CORTE di CASSAZIONE – Sentenza n. 20577 depositata il 17 luglio 2023
Tributi – Avviso di accertamento – IRPEF – Tassazione maggiori ricavi – Illeciti fiscali internazionali – Dividendi società estera – Notificazione non perfezionata – Accoglimento
Fatti di causa
1. Con avviso di accertamento n. (…), l’Agenzia delle Entrate – Direzione provinciale di Teramo accertava, nei confronti di T.P., per l’anno d’imposta 2006, una maggiore IRPEF per Euro 144.416,00, oltre addizionali, interessi e sanzioni. Tale avviso veniva emesso a seguito di indagini finanziarie, all’esito delle quali si procedeva al recupero a tassazione di maggiori ricavi per Euro 247.504,00, nonché su impulso della Direzione centrale accertamento – Ufficio centrale per il contrasto agli illeciti fiscali internazionali, sulla base di una segnalazione da parte del Regno di Spagna in merito alla percezione, da parte del contribuente, di dividendi della società estera P. S.L. nel corso del 2006 per Euro 135.675,00.
2. Avverso tale avviso di accertamento il contribuente proponeva ricorso dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Teramo la quale, con sentenza n. 217/01/2012, lo dichiarava inammissibile per tardività.
3. Interposto gravame dal contribuente, la Commissione tributaria regionale dell’Abruzzo, con sentenza n. 742/05/2014, pronunciata il 19 giugno 2014 e depositata in segreteria l’11 luglio 2014, in riforma della sentenza impugnata, dichiarava non imponibile la somma di Euro 135.675,00 per l’anno d’imposta 2006, confermando nel resto l’avviso di accertamento impugnato, e compensando le spese di entrambi i gradi di giudizio.
4. Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione l’Agenzia delle Entrate, sulla base di tre motivi.
Non si è costituito il contribuente T.P..
5. All’udienza pubblica del 22 febbraio 2023 il consigliere relatore ha svolto la relazione ed il P.M. ed i procuratori delle parti hanno rassegnato le proprie conclusioni ex art. 23, comma 8bis, d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, conv. in l. 18 dicembre 2020, n. 176.
Ragioni della decisione
6. Il ricorso in esame è affidato, come si è detto, a tre motivi.
6.1. Con il primo motivo di ricorso l’Agenzia delle Entrate eccepisce violazione e falsa applicazione dell’art. 21 d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, e dell’art. 60, comma 1, lett. e) del D.P.R. n. 29 settembre 1973, n. 600, in relazione all’art. 360, comma 1, num. 3, c.p.c..
Deduce, in particolare, l’Ufficio impositore che la C.T.R. aveva errato nel ritenere tempestiva l’impugnazione dell’avviso di accertamento, considerando quale dies a quo, per il computo dei termini, la data del 31 gennaio 2012, in quanto la notifica dell’atto era stata effettuata mediante deposito presso la casa comunale ai sensi del predetto art. 60, comma 1, lett. e), D.P.R. n. 600/1973, e quindi la notifica si sarebbe perfezionata entro otto giorni dal deposito, e cioè il 28 gennaio 2012, ragion per cui il ricorso in primo grado (notificato il 2 aprile 2012) era da considerare tardivo.
6.2. Con il secondo motivo di ricorso la ricorrente eccepisce la nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione degli artt. 36 e 61 del d.lgs. n. 546 del 1992 e dell’art. 132 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, num. 4), dello stesso codice.
Sostiene, in particolare, l’Agenzia delle Entrate che la sentenza impugnata era gravemente viziata per motivazione apparente, in quanto non indicava compiutamente le ragioni del proprio convincimento, limitandosi ad affermare genericamente le ragioni del contribuente.
6.3. Con il terzo motivo di ricorso, infine, si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 10 e 22 della l. 29 settembre 1980, n. 663, nonché dell’art. 2 del d.p.r. 22 dicembre 1986, n. 917, in relazione all’art. 360, comma 1, num. 3, c.p.c..
Sostiene, in particolare, l’Agenzia delle Entrate che la C.T.R. avrebbe errato nel ritenere non dovuta alcuna imposta in Italia sui dividendi percepiti dal contribuente quale socio della società spagnola P. 47 S.L., essendo stata applicata la ritenuta del 15% in Spagna, in quanto tali dividendi erano comunque assoggettabili ad imposizione in Italia, sia pur detraendo la percentuale di imposte applicata nello stato iberico.
7. Così riassunti i motivi di ricorso, osserva la Corte quanto segue.
7.1. Il primo motivo deve ritenersi infondato.
Giova rammentare che la notificazione degli avvisi e degli atti tributari impositivi va eseguita ai sensi dell’art. 140 c.p.c. solo ove sia conosciuta la residenza o l’indirizzo del destinatario che, per temporanea irreperibilità, non sia stato rinvenuto al momento della consegna dell’atto, mentre va effettuata ex art. 60, comma 1, lett. e), D.P.R. n. 600/1973, quando il notificatore non reperisca il contribuente perché trasferitosi in luogo sconosciuto, sempre che abbia accertato, previe ricerche, attestate nella relata, che il trasferimento non sia consistito nel mero mutamento di indirizzo nell’ambito dello stesso Comune del domicilio fiscale (Cass. 8 marzo 2019, n. 6765; Cass. 15 marzo 2017, n. 6788).
Orbene, questa Corte, affrontando il tema delle modalità che il messo notificatore o ufficiale giudiziario devono seguire per attivare in modo rituale il meccanismo notificatorio di cui al art. 60, comma 1, lett. e), del D.P.R. n. 600/1973, in caso di irreperibilità assoluta del contribuente, ha ritenuto che il messo notificatore, prima di procedere alla notifica, deve effettuare nel Comune del domicilio fiscale dello stesso le ricerche volte a verificare la sussistenza dei presupposti per operare la scelta, tra le due citate possibili opzioni, del procedimento notificatorio onde accertare che il mancato rinvenimento del destinatario dell’atto sia dovuto ad irreperibilità relativa ovvero ad irreperibilità assoluta in quanto nel Comune, già sede del domicilio fiscale, il contribuente non ha più né abitazione, né ufficio o azienda e, quindi, mancano dati ed elementi, oggettivamente idonei, per notificare altrimenti l’atto. In sostanza, il messo o l’ufficiale giudiziario che procedono alla notifica devono pervenire all’accertamento del trasferimento del destinatario in luogo sconosciuto dopo aver effettuato ricerche nel Comune dov’e’ situato il domicilio fiscale del contribuente, per verificare che il suddetto trasferimento non si sia risolto in un mero mutamento di indirizzo nell’ambito dello stesso Comune. Con riferimento alla previa acquisizione di notizie e/o al previo espletamento delle ricerche, nessuna norma prescrive quali attività devono esattamente essere a tal fine compiute, né con quali espressioni verbali ed in quale contesto documentale deve essere espresso il risultato di tali ricerche, purché emerga chiaramente che le ricerche sono state effettuate, che sono attribuibili al messo notificatore e riferibili alla notifica in esame. Pertanto, in definitiva, in tema di notificazione degli atti impositivi, prima di effettuare la notifica secondo le modalità previste dal d.p.r. n. 600 del 1973, art. 60 comma 1, lett. e), in luogo di quella ex art. 140 c.p.c., il messo notificatore o l’ufficiale giudiziario devono svolgere ricerche volte a verificare l’irreperibilità assoluta del contribuente, ossia che quest’ultimo non abbia più né l’abitazione né l’ufficio o l’azienda nel Comune già sede del proprio domicilio fiscale (Cass. 21 febbraio 2020, n. 4657; Cass. 8 marzo 2019, n. 6765; Cass. 7 febbraio 2018, n. 2877).
Nel caso di specie, tale attività di ricerca non risulta effettuata, e pertanto non può parlarsi di irreperibilità assoluta del contribuente; conseguentemente, la notificazione non può dirsi perfezionata ai sensi del più volte citato art. 60, comma 1, lett. e), D.P.R. n. 600/1973, mentre invece può dirsi perfezionata in data 31 gennaio 2012, quando il contribuente ha ritirato il plico presso la casa comunale. Correttamente, quindi, la C.T.R. ha ritenuto il ricorso (notificato il 2 aprile 2012) tempestivo.
7.2. Anche il secondo motivo è infondato.
La sentenza impugnata, invero, non può dirsi contenga una motivazione apparente, in quanto la C.T.R. ha ben spiegato: a) che la notificazione del ricorso era, per l’appunto, tempestiva, in quanto la notificazione dell’avviso di accertamento si era perfezionata il 31 gennaio 2012; b) che, a suo avviso, l’importo della ritenuta effettuata in Spagna sui dividendi percepiti dal sig. T. fosse esaustivo dell’imposizione riguardante tali dividendi, e che quindi questi non potessero essere assoggettati ad ulteriore imposizione in Italia.
7.3. Il terzo motivo di ricorso deve invece ritenersi fondato.
Ed invero, l’art. 10, comma 1, della Convenzione tra l’Italia e la Spagna per evitare le doppie imposizioni in materia di imposte sul reddito e per prevenire le evasioni fiscali, con protocollo aggiuntivo, firmata a Roma l’8 settembre 1977 e ratificata in Italia con l. 29 settembre 1980, n. 663, stabilisce che “i dividendi pagati da una società residente di uno Stato contraente ad un residente dell’altro Stato contraente sono imponibili in detto altro Stato”.
La regola generale, dunque, risiede nel fatto che le tasse debbano essere applicate dallo Stato dove risiede il beneficiario dei dividendi societari (che nella specie è l’Italia, ove risiede il sig. T.).
Tale regola è tuttavia corretta da quella di cui al successivo comma 2 dello stesso art. 10, in base al quale “(…) tali dividendi possono essere tassati nello Stato contraente di cui la società che paga i dividendi è residente ed in conformità alla legislazione di detto Stato, ma, se la persona che percepisce i dividendi ne è l’effettivo beneficiario, l’imposta così applicata non può eccedere il 15 per cento dell’ammontare lordo di tali dividendi”.
Il sistema che ne deriva è pertanto il seguente: il principio generale è che le imposte sui dividendi si pagano presso lo Stato di residenza del beneficiario, ma esse possono anche essere pagate presso lo Stato dove si trova la società che produce i dividendi, col solo limite che, in tal caso, l’imposta non può eccedere il 15%.
Questo limite riguarda solo l’imposizione nello Stato dove nasce il dividendo, e non è certo un limite assoluto, in quanto resta il potere impositivo generale, e prevalente, dello Stato dove risiede il beneficiario dei dividendi: il comma 2 non deroga al comma 1 dell’art. 10, nel senso che ne modula solo l’operatività, affermando in sostanza che la tassazione nello Stato dove risiede il beneficiario dei dividendi deve tenere conto della imposizione sui dividendi già applicata, nella misura massima del 15 %, nello Stato dove si trova la società produttrice dei dividendi.
In tal modo si evita la “doppia imposizione”, obiettivo di ordine generale della legislazione internazionale cui è ispirata anche la citata Convenzione italia – Spagna.
Tale sistema è poi confermato dall’art. 22 della stessa Convenzione, il quale appunto detta la disciplina per eliminare la doppia imposizione. In particolare, per quanto concerne l’Italia, la disciplina è fissata dal comma 2: “Se un residente dell’Italia possiede elementi di reddito che sono imponibili in Spagna, l’Italia, nel calcolare le proprie imposte sul reddito specificate nell’art. 2 della presente Convenzione, può includere nella base imponibile di tali imposte detti elementi di reddito, a meno che espresse disposizioni della presente Convenzione non stabiliscano diversamente. In tal caso, l’Italia deve dedurre dalle imposte così calcolate l’imposta sui redditi pagata in Spagna, ma l’ammontare della deduzione non può eccedere la quota di imposta italiana attribuibile ai predetti elementi di reddito nella proporzione in cui gli stessi concorrono alla formazione del reddito complessivo”.
Pertanto, in presenza di elementi di reddito imponibili in Spagna, si prevede che tali elementi possano essere considerati anche in Italia, con l’accorgimento però che l’imposta pagata in Spagna va dedotta da quelle da pagare in Italia. In quest’ultima ipotesi, la deduzione non può tuttavia finire per neutralizzare l’imposta dovuta in Italia in rapporto al reddito complessivo conseguito in Italia.
L’interpretazione accreditata dalla C.T.R. dell’Abruzzo, secondo la quale l’imposta pagata in Spagna escluderebbe qualsiasi imposizione in Italia, è quindi completamente errata, avendo finito per eliminare del tutto l’imposizione in Italia. Dal divieto di “doppia imposizione” si è passati ad un vero e proprio beneficio fiscale per il T., che su quei dividendi ha subito una tassazione del solo 15%, inferiore a quella stabilita in Italia.
8. La sentenza impugnata deve quindi essere cassata, con riferimento al terzo motivo di ricorso, con rinvio a nuovo giudizio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado dell’Abruzzo, in diversa composizione, la quale si atterrà al seguente principio di diritto: “nel caso di redditi provenienti da dividendi percepiti da società di diritto spagnolo, le imposte sui dividendi si pagano presso lo Stato di residenza del beneficiario, ma esse possono anche essere pagate presso lo Stato dove si trova la società che produce i dividendi, col solo limite che, in tal caso, l’imposta non può eccedere il 15%, e tale imposta va poi detratta dall’eventuale maggiore imposta da pagarsi in Italia”.
Il giudice del rinvio provvederà anche alla regolamentazione delle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
Accoglie il terzo motivo di ricorso; rigetta il primo e secondo motivo di ricorso.
Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia per nuovo giudizio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado dell’Abruzzo, in diversa composizione, la quale provvederà anche alla regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.