018 all’effettiva reintegra, nonché al versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali; con la medesima sentenza rigettava l’appello incidentale condizionato proposto da M.G. ed in parziale accoglimento dell’appello incidentale autonomo dal medesimo proposto, condannava l’Azienda a restituirgli il bonus di incentivazione di € 7000,00 lordi, oltre interessi legali.

 2. La Corte territoriale escludeva l’applicabilità del nuovo regime dei termini di cui all’art.55-bis del d.lgs. n. 165/2001, come modificato dal d.lgs. n. 75/2017, considerando applicabile il testo vigente prima di tale modifica e riteneva l’Amministrazione decaduta dall’azione disciplinare.

3. Riteneva che la valutazione effettuata dall’Azienda avesse avuto ad oggetto anche i precedenti disciplinari dell’anno 2018 e che li avesse considerati, unitamente all’elemento intenzionale, quali elementi costitutivi dell’azione disciplinare; l’illegittimità dei precedenti provvedimenti disciplinari comportava dunque l’illegittimità del licenziamento comminato con provvedimento prot. n. 12028 del 24.1.2019.

4. Condivideva la statuizione del primo giudice in ordine alla determinazione dell’indennità risarcitoria per il licenziamento illegittimo, mentre non ravvisava i presupposti per il riconoscimento del danno biologico.

 5. In ragione della declaratoria di illegittimità delle sanzioni disciplinari, riteneva fondata la richiesta di restituzione del bonus incentivante, il recupero del quale era stato giustificato dall’Azienda con riferimento ai fatti disciplinari sottesi alle sanzioni.

 6. L’ AZIENDA SANITARIA LOCALE ROMA 1 proponeva ricorso per la cassazione della sentenza, articolato in quattro motivi di censura, illustrati da memoria.

7. G.M. resisteva con controricorso.

Ragioni della decisione

1. Con il primo motivo, proposto ai sensi dell’articolo 360 n.3 cod. proc. civ., l’Azienda ricorrente denuncia violazione dell’art.22, comma 13, e dell’art. 12 del d.lgs. n. 75/2017, nonché dell’art. 55 bis del d.lgs. n. 165/2001, come modificato dal d.lgs. n.75/2017.

 Lamenta che la Corte territoriale ha erroneamente interpretato l’art. 22 comma 13, e dell’art. 12 del d.lgs. n. 75/2017, argomentando che il riferimento agli illeciti disciplinari commessi contenuto in tale disposizione evoca solo la normativa sostanziale contenuta nel Capo VII del medesimo decreto legislativo, mentre non riguarda quella processuale.

 Richiama le pronunce di legittimità relative allo ius superveniens, nonché la Circolare del Dipartimento della Funzione Pubblica n.9 del 27.11.2009, relativa all’interpretazione delle analoghe norme contenute nella riforma del 2009.

 2. Con il secondo mezzo, proposto ai sensi dell’articolo 360 n. 3 cod. proc. civ., l’Azienda ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2106 e 2119 cod. civ., nonché degli artt. 55, 55 bis, 55 ter, 55 quater del d.lgs. n. 165/2001, degli artt. 13 e 14 del CCNL del Comparto del personale non dirigente Sanità del 19.4.2004, parte normativa 2002-2005 e parte economica 2002-2003, come modificati ed integrati dall’art.6 del CCNL del Comparto Sanità del 10.4.2008 parte normativa 2006-2009 e parte economica 2006-2007, e degli artt. 2, 3, 4 e 11 del Regolamento sulla responsabilità disciplinare del personale dipendente dell’Area del comparto dell’Azienda Sanitaria Locale Roma 1.

 Deduce che il licenziamento è stato comminato ai sensi dell’art. 11, comma 1, lett. f) e i) del Regolamento sulla responsabilità disciplinare del personale del comparto della ASL Roma 1, il quale non considera la recidiva e che non è mai stato menzionato l’art. 55 quater del .lgs. n. 165/2001; precisa che il riferimento contenuto nel provvedimento di licenziamento alle altre condotte disciplinarmente rilevanti contenuto nell’ultimo biennio è stato inserito per mero scrupolo, non riguardano la recidiva e non configurandosi come elemento costitutivo dell’infrazione.

 Evidenzia la contraddittorietà o la mancanza di motivazione della sentenza impugnata, atteso che a seguito dell’accertamento della recidiva quale elemento costitutivo della mancanza addebitata, il Collegio avrebbe dovuto dichiarare nullo, e non illegittimo, il provvedimento impugnato.

 3. Con la terza critica, proposta ai sensi dell’articolo 360 n. 4 cod. proc. civ., l’Azienda ricorrente denuncia la nullità della sentenza per carenza degli elementi essenziali di cui all’art. 132 n. 4 cod. proc. civ. e 118 disp. att. cod. proc. civ, nonché per il carattere apparente e perplesso della motivazione.

 Lamenta che la Corte territoriale si è limitata a ribadire l’illegittimità del terzo provvedimento disciplinare adottato nei confronti del M., senza accertare se fosse stata contestata o meno la recidiva.

 4. Con il quarto motivo, proposto ai sensi dell’articolo 360 n. 3 cod. proc. civ., l’Azienda ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 92, secondo comma, cod. proc. civ.

 Lamenta di avere subito la condanna alle spese processuali, nonostante la novità della questione.

 5. Il primo motivo è infondato.

 6. L’art. 22, comma 13, del d.lgs. n. 75/2017, recante “Modifiche e integrazioni al decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, ai sensi degli articoli 16, commi 1, lettera a), e 2), lettere b), c), d) ed e) e 17, comma 1, lettere a), c). e), f), g), h), l), m), n), o), q), r), s) e z) della legge 7 agosto 2015, n. 124, in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche” così prevede: “Le disposizioni di cui al Capo VII si applicano agli illeciti disciplinari commessi successivamente alla data di entrata in vigore del presente decreto”.

 Le previsioni espresse contenute nella norma transitoria costituita dall’art.22 comma 13 del d.lgs. n. 75/2017 non riguardano solo le norme sostanziali, ma sono univocamente riferite a tutte le disposizioni del Capo VII del medesimo decreto legislativo, ivi compreso l’art. 13 del d.lgs. n. 75/2017, contenente le modifiche all’art. 55-bis del d.lgs. n. 165/2001, inserito nel Capo VII del medesimo decreto.

 A fronte di tali previsioni espresse, non possono pertanto trovare applicazione i principi espressi da questa Corte e dalla circolare del Dipartimento della Funzione Pubblica n.9 del 27.11.2009, con riferimento alla disciplina contenuta nel d. lgs. n.150/2009, atteso che tale decreto non contiene un’espressa disposizione transitoria.

 Alla luce di quanto fin qui evidenziato, il discrimine temporale ai fini dell’applicabilità dell’art. 55 bis d. lgs. n. 165/2001, nel testo modificato dall’art. 13 del d.lgs. n. 75/2017, è dato dunque dall’epoca della commissione dell’illecito disciplinare.

 Essendo incontestato che i fatti addebitati al M. con le contestazioni di cui ai provvedimenti prot. n. 8855 del 23.1.2018, prot. n. 131191 del 18.10.2018 sono stati commessi in epoca anteriore al 22.6.2017, data di entrata in vigore del d. lgs. n.75/2017, la Corte territoriale ha correttamente ritenuto applicabile l’art. 55-bis del d.lgs. n. 165/2001 nella versione anteriore alle modifiche introdotte dall’art.13 del d.lgs. n. 75/2017, né l’Azienda ricorrente ha lamentato la violazione di tale norma sotto il profilo dell’erronea applicazione dei termini ivi previsti.

 7. Il secondo motivo è inammissibile, in quanto introduce una critica nel merito, mirando ad ottenere una rivisitazione del fatto attraverso una diversa lettura della contestazione disciplinare e del licenziamento rispetto a quella effettuata nei precedenti gradi di giudizio.

 Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, è inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di norme di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio o di omessa pronuncia miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito (vedi, per tutte: Cass. S.U. 27 dicembre 2019, n. 34476 e Cass. 14 aprile 2017, n. 8758).

 La decisione della Corte d’Appello non risulta peraltro essersi distaccata dal ragionamento del giudice di primo grado, né parte ricorrente ha indicato le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. Sez. L – Sentenza n. 20994 del 06/08/2019; Cass. Sez. 1 – Sentenza n. 26774 del 22/12/2016; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 5528 del 10/03/2014).

 8. Il terzo motivo è infondato.

 9. Le Sezioni Unite di questa Corte hanno infatti chiarito che a seguito della riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, sesto comma, Cost., individuabile nelle ipotesi -che si convertono in violazione dell’art. 132, secondo comma, n. 4, c.p.c. e danno luogo a nullità della sentenza- di “mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od incomprensibile”, mentre al di fuori di tali ipotesi il vizio di motivazione può essere dedotto solo per omesso esame di un “fatto storico”, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia “decisivo” ai fini di una diversa soluzione della controversia (Cass. Sez. 1 – Ordinanza n. 7090 del 03/03/2022; Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 22598 del 25/09/2018; Cass. Sez. 3 – Sentenza n. 23940 del 12/10/2017).

Le suddette carenze estreme non sono affatto ravvisabili nella motivazione della decisione impugnata, la quale ha esaustivamente esposto le ragioni per le quali ha ritenuto che il licenziamento intimato in data 24.1.2019 e gli atti prodromici hanno avuto ad oggetto anche i precedenti disciplinari del 2018 e li ha considerati elementi costitutivi dell’infrazione disciplinare, così esplicitando i motivi dell’apprezzamento e della condivisione della decisione del Tribunale.

La sentenza impugnata non si è infatti limitata a motivare per relationem richiamando la sentenza di primo grado, ma ha riportato testualmente il contenuto del provvedimento di licenziamento, evidenziandone la sostanziale corrispondenza con la definizione della recidiva contenuta nell’art. 55 quater, comma f-quater del d.lgs. n.165/2001.

Le doglianze dell’Azienda ricorrente si sostanziano dunque nella sollecitazione di un nuovo esame della contestazione disciplinare e del licenziamento, e dunque in una critica del merito della decisione.

10. Il quarto motivo è inammissibile.

11. Questa Corte ha ripetutamente affermato che la facoltà di disporre la compensazione delle spese processuali tra le parti rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, il quale non è tenuto a dare ragione con una espressa motivazione del mancato uso di tale sua facoltà, con la conseguenza che la pronuncia di condanna alle spese, anche se adottata senza prendere in esame l’eventualità di una compensazione, non può essere censurata in cassazione, neppure sotto il profilo della mancanza di motivazione (Cass. S.U. n. 14989 del 2005; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 11329 del 26/04/2019).

 12. Il ricorso va pertanto rigettato.

 13. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente a rifondere le spese del giudizio di legittimità, liquidate in € 200,00 per esborsi ed in € 5000,00 per competenze professionali, oltre al rimborso spese generali nella misura del 15% e accessori di legge, con distrazione in favore dell’Avv. R.R.; dà atto dell’insussistenza dell’obbligo per parte ricorrente, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n.115 del 2002, di versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione integralmente rigettata.