CORTE di CASSAZIONE – Sentenza n. 22763 depositata il 27 luglio 2023
Tributi – Avviso di accertamento – IVA – IRAP – IRES – Cessione immobili – Rigetto
Fatti di causa
1. L’AGENZIA DELLE ENTRATE notificò ad S.A. un avviso di accertamento con cui ha provveduto a riprese per I.V.A., I.R.A.P. ed I.R.E.S. nei confronti del predetto, nella qualità di amministratore di fatto della C.P.G.I. S.R.L. (d’ora in avanti, breviter, “C.P.”) relativamente all’anno di imposta 2006, conseguenti alla cessione di immobili operata dalla predetta società.
2. Il contribuente impugnò detto provvedimento innanzi alla C.T.P. di Napoli che, con sentenza n. 14939/2016, accolse il ricorso.
3. L’AGENZIA DELLE ENTRATE propose appello innanzi alla C.T.R. della Campania, la quale, con sentenza n. 7415/2018, depositata il 04/09/2018, rigettò il gravame, condividendo le argomentazioni già svolte dalla C.T.P. ritenendo – per quanto in questa sede ancora rileva non raggiunta la prova – il cui onere gravava sull’Ufficio che il S. ricoprisse il ruolo di amministratore di fatto della C.P., (a) per non essere stato “adeguatamente esplicitato dall’Agenzia delle Entrate…quali siano quegli elementi diversi (da quelli già esaminati in primo grado dalla C.T.P. e) tali da far ritenere il contribuente amministratore di fatto” (cfr. motivazione della sentenza impugnata, p. 4), nonché (b) per “la insufficienza (già evidenziata dal GIP presso il Tribunale di S.M.C.V.) degli indizi esibiti a supporto (di tale ricostruzione), che non trovano riscontro in ulteriori elementi il cui onere di acquisizione ed alligazione incombe sull’Ufficio accertatore” e che “sconfessano l’asserito ruolo del S. e, di rimando, privano l’atto impugnato di un elemento costitutivo essenziale, ovvero la corretta individuazione del termine passivo del rapporto impositivo” (cfr. ivi).
4. Avverso tale decisione l’AGENZIA DELLE ENTRATE ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi; è rimasto intimato S.A..
5. La causa è stata quindi calendarizzata per l’odierna udienza pubblica, fissata – in assenza di richiesta di trattazione in presenza – in modalità non partecipata ex d.l. n. 137 del 2020, art. 23 comma 8-bis (cfr. anche il d.l. n. 198 del 2022, art. 8), in prossimità della quale tanto la difesa della parte ricorrente, quanto la Procura Generale hanno depositato, rispettivamente, memoria ex art. 378 c.p.c. e conclusioni scritte.
Ragioni della decisione
1. Con il secondo motivo – da esaminare per primo, per evidente pregiudizialità logica – la difesa erariale si duole (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) della “nullità della sentenza. Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c. e del DLgvo 546 del 1992, art. 36” (cfr. ricorso, p. 11), per avere la C.T.R. reso una motivazione illogica e solo apparente, non comprendendosi “l’iter logico seguito dal giudicante né le concrete ragioni della ritenuta insufficienza delle prove indiziarie, che comunque confermavano la partecipazione del S. alle vicende contestate”.
1.1. Il motivo – che va correttamente riqualificato in termini di lamentato error in procedendo, art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 – è infondato.
1.2. E’ noto che, in seguito alla riformulazione dell’ art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal d.l. n. 83 del 2012, art. 54 conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica del rispetto del “minimo costituzionale” richiesto dalla Cost., art. 111 comma 6, che viene violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero si fondi su un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili, o risulti perplessa ed obiettivamente incomprensibile, purché il vizio emerga dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (Cass., sez. 1, 3/03/2022, n. 7090, Rv. 664120-01; Cass., sez. un., 7/04/2014, n. 8053, Rv. 629830-01).
1.3 In particolare, costituiscono principi consolidati quelli per cui: a) ricorre il vizio di motivazione apparente della sentenza quando essa, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche, congetture (Cass., Sez. 6 1, 1.3.2022, n. 6758, Rv. 66406101; Cass., sez. 1, 30/06/2020, n. 13248, Rv. 658088-01); b) il vizio di motivazione previsto dall’art. 132, comma 2, n. 4 c.p.c. e dalla Cost., art. 111 sussiste quando la pronuncia riveli una obiettiva carenza nella indicazione del criterio logico che ha condotto il giudice alla formazione del proprio convincimento, come accade quando non vi sia alcuna esplicitazione sul quadro probatorio, né alcuna disamina logico-giuridica che lasci trasparire il percorso argomentativo seguito (Cass., Sez. L, 14.2.2020, n. 3819, Rv. 656925-02); c) sotto diverso – ma concorrente, ai fini che in questa sede interessano – angolo prospettico, la sentenza d’appello può essere motivata per relationem a quella di prime cure, purché il giudice del gravame dia conto, sia pur sinteticamente, delle ragioni della conferma in relazione ai motivi di impugnazione ovvero della identità delle questioni prospettate in appello rispetto a quelle già esaminate in primo grado, sicché dalla lettura della parte motiva di entrambe le sentenze possa ricavarsi un percorso argomentativo esaustivo e coerente (Cass., sez. 1, 5/08/2019, n. 20883, Rv. 654951-01).
1.4. Alla luce di quanto precede, dunque, osserva il Collegio come non ricorra, nella specie, il denunziato vizio, avendo la C.T.R. operato una relatio perfecta alla decisione di prime cure, evidenziandone i passaggi motivazionali condivisi e, in ultima analisi, chiarendo le ragioni sottese alla conferma di quel pronunciamento (cfr. anche supra, sub p. 3 dei “FATTI DI CAUSA”). 2. Passando all’esame del primo motivo, con esso parte ricorrente si duole (in relazione all’ art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) della “violazione e/o falsa applicazione dell’art. 654 c.p.p. e dell’art. 16 c.p.c.” (cfr. ricorso, p. 8), per avere la C.T.R. erroneamente escluso, in capo al S., la qualità di imprenditore di fatto della società C.P., sulla base delle risultanze delle decisioni assunte dall’autorità giudiziaria penale, benché non vi possa essere alcun automatismo tra assoluzione in sede penale ed esiti degli accertamenti tributari. 3. Con il terzo motivo parte ricorrente si duole (in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.) della “violazione o falsa applicazione del d.lgs. n. 546 del 1992, art. 7 comma 4, dell’art. 2639 c.c. e dell’art. 2697 cc” (cfr. ricorso, p. 13), per avere la C.T.R. erroneamente escluso, in capo al S., la qualità di amministratore di fatto della società C.P., omettendo di considerare le “circostanze precise e dettagliate relative al ruolo svolto dal Sig. S. nella società C.P.G.I. s.r.l.” (cfr. ivi, p. 9, penultimo capoverso), emergenti dal p.v.c. presente agli atti di causa ed illustrate dettagliatamente (ai fini della specificità del motivo) alle pp. 8 e 9 del ricorso introduttivo del presente grado di giudizio.
3.1. I motivi – suscettibili di trattazione congiunta, per identità delle questioni agli stessi sottese – sono inammissibili.
3.2. Va anzitutto chiarito che il primo motivo, nella parte in cui lamenta la violazione dell’art. 654 c.p.p., non coglie la ratio decidendi della decisione impugnata, non avendo la C.T.R. diversamente da quanto sostenuto dalla difesa erariale predicato alcun effetto automatico, sul presente giudizio, dell’assoluzione maturata dal S. in sede penale. Ed infatti, dalla piana lettura della decisione impugnata si coglie chiaramente che il riferimento ivi contenuto agli esiti di quel procedimento innanzi al Tribunale di S.M.C.V. (il cui G.i.p. ha escluso che l’odierno intimato fosse l’amministratore di fatto della società C.P.) è destinato (solo) ad essere inserito in un più ampio quadro istruttorio (e non già a fondarlo in via esclusiva), in cui la C.T.R. ha ritenuto che gli indizi addotti dall’Ufficio, in mancanza di riscontri esterni (cfr. anche infra, sub p. 4.3 ss.), non sono in grado di assurgere ad elemento di prova (non solo nel processo penale, ma anche) nel processo tributario.
4.1. Tanto premesso, rileva il Collegio come anche la seconda parte del primo motivo, laddove la difesa dell’AGENZIA lamenta la violazione dell’art. 116 c.p.c., ed il terzo motivo siano inammissibili, sotto molteplici profili.
4.1. Le censure mirano, infatti, ad una rivalutazione dei fatti che hanno portato la C.T.R. ad escludere, in capo al S., la qualità di amministratore di fatto della C.P.: sennonché, esula dal vizio di legittimità art. 360 c.p.c., n. 5 qualsiasi contestazione volta a criticare il “convincimento” che il giudice di merito si è formato, ex art. 116, commi 1 e 2, c.p.c., in esito all’esame del materiale probatorio ed al conseguente giudizio di prevalenza degli elementi di fatto, operato mediante la valutazione della maggiore o minore attendibilità delle fonti di prova, essendo esclusa, in ogni caso, una nuova rivalutazione dei fatti da parte della Corte di legittimità (Cass. sez. 3, 1/06/2021, n. 15276, Rv. 661628-01).
4.2. I motivi, peraltro, peccano di specificità ex art. 377, comma 1, n. 6, c.p.c. (arg. da Cass., sez. un., 18/03/2022, n. 8950, Rv. 664409-01), facendosi ivi riferimento a elementi presuntivi (cfr. ricorso, p. 11) e ad “atti istruttori in possesso dell’Ufficio ed acquisiti alla verifica dalla GDF” (cfr. ricorso, p. 14, sub p. 3.2) solo genericamente indicati ma (a) non specificamente individuati né, per quanto concerne i documenti, (b) trascritti, quanto a contenuto, in ricorso né, ancora (c) localizzati, quanto a tempistica e modalità di produzione nei precedenti gradi di giudizio; a ciò aggiungasi che (d) la difesa erariale neppure ha chiarito, in ricorso, quali furono le allegazioni difensive svolte in proposito nei precedenti gradi di giudizio (Cass., sez. 5, 21/05/2019, n. 13625, Rv. 653996-01, nonché Cass. sez. 6-3, 28/09/2016, n. 19048, Rv. 642130-01 e Cass., sez. 3, 26/06/2018, n. 16812, Rv. 64942101. Cfr. anche C.E.D.U., sentenza 28 ottobre 2021, S. ed altri c Italia, nn. 55064/11, 37781/13 e 26049/14).
4.3 La medesima conclusione (di inammissibilità, cioè, delle censure in esame) vale, peraltro, anche avuto riguardo all’unico documento che consente di ritenere soddisfatte tutte le condizioni predette e, cioè, il p.v.c. contenente le dichiarazioni di A.A. (acquirente della totalità delle quote della C.P.), donde dovrebbe trarsi conferma – si opina – del ruolo di amministratore di fatto svolto dal S.. Non ignora, in proposito, il Collegio che il mancato esame di un documento può essere denunciato per cassazione, nel caso in cui determini l’omissione di motivazione su un punto decisivo della controversia e, segnatamente, quando il documento non esaminato offra la prova di circostanze di portata tale da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la ratio decidendi venga sostanzialmente a trovarsi priva di fondamento (cfr., da ultimo, Cass., sez. 6-1, 16/06/2022, n. 19466, Rv. 665333-01): è, tuttavia, proprio l’applicazione del principio che precede a confermare la inammissibilità della censura, giacché – a tutto volere – la “responsabilità” di gestione rappresenta una circostanza, di per sé, pienamente compatibile, quantomeno in astratto, (anche) con la (semplice) attività procuratoria.
4.4. E’ infatti vero che la prova della qualifica di amministratore di fatto può trarsi finanche dal conferimento di una procura generale ad negotia: cionondimeno a tal fine occorre che questa, per l’epoca del suo conferimento e per il suo oggetto, concernente l’attribuzione di autonomi e ampi poteri, sia sintomatica della esistenza del potere di esercitare attività gestoria in modo non episodico o occasionale (Cass. pen., sez. 5, n. 2793 del 22/10/2014, dep. 21/01/2015, Rv. 26263001; Cass. pen., sez. 5, n. 547 del 5/12/2016, dep. 5/01/2017, non massimata). Sennonché, nella specie, al di là delle dichiarazioni riprodotte nel p.v.c. e di cui si è detto, non esistono (o, quantomeno, non sono stati valorizzati in ricorso, ai fini della specificità del motivo, ex art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c.) elementi di riscontro oggettivo (arg. Da Cass., sez. 5, 23/09/2021, n. 25804, Rv. 662451-01), che consentano di conferire alle stesse valore di decisività quanto alla circostanza che il S. sarebbe stato amministratore de facto della C.P..
5. In conclusione il ricorso va rigettato, alcunché dovendosi disporre in relazione al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, essendo rimasto S.A. intimato e non avendo svolto attività difensiva.
5.1 Risultando soccombente una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato, per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non trova applicazione il d.p.r. n. 115 del 2002, art. 13 comma 1-quater.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.