CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 03 dicembre 2020, n. 27765
Tributi – Contenzioso tributario – Procedimento – Sentenza – Motivazione apparente
Rilevato che
la Commissione Tributaria Provinciale accoglieva il ricorso della parte contribuente avverso un provvedimento di erogazione di sanzioni per IRES, IVA e IRAP per gli anni 2007 e 2008 e la Commissione Tributaria Regionale dell’Emilia Romagna respingeva l’appello dell’Agenzia osservando, con riferimento all’atto di irrogazione sanzioni n. THBIRB300013-2012 che «l’Agenzia delle Entrate ha addebitato alla società I. consulting s.r.l. la partecipazione ad una operazione finanziaria con la quale la I. s.p.a. sottoscriveva l’operazione finanziaria imperniata su un bond emesso da una società di diritto olandese per un valore di 18 milioni di euro»;
l’Agenzia delle Entrate proponeva ricorso affidato a due motivi mentre la parte contribuente si costituiva con controricorso e in prossimità dell’udienza depositava memoria insistendo per il rigetto del ricorso.
Ragioni della decisione
Considerato che con il primo motivo d’impugnazione, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., l’Agenzia delle entrate denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 9 del d.lgs. n. 472 del 1997 in quanto per la configurabilità del concorso di persone nell’illecito amministrativo è sufficiente che il concorrente abbia anche solo facilitato la realizzazione della violazione, circostanza di cui non è possibile dubitare nel caso di specie, in cui la parte contribuente ha “seguito” l’aspetto finanziario dell’operazione fraudolenta;
considerato che con il secondo motivo d’impugnazione, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., l’Agenzia delle entrate denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 132 cod. proc. civ. e dell’art. 36 del d.lgs. n. 546 del 1992, perché la sentenza della Commissione Tributaria Regionale avrebbe una motivazione apparente e farebbe riferimento ad un’altra vicenda, limitandosi a rilevare che l’Ufficio non avrebbe provato alcuni fatti riferibili ad una situazione diversa da quella oggetto di lite;
considerato che la parte contribuente, nel controricorso, chiede che, nell’ipotesi di accoglimento del ricorso, dovrebbero essere analizzati i motivi di ricorso della parte contribuente rimasti assorbiti per effetto delle decisioni dei giudici di merito e in particolare riguardo al presunto vizio della sentenza emessa dai giudici per violazione dell’art. 9 del d.lgs. n. 472 del 1997 in relazione all’illegittimità/infondatezza dell’atto di irrogazione delle sanzioni, in quanto emesso in violazione dell’art. 7 del d.l. n. 269 del 2003, e ritenuto che tale doglianza può nella sostanza riqualificarsi come un ricorso incidentale condizionato all’accoglimento nel merito del presente ricorso;
ritenuto preliminarmente che, seguendo l’ordine logicogiuridico delle questioni da trattare di cui all’art. 276 cod. proc. civ., appare opportuno esaminare innanzitutto il secondo dei motivi di ricorso;
considerato, quanto a tale secondo motivo, che, secondo questa Corte:
il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost., individuabile nelle ipotesi – che si convertono in violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4, cod. proc. civ. e danno luogo a nullità della sentenza – di “mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od incomprensibile”, al di fuori delle quali il vizio di motivazione può essere dedotto solo per omesso esame di un “fatto storico”, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia “decisivo” ai fini di una diversa soluzione della controversia (Cass. 23 luglio 2019, n. 19911; Cass. n. 23940 del 2017; Cass. SU n. 8053 del 2014);
in seguito alla riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., disposta dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla I. n. 134 del 2012, non è più deducibile quale vizio di legittimità il semplice difetto di sufficienza della motivazione, ma i provvedimenti giudiziari non si sottraggono all’obbligo di motivazione previsto in via generale dall’art. 111, sesto comma, Cost. e, nel processo civile, dall’art. 132, secondo comma, n. 4, c.p.c. Tale obbligo è violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero essa risulti del tutto inidonea ad assolvere alla funzione specifica di esplicitare le ragioni della decisione (per essere afflitta da un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili oppure perché perplessa ed obiettivamente incomprensibile) e, in tal caso, si concreta una nullità processuale deducibile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c. (Cass. 23 luglio 2019, n. 19911; Cass. n. 22598 del 2018);
considerato che nel caso di specie la CTR non ha raggiunto la soglia del “minimo costituzionale” di motivazione in quanto, come emerge dal confronto con la copertina della stessa sentenza della CTR, dal controricorso e dall’avviso di accertamento – correttamente riportato dal ricorrente in ossequio al principio di autosufficienza – la sentenza: si riferisce ad un altro atto (THBIRB300013-2012 anziché THBIRB300017-2011); afferma che la società contribuente avrebbe partecipato ad una operazione finanziaria con la quale la I. s.p.a. (e non la F. costruzioni s.r.l. come risulta dall’avviso di accertamento) sottoscriveva una operazione finanziaria imperniata su un bond emesso da una società di diritto olandese per un valore di 18 milioni di euro (anziché 14 milioni di euro come risulta dall’avviso di accertamento); non descrive l’illecito vantaggio fiscale che ne sarebbe derivato per la I. s.p.a. (o meglio per la F. costruzioni s.r.I.); non spiega quali sarebbero le conseguenze giuridiche derivanti dalla qualificazione dell’attività della società contribuente quale consulenza anziché quale intermediazione, ossia perché dovrebbe essere lecita l’attività di consulenza (quanto alla fruttuosità di una attività illecita), che è attività intrinsecamente più complessa rispetto a quella di mediazione (che consiste semplicemente nel presentare le parti per concludere una attività illecita) mentre quella di consulenza sarebbe invece illecita; non spiega perché un’attività di consulenza “generica” non potrebbe aver comunque apportato un fattivo contributo causale alla realizzazione dell’attività illecita o per lo meno averla facilitata;
considerato che, anche in relazione alla complessità e all’importanza economica della lite, che avrebbero consigliato una descrizione della fattispecie e una motivazione ben più articolate, non si ritiene raggiunto il suddetto “minimo costituzionale” di motivazione, in particolare perché non vi è alcuna certezza che la Commissione Tributaria Regionale avesse effettiva consapevolezza di aver ricondotto l’effettiva fattispecie concreta oggetto del suo esame alle oltretutto fumose e scarne motivazioni svolte.
Ritenuto pertanto che, in accoglimento del secondo motivo di impugnazione e assorbito il primo, nonché – riqualificando la doglianza della parte ricorrente relativa alla riproposizione delle questioni rimaste assorbite per effetto delle decisioni dei giudici di primo e secondo grado quale ricorso incidentale condizionato – assorbito il motivo contenuto nel ricorso incidentale condizionato, il ricorso dell’Agenzia delle entrate va accolto e la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla Commissione Tributaria Regionale dell’Emilia Romagna, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio.
P.Q.M.
accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale dell’Emilia Romagna, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
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