CORTE di CASSAZIONE, sezione tributaria, ordinanza n. 3292 depositata il 5 febbraio 2024

Tributi – Accertamento tributario – Ripresa a tassazione – Maggiori utili accertati – Socio di SRL – Atto notificato – Delega di firma – Società a ristretta base partecipativa – Non applicabile l’art. 47 TUIR – Inammissibilità

Rilevato

1. Il sig. L.R. era attinto, ai sensi dell’art. 47 TUIR, da ripresa a tassazione in conseguenza dei maggiori utili accertati in capo alla società “(…) Srl” poi fallita e di cui risultava socio con partecipazione al 95% per l’anno d’imposta 2007.

2. Esperita infruttuosamente l’istanza di accertamento con adesione, il contribuente impugnava l’atto impositivo notificatogli svolgendo plurime censure. In particolare, deduceva il difetto di sottoscrizione, la carenza di motivazione, la violazione al divieto di doppia imposizione oltre che l’illegittima attribuzione del contributo previdenziale.

3. I due gradi di merito esitavano in favore dell’Amministrazione finanziaria, venendo respinte le doglianze del contribuente. La CTR, segnatamente, riteneva che l’atto notificato alla società fosse divenuto definitivo per mancata impugnazione sicché, trattandosi di società a ristretta base sociale, legittima era la ripresa a tassazione nei confronti del socio, tanto più maggioritario come nel caso di specie.

4. Quest’ultimo ricorre pertanto per la cassazione della sentenza, affidandosi a cinque motivi di ricorso, cui resiste l’Avvocatura generale dello Stato con tempestivo controricorso; in prossimità dell’adunanza, la parte contribuente ha depositato memoria a sostegno delle proprie ragioni.

Considerato

1. Con il primo motivo il ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione dell’art. 42, co. 1, d.P.R. n. 600/1973 in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3 c.p.c.

1.1 In sostanza lamenta l’illegittimità della sentenza per non aver il Giudice d’appello dichiarato la nullità dell’avviso di accertamento, privo di firma del capo dell’Ufficio o di altro impiegato di carriera direttiva da lui delegato. Contesta il richiamo alla sentenza di questa Corte n. 220/2014, perché afferente ad una fattispecie diversa da quella oggetti di causa (firma illeggibile). Parimenti contesta che l’impiegato sottoscrivente l’avviso possa essere impiegato di carriera direttiva solo perché appartenente alla terza area funzionale, così come il mancato superamento di un concorso pubblico da parte sia del funzionario delegato sia da quello delegante alla luce della dichiarazione di illegittimità costituzionale degli artt. 8, co. 24, d.l. n. 16/2012,  1, co. 14, d.l. n. 150/2013 e 1, co. 8, d.l. n. 192/2014 pronunciata con la sentenza della Corte costituzionale n. 37/2015. Soggiunge che la delega in questione non può essere considerata come un potere di mera firma quanto, a termini dell’art. 17, co. 1-bis, d.lgs. n. 165/2001, una delega di sottoscrizione, implicante un vaglio sul contenuto dell’atto.

2. Il motivo è in parte inammissibile e in parte infondato

2. È inammissibile, perché motivo nuovo, nella parte in cui il contribuente richiama il profilo inerente il mancato superamento del concorso pubblico in relazione alle norme sopra citate, non risultando che detto profilo – non rilevabile d’ufficio – sia stato posti in primo grado, ma solo in appello. La questione sollevata risulta infatti essere posta per la prima volta davanti nel secondo grado e non specificando d’altro canto i ricorrenti nel ricorso di averla fatta valere ab initio (v. al riguardo Cass. 32804/2019, Cass., V, n. 26147/2021).

2.1 In ogni caso il motivo è infondato giacché “La delega alla sottoscrizione dell’avviso di accertamento ad un funzionario diverso da quello istituzionalmente competente ex art. 42 del d.P.R. n. 600 del 1973 ha natura di delega di firma – e non di funzioni – poiché realizza un mero decentramento burocratico senza rilevanza esterna, restando l’atto firmato dal delegato imputabile all’organo delegante, con la conseguenza che, nell’ambito dell’organizzazione interna dell’ufficio, l’attuazione di detta delega di firma può avvenire anche mediante ordini di servizio, senza necessità di indicazione nominativa, essendo sufficiente l’individuazione della qualifica rivestita dall’impiegato delegato, la quale consente la successiva verifica della corrispondenza tra sottoscrittore e destinatario della delega stessa” (Cass. n. 11013 del 2019 e, più recentemente Cass. n. 28850 del 2019 nonché Cass. n. 26397 del 2020, di questa Sezione, non massimata)…[…]… Va inoltre ricordato che “In tema di accertamento tributario, ai sensi dell’art. 42, primo e terzo comma, del d.P.R. n. 600 del 1973, gli avvisi di accertamento in rettifica e gli accertamenti d’ufficio devono essere sottoscritti a pena di nullità dal capo dell’ufficio o da altro funzionario delegato di carriera direttiva, cioè da un funzionario di area terza di cui al contratto del comparto agenzie fiscali per il quadriennio 2002-2005, di cui non è richiesta la qualifica dirigenziale, con la conseguenza che nessun effetto sulla validità di tali atti può conseguire dalla declaratoria d’incostituzionalità dell’art. 8, comma 24, del d.l. n. 16 del 2012, convertito dalla l. n. 44 del 2012” (Cass. n. 5177 del 2020)» (cfr. Cass., V, 4884/2022).

3. Con il secondo motivo di doglianza la parte ricorrente lamenta l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia ex art. 360 n. 5 c.p.c. e che individua nella definitività dell’avviso di accertamento emesso nei confronti della società fallita, non impugnato.

3.1 In sintesi critica la sentenza per non aver la CTR adeguatamente argomentato sull’eccezione svolta e avente ad oggetto l’atto impositivo notificato alla società. Diversamente da quanto ritenuto dal Collegio di riforma, che si era limitato a disattendere le censure svolte dal socio contribuente per aver sic et simpliciter ritenuto il predetto avviso diretto alla società definitivo per mancata impugnazione, afferma che doveva essere riconosciuta al socio la possibilità di contestare le pretese erariali, tenuto conto che il contribuente non aveva partecipato al giudizio sull’avviso diretto alla società.

4. Il motivo è inammissibile sotto un duplice profilo.

4.1 È inammissibile per difetto di autosufficienza e perché non coglie la reale ratio decidendi della decisione impugnata.

4.2 La CTR ha invero disatteso l’impugnazione del contribuente per mancata impugnazione dell’atto presupposto, cioè dell’avviso diretto alla società. Dalla lettura degli atti, ricorso e controricorso, così come dal frontespizio della sentenza impugnata, risulta formalmente impugnato solo l’avviso di accertamento n. (…) diretto al socio, mentre non risulta formalmente impugnato l’avviso n. (…) diretto alla società, e benché allegato al primo. La parte ricorrente non ha contestato tale statuizione della sentenza né dimostrando una previa impugnazione dell’avviso diretto alla società da parte di quest’ultima, né comprovando di aver impugnato anche detto avviso in sede di ricorso introduttivo, trascrivendone il contenuto anche per estratto, limitandosi di contro a rinnovare le censure pretermesse dalla CTR.

4.3 E ciò in disparte il fatto che la doglianza è inammissibile perché “nel vigore del nuovo testo dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. introdotto dal d.l. 22.6.2012, n. 83, convertito con modifiche nella legge 7 agosto 2012, n. 134, non è più configurabile il vizio di contraddittoria motivazione della sentenza, atteso che la norma suddetta attribuisce rilievo solo all’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che sia stato oggetto di discussione tra le parti, non potendo neppure ritenersi che il vizio di contraddittoria motivazione sopravviva come ipotesi di nullità della sentenza ai sensi del n. 4 del medesimo art. 360 c.p.c. (Cass. n. 13928 del 2015; Cass. S.U. n. 8053 del 2014)” (cfr. Cass., V, n. 6796/2020).

5. Con il terzo motivo il ricorrente avanza censura ex art. 360, co. 1, nn. 3 e 4 c.p.c. per violazione dell’art. 112 c.p.c. per aver omesso di pronunciare su uno specifico motivo di appello con il quale si era ribadita l’illegittimità dell’avviso di accertamento per carenza di motivazione.

5.1 In sostanza critica la decisione della CTR nella parte in cui si è limitata ad affermare la definitività dell’atto impositivo diretto alla società, senza indagare la fondatezza della doglianza, per omessa sua impugnazione.

6. Ormai “è pacifico che l’omessa pronuncia su alcuni dei motivi di appello, e, in genere, su una domanda, eccezione o istanza ritualmente introdotta in giudizio, integra una violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., che deve essere fatta valere esclusivamente ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., che consente alla parte di chiedere – e al giudice di legittimità di effettuare – l’esame degli atti del giudizio di merito, nonché, specificamente, dell’atto di appello, mentre è inammissibile ove il vizio sia dedotto come violazione dell’art. 360, comma 1, n. 3 e n. 5, cod. proc. civ. (tra le tante: Cass., Sez. Lav., 27 ottobre 2014, n. 22759; Cass., Sez. 6^-3, 16 marzo 2017, n. 6835; Cass., Sez. 6^-1, 12 ottobre 2017, n. 23930; Cass., Sez. 5^, 23 luglio 2020, n. 15735; Cass., Sez. 5^, 6 agosto 2020, n. 16761; Cass., Sez. 5^, 30 dicembre 2020, n. 29901; Cass., Sez. 6^-5, 25 marzo 2021, n. 8400; Cass., Sez. 6^-5, 29 marzo 2021, nn. 8680, 8682 e 8683). 1.2 Ad integrare gli estremi della omessa pronuncia non basta, però, la mancanza di una espressa statuizione del giudice, essendo necessario che sia completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile in riferimento alla soluzione del caso concreto: il che non si verifica quando la decisione adottata in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte, ne comporti il rigetto, anche se manchi in proposito una specifica argomentazione (Cass., Sez. 5^, 18 ottobre 2021, n. 28718).” (cfr. Cass., V, n. 25223/2022).

6.1 Nella fattispecie in esame deve rilevarsi che la CTR si è pronunciata sulle questioni ritenendole inconferenti e irrilevanti in ragione della ritenuta definitività dell’avviso di accertamento diretto alla società e, quindi, di fatto respingendo i rilievi formulati.

7. Il quarto motivo di ricorso ha ad oggetto l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su alcuni punti decisivi della controversia ex art. 360, co. 1, n. 5 c.p.c..

7.1 Segnatamente critica la sentenza per non aver la CTR reso una sufficiente motivazione sulle prove contrarie addotte dal contribuente per contestare la presunta distribuzione degli utili, tenuto conto della società a ristretta base sociale.

8. La doglianza sconta lo stesso profilo di inammissibilità di cui alla seconda doglianza per essere stata formulata quale vizio di omesso, insufficiente contraddittoria motivazione della sentenza (Cass. n. 13928 del 2015; Cass. S.U. n. 8053 del 2014)” (cfr. Cass., V, n. 6796/2020).

9. Con l’ultima doglianza il contribuente prospetta la violazione e falsa applicazione dell’art. 47, co. 1, TUIR in parametro all’art. 360, co. 1, n. 3 c.p.c.

9.1 In sintesi lamenta l’illegittimità della sentenza nella parte in cui la CTR ha negato l’applicazione delle disposizioni relative alla limitazione della tassazione in capo ai percipienti sul presupposto della mancata prova dei versamenti accertati e dovuti da parte della società.

10. Il motivo è infondato.

In materia questa Corte si è già pronunciata affermando che “come chiaramente già illustrato da questa Corte (Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 26317 del 19.11.2020; Cass. 23.12.2019, n. 34282) quando viene contestata, in caso di società a ristretta base partecipativa, la presunzione di attribuzione ai soci degli eventuali utili extracontabili accertati, non è in alcun modo applicabile (diversamente da quanto sostiene parte della dottrina) il disposto di cui all’art. 47 TUIR, che attiene alla tassazione degli utili distribuiti ai soci, con delibere formali dell’assemblea e, pertanto, non trova applicazione per i redditi extracontabili, che per definizione non risultano menzionati nella contabilità societaria”, poiché “trattandosi di utili ottenuti in evasione di imposta, quindi mai pervenuti nella contabilità societaria in quanto non oggetto di registrazione nelle scritture, né di indicazione in dichiarazione, è chiaro che non vi è alcun obbligo di mitigare una doppia imposizione che non v’è mai stata, non avendo la società dichiarato tali utili extracontabili e quindi avendo essi sfuggita la imposizione a livello societario» (cfr. Cass., V, n. 35293/2022).

Il motivo va pertanto disatteso.

11. Conclusivamente, vanno dichiarati inammissibili il primo, il secondo e il quarto motivo, mentre vanno rigettati gli altri.

123. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili il primo, il secondo e il quarto motivo, mentre rigetta gli altri. Condanna il ricorrente alla rifusione delle spese di lite, che liquida in favore dell’Agenzia delle Entrate in Euro duemilatrecento,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. 115/2002 la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 -bis dello stesso articolo 13, se dovuto.