Corte di Cassazione, sentenza n. 22692 depositata il 26 luglio 2023
AVVISO DI ACCERTAMENTO – il limite di responsabilità dei soci ex art. 2495, secondo comma, cod. civ. non incida sulla loro legittimazione processuale, ma, al più, sull’interesse ad agire dei creditori sociali, interesse che, tuttavia, non è di per sé escluso dalla circostanza che i soci non abbiano partecipato utilmente alla ripartizione finale, potendo, ad esempio, sussistere beni e diritti che, sebbene non ricompresi nel bilancio di liquidazione della società estinta, si sono trasferiti ai soci – la legittimità della pretesa azionata dall’ufficio fiscale nei confronti dell’ex socio della società cancellata, rimarcando «l’interesse dell’Agenzia a procurarsi un titolo nei confronti dei soci, in considerazione della natura dinamica dell’interesse ad agire che rifugge da considerazioni statiche allo stato degli atti»
FATTI DI CAUSA
1. A seguito di verifica fiscale nei confronti della società L. s.r.l., con sede in Latina, l’Agenzia delle entrate emetteva avviso di accertamento n. TKF031200228, con il quale venivano recuperati a tassazione, nei confronti della suddetta società, costi ritenuti non giustificati (in assenza di adeguata documentazione contabile) per € 443.062,00, per l’anno d’imposta 2008.
Poiché nelle more dell’emissione dell’avviso di accertamento suddetto la società veniva cancellata dal registro delle imprese, l’atto impositivo veniva notificato a L.L., quale ultimo amministratore della società, nonché ai soci S.G. e S.M., coobbligati ai sensi dell’art. 2495, secondo comma, cod. civ.
2. Contro il predetto avviso di accertamento S.G. proponeva ricorso dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Latina la quale, con sentenza n. 250/03/2013, depositata il 13 giugno 2013, lo accoglieva, compensando le spese di lite.
3. Interposto gravame dall’Ufficio, la Commissione tributaria regionale del Lazio – sezione staccata di Latina, con sentenza n. 8982/40/2016, pronunciata il 7 dicembre 2016 e depositata in segreteria il 22 dicembre 2016, accoglieva l’appello dell’Amministrazione finanziaria, rigettando il ricorso proposto in primo grado, e condannando il contribuente alla rifusione delle spese di lite.
4. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione G.S., nella qualità di erede di S.G. (nelle more deceduto), sulla base di sei motivi.
Resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate.
5. All’udienza pubblica del 14 marzo 2023 il consigliere relatore ha svolto la relazione ed il P.M. e le parti hanno rassegnato le proprie conclusioni ex 23, comma 8-bis, d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, conv. in l. 18 dicembre 2020, n. 176.
RAGIONI DELLA DECISIONE
6. Il ricorso, come si è detto, è affidato a sei motivi.
6.1 Con il primo motivo di ricorso il ricorrente eccepisce nullità della sentenza per violazione dell’art. 31 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, in relazione all’art. 360, primo comma, num. 4), cod. proc. civ.
Sostiene, in particolare, il sig. Salerno che tra la data di comunicazione, via p.e.c., del giorno dell’udienza di trattazione, e l’udienza stessa, erano decorsi meno di trenta giorni, per cui tale comunicazione era intempestiva, non essendo stato osservato il termine di trenta giorni liberi prima dell’udienza; anche tra la data dell’udienza di trattazione, e la data dell’udienza alla quale questa era stata rinviata, erano decorsi meno di trenta giorni, e quindi la violazione persisteva.
6.2 Con il secondo motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione degli 2495, secondo comma, cod. civ. e 36, terzo comma, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, e 2697 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, num. 3), cod. proc. civ.
Rileva, in particolare, il ricorrente che non vi erano i presupposti per affermare la responsabilità del socio per i debiti sociali, in quanto mancava la deduzione e la prova della concreta distribuzione e percezione di somme di denaro da parte del socio, la cui entità costituiva il limite della eventuale responsabilità dello stesso.
6.3 Con il terzo motivo di ricorso il ricorrente eccepisce nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, num. 4), dello stesso codice.
Sostiene, in particolare, il sig. Salerno che la C.T.R. avrebbe sostanzialmente integrato la motivazione dell’avviso di accertamento, affermando che il bilancio finale di liquidazione (chiuso a zero) della società L. s.r.l. non sarebbe stato veritiero, e che quindi vi sarebbe stata una distribuzione di somme ai soci, della quale non vi è cenno nell’avviso di accertamento.
6.4 Con il quarto motivo di ricorso si eccepisce violazione e falsa applicazione degli 2495, secondo comma, cod. civ. e 36, terzo comma, del d.P.R. n. 602/1973, nonché dell’art. 19 del d.lgs. 26 febbraio 1999, n. 46, in relazione all’art. 360, primo comma, num. 3), cod. proc. civ.
Deduce, in particolare, il ricorrente che la sentenza della C.T.R. aveva attribuito rilevanza all’intera pretesa creditoria, compreso l’I.V.A., nel mentre né l’art. 2495 cod. civ. né l’art. 36 del d.P.R. n. 602/1973 avrebbero potuto trovare applicazione con riferimento a tale imposta, in quanto, nel caso di specie, vi era un maggiore imponibile accertato in ragione di costi ritenuti non documentati, a fronte dei quali, non trattandosi di fatture “attive”, ma “passive”, non vi era stato un incasso di I.V.A. da versare all’erario e distribuita ai soci, ma semmai un’I.V.A. che era stata pagata al fornitore.
6.5 Con il quinto motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione degli 2, comma 2, 8 del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, e 7, comma 1, del d.l. 30 settembre 2003, n. 269, conv. dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, in relazione all’art. 360, primo comma, num. 3), cod. proc. civ.
Sostiene, in particolare, il ricorrente che la sentenza impugnata era errata, nella parte in cui aveva confermato la legittimità dell’avviso di accertamento, anche con riferimento alle sanzioni ivi previste, che invece erano intrasmissibili ai successori della società.
6.6 Con il sesto motivo di ricorso il ricorrente eccepisce, infine, nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, num. 4), cod. proc. civ., per non essersi la corte regionale pronunciata in punto di intrasmissibilità delle
7. Così riassunti i motivi di ricorso, la Corte osserva quanto
7.1 Il primo motivo è infondato.
Il ricorrente eccepisce la nullità della sentenza impugnata, in quanto la C.T.R. non avrebbe rispettato il termine di trenta giorni liberi tra la data di comunicazione del giorno dell’udienza di trattazione (13 ottobre 2016) e l’udienza stessa (9 novembre 2016), in violazione dell’art. 31 del d.lgs. 546/1992.
Orbene, va rilevato, innanzitutto, che l’udienza di trattazione, all’esito della discussione, è stata rinviata alla data del 7 dicembre 2016 (in cui è stata pronunciata la sentenza), e quindi il termine di trenta giorni liberi prima è stato comunque rispettato rispetto a tale ultima data.
In ogni caso, ai sensi dell’art. 157, secondo comma, cod. proc. civ. (applicabile al processo tributario in virtù del rinvio di cui all’art. 1, comma 2, d.lgs. n. 546/1992) affinché sussista l’obbligo del giudice di esaminare l’eccezione di nullità relativa ad un atto processuale, è necessario che la deduzione della medesima avvenga nella prima istanza successiva all’atto viziato o alla notizia di esso, restando altrimenti sanata e non potendo più essere eccepita dalla parte che, non opponendosi alla prima difesa successiva all’atto, ha implicitamente rinunciato a farla valere (Cass. 19 luglio 2017, n. 17807; Cass. 12 novembre 2008, n. 27026).
Nel caso di specie, non risulta – né il ricorrente allega alcunché in proposito – che, all’udienza di trattazione del 9 novembre 2016 (e quindi quella rispetto alla quale il termine di cui all’art. 31 d.lgs. n. 546/1992 non era stato rispettato) il difensore del ricorrente abbia eccepito la violazione del termine suddetto, così come non risulta, né è stato allegato, che una tale eccezione sia stata formulata nella successiva udienza del 7 dicembre 2016.
Conseguentemente, deve ritenersi che la parte abbia prestato acquiescenza rispetto alla dedotta violazione, che non può, quindi, integrare un motivo di nullità del procedimento, e della sentenza impugnata.
7.2 Anche il secondo motivo è infondato.
Con tale motivo si ripropone, all’attenzione di questa Corte, la questione relativa agli effetti della cancellazione di una società di capitali dal registro delle imprese (art. 2495 cod. civ.), ed in particolare la questione della legittimità dell’atto impositivo che, pur riguardante redditi societari, venga emesso e notificato ai soci della società cancellata, nonché l’ulteriore questione della limitazione della responsabilità del socio.
Sul punto, va rilevato che la società dei cui redditi si tratta, e cioè la L. s.r.l., è stata cancellata dal registro delle imprese – e si è quindi estinta – in data 5 luglio 2010; l’Ufficio ha emesso l’avviso di accertamento impugnato, in relazione ai redditi per l’anno 2008.
Orbene, secondo il ricorrente l’A.F., per potere emettere l’avviso di accertamento in capo al socio, quale successore della società, avrebbe dovuto dimostrare che lo stesso avesse ricevuto, all’esito della liquidazione della stessa, parte dei beni, allegando il bilancio finale di liquidazione, in modo da poter chiamare il socio a rispondere, nei limiti di quanto percepito.
Sul punto, deve innanzitutto osservarsi che nello stesso avviso di accertamento, a pagg. 3-4 (riportata a pagg. 13-14 del controricorso) è chiaramente specificato che l’avviso è emesso nei confronti del socio quale successore ex art. 2495, secondo comma, cod. civ., «nei limiti delle somme ricevute in base ai prospetti finali di liquidazione», ragion per cui la stessa Agenzia delle Entrate era perfettamente consapevole del fatto che, indipendentemente dall’importo complessivo del reddito e delle imposte, così come rideterminati, nei confronti della società, con l’avviso di accertamento, la responsabilità del socio era limitata a quanto percepito in base ai prospetti finali di liquidazione, con la specificazione che, trattandosi di somme relative ad imposte evase, le stesse doveva presumersi che fossero stati ripartite tra i soci in proporzione delle quote di partecipazione.
Orbene, ciò posto, deve evidenziarsi che, secondo un orientamento di questa Corte (Cass. 23 novembre2016, n. 23916; Cass. 26 giugno 2015, n. 13259; Cass. 31 gennaio 2017, n. 2444), a seguito di cancellazione della società dal registro delle imprese consegue: a) la definitiva estinzione dell’ente; b) l’insorgenza di una comunione fra i soci in ordine ai beni residuati dalla liquidazione qualora non fosse stato ripartito l’intero attivo nella fase liquidatoria; c) la successione, in termini giuridici, per l’operare di un meccanismo di tipo “derivativo-successorio” ex art. 110 c.p.c., degli ex-soci nei debiti della società, nei limiti ed alle condizioni previste dalla legge, ossia dall’art. 2495 c.c. (v. anche Cass. 28 settembre 2016, n. 19142; Cass. 26 giugno 2015, n. 13259; Cass. 31 gennaio 2017, n. 2444).
Altro orientamento di questa Sezione, facendo capo alle sentenze delle Sezioni Unite del 12 marzo 2013, nn. 6070 e 6072, che individuano sempre nei soci coloro che sono destinati a succedere nei rapporti debitori già facenti capo alla società cancellata, ma non definiti all’esito della liquidazione, perviene a diverse conclusioni, secondo le quali gli ex soci della società estinta sono successori indipendentemente dalla circostanza che essi abbiano goduto, o no, di un qualche riparto in base al bilancio finale di liquidazione (cfr., Cass. 7 aprile 2017, n. 9094; Cass. 16 giugno 2017, n. 15035; Cass. 21 gennaio 2018 n. 1713).
In particolare, con la sentenza n. 9094 del 2017, questa Corte ha affermato che: «La possibilità di sopravvenienze attive o anche semplicemente la possibile esistenza di beni e diritti non contemplati nel bilancio non consentono, dunque, di escludere l’interesse dell’Agenzia a procurarsi un titolo nei confronti dei soci, in considerazione della natura dinamica dell’interesse ad agire, che rifugge da considerazioni statiche allo stato degli atti».
Questa Corte intende dare continuità a tale ultimo orientamento, anche sulla scorta delle pronunce più recenti, che hanno proprio evidenziato come il limite di responsabilità dei soci ex art. 2495, secondo comma, cod. civ. non incida sulla loro legittimazione processuale, ma, al più, sull’interesse ad agire dei creditori sociali, interesse che, tuttavia, non è di per sé escluso dalla circostanza che i soci non abbiano partecipato utilmente alla ripartizione finale, potendo, ad esempio, sussistere beni e diritti che, sebbene non ricompresi nel bilancio di liquidazione della società estinta, si sono trasferiti ai soci (cfr. Cass. 29 luglio 2022, n. 23730; 28 aprile 2022, n. 13247; Cass. 4 gennaio 2022, n. 2; Cass. 16 gennaio 2019, n. 897; Cass. 5 giugno 2018, n. 14446).
Peraltro, le stesse Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza del 15 gennaio 2021 n. 619, nel condividere la l’orientamento espresso dalla sentenza n. 9094/2017, ha ribadito, con un obiter dictum – svincolato dalla ratio decidendi riguardante il regolamento di giurisdizione – la legittimità della pretesa azionata dall’ufficio fiscale nei confronti dell’ex socio della società cancellata, rimarcando «l’interesse dell’Agenzia a procurarsi un titolo nei confronti dei soci, in considerazione della natura dinamica dell’interesse ad agire che rifugge da considerazioni statiche allo stato degli atti».
Deve concludersi, dunque, che è sempre ammissibile l’accertamento nei confronti dei soci che sono destinati a succedere nei rapporti debitori già facenti capo alla società cancellata, ma non definiti all’esito della liquidazione, indipendentemente dalla circostanza che essi abbiano goduto di un qualche riparto in base al bilancio finale di liquidazione. Peraltro, che i soci abbiano goduto di un qualche riparto in base al bilancio finale di liquidazione, non è dirimente neanche ai fini dell’esclusione dell’interesse ad agire del fisco creditore, potendovi essere la possibilità di sopravvenienze attive, o anche semplicemente la possibile esistenza di beni e diritti non contemplati nel bilancio, per i quali sorge l’interesse dell’Agenzia a procurarsi un titolo nei confronti dei soci.
Tanto premesso, sulla questione della legittimazione degli ex-soci destinati a succedere nei rapporti debitori già facenti capo alla società cancellata, la questione della limitazione della responsabilità dei soci alle sole somme riscosse in sede di liquidazione, non risulta dirimente nel caso di specie, in cui si verte in tema di ricavi occulti e, dunque, non rilevabili documentalmente, ma che, in ragione della ristrettezza della base societaria, si presumono distribuiti a favore dei soci «essendo palese che l’assenza di evidenza contabile di utili non rendeva necessarie particolari rilevazioni ai fini della legittimazione dei soci, né ai fini dei requisiti di cui al d.P.R. n. 602 del 1973, art. 36» [così, Cass. 17 dicembre 2020, n. 28955; Cass. 20 giugno 2019 n. 16546 (in motivazione, p. 3.8); Cass. 14 dicembre 2020 n. 27791 (in motivazione, p. 5.2)].
L’Agenzia delle Entrate, pertanto, era legittimata ad emettere l’avviso di accertamento impugnato nei confronti dei soci della L. s.r.l., quali successori della stessa società, sul presupposto dell’avvenuta distrazione di somme in favore degli stessi soci e della ritenuta non veridicità del bilancio finale di liquidazione, così come ritenuto dalla corte regionale.
7.3 Anche il terzo motivo è infondato.
Sostiene il ricorrente che la C.T.R. avrebbe pronunciato ultra petita, nella parte in cui ha affermato che «l’Ufficio, sulla base della mancata presentazione delle fatture attestanti i costi contabilizzati nel bilancio di esercizio, correttamente ritiene che sia stata operata una distrazione di somme relative alle imposte non pagate refluenti nel reddito dei soci. Stante i tempi molto ravvicinati tra quelli dell’evasione fiscale e quelli della liquidazione e cancellazione della società, tali somme possono considerarsi come anticipi sulla liquidazione spettante ai soci. E’ pertanto fondato ritenere che la quantificazione operata nel bilancio finale di liquidazione chiuso a zero non è stata veritiera».
In particolare, ad avviso del ricorrente, tale motivazione si sostanzierebbe in una integrazione della motivazione dell’accertamento tributario, con particolare riferimento alla circostanza che le relative somme sarebbero state distribuite ai soci come “anticipi sulla liquidazione”, con conseguente (pretesa) non veridicità del bilancio finale di liquidazione.
Deve, in contrario, osservarsi che dall’avviso di accertamento, come riprodotto alle pagg. 13-14 del controricorso, si evince chiaramente che l’accertamento è stato emesso nei confronti dei soci, proprio sul presupposto della non veridicità del bilancio finale di liquidazione, e
dell’avvenuta distribuzione ai soci delle somme relative alle
imposte evase, in proporzione delle quote di partecipazione.
E’ evidente, pertanto, che non vi è stato alcun vizio di ultrapetizione da parte della corte regionale, che si è invece limitata a confermare i presupposti fattuali dell’accertamento.
7.4 Il quarto motivo deve invece ritenersi
Sostiene il ricorrente che, con riferimento all’IVA, non vi sarebbe stato un incasso di imposte non versate, in quanto l’accertamento avrebbe riguardato fatture passive (e quindi ricevute dalla società L. s.r.l.)
Tale questione non risulta posta nei precedenti gradi di merito, in quanto né dalla sentenza impugnata né dal ricorso (che pertanto, sotto questo profilo, pecca anche di non autosufficienza) si evince che esso costituiva uno specifico motivo di ricorso in primo grado; anzi, dal ricorso dinanzi a questa Corte, a pag. 6, vengono indicati i motivi del ricorso in primo grado, tra i quali non è indicato tale specifico motivo riguardante l’IVA.
Il motivo è comunque privo di fondamento.
L’accertamento in oggetto si fonda sul recupero di costi non documentati, tra i quali vi sono anche acquisti con una detrazione d’imposta sul valore aggiunto pari ad € 1.514.998,00, che integra un costo che l’Ufficio ha legittimamente recuperato a tassazione, in quanto relativo ad operazioni inesistenti.
7.5 Il quinto e sesto motivo possono essere esaminati congiuntamente, in quanto strettamente connessi, e sono anch’essi inammissibili.
La questione della intrasmissibilità delle sanzioni risulta anch’essa posta per la prima volta in questa sede, in quanto la parte aveva contestato, con il ricorso originario, soltanto l’insussistenza dell’elemento soggettivo in tema di applicazione delle sanzioni.
Conseguentemente, non può neanche prospettarsi il vizio di omessa pronuncia prospettato con il sesto motivo.
8. Il ricorso deve pertanto essere rigettato.
Le spese di giudizio seguono la soccombenza del ricorrente, secondo la liquidazione di cui al dispositivo.
Ricorrono i presupposti processuali per il pagamento, da parte del ricorrente, di una somma pari al contributo unificato previsto per la presente impugnazione, se dovuto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente alla rifusione, in favore dell’Agenzia delle Entrate, delle spese del presente grado di giudizio, che si liquidano in € 12.000,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Dà atto della sussistenza de presupposti processuali per il pagamento, da parte del ricorrente, di una somma pari al contributo unificato previsto per la presente impugnazione, se dovuto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
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