Corte di Cassazione, sentenza n. 23584 depositata il 2 agosto 2023
principio di non contestazione – motivazione apparente
Le ragioni della decisione
1. Con il primo motivo di impugnazione la ricorrente ha eccepito, in relazione al paradigma di cui all’art. 360, primo comma, num. 4, cod. proc. civ., «la nullità della sentenza per motivazione apparente in relazione alla eccepita intassabilità dei rifiuti speciali prodotti all’interno dell’area portuale e autosmaltiti dalla società. Violazione degli artt. 132 c.p.c. e 36 del D. Lgs. 546/1992» (così a pagina n. 13 del ricorso).
L’istante ha premesso che secondo i Giudici d’appello l’esenzione dalla tassazione andrebbe esclusa, in quanto la società non avrebbe mai dimostrato la natura speciale dei rifiuti prodotti all’interno dell’area portuale e tantomeno la circostanza di aver provveduto in autonomia all’autosmaltimento degli stessi.
Ebbene, la società ha ritenuto tali affermazioni «del tutto incomprensibili» ed «in palese contrasto con le risultanze processuali», assumendo di aver dedotto la sussistenza delle predette circostanze «sin dal primo grado di giudizio» (v. pagina n. 15 del ricorso), lamentando sul punto «l’inesistenza della motivazione in quanto i giudici di seconde cure hanno del tutto omesso di indicare i motivi per i quali hanno disatteso le argomentazioni del contribuente (mai contestate dall’ente comunale), senza illustrare il percorso logico-giuridico seguito al fine di pervenire alla decisione» (così a pagina n. 17 del ricorso).
2. Con la seconda censura la società ha eccepito, con riferimento all’art. 360, primo comma, num. 3 cod. proc. civ., la «illegittimità della sentenza impugnata per violazione del principio di “non contestazione” ex art. 115 c.p.c., con riferimento alle circostanze pacifiche in atti relative alla natura ”speciale” dei rifiuti e l’avvenuto autosmaltimento da parte della società» (v. pagina n. 19 del ricorso).
A tal riguardo, la difesa della contribuente, nel segnalare che il suddetto principio opera anche nel processo tributario, in ragione del rinvio operato alle norme del processo civile dall’art. 1, comma 2, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, ha lamentato la sua violazione da parte del Giudice regionale per non aver posto a fondamento della propria decisione le suindicate pacifiche circostanze di fatto.
3. Con la terza doglianza, la ricorrente ha eccepito, in relazione all’art. 360, primo comma, num. 4, cod. proc. civ. la «violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. nella parte in cui i giudici, omettendo di valutare i documenti depositati in giudizio, hanno ritenuto che il contribuente non avrebbe dimostrato la natura speciale dei rifiuti e l’avvenuto autosmaltimento degli stessi» (così a pagina n. 22 del ricorso), rimproverando, al riguardo, la Commissione regionale di non aver esaminato il contratto di appalto, prodotto in giudizio, con il quale era stato affidato al consorzio COSIR il servizio di smaltimento dei rifiuti situati all’interno dell’area portuale, documento questo che dimostrava le predette circostanze esonerative.
4. Con la quarta ragione di impugnazione la contribuente ha dedotto, con riguardo all’art. 360, primo comma, num. 3 cod. proc. civ. «la violazione degli art. 58, comma 1, 60 e 62, commi 1 e 3, del D.lgs. n. 507/1993, dell’art. 7, commi 2, 3, e 4 del D.lgs. n. 22/1997 e dell’art. 184, commi 2, 3 e 4 del D.L.gs. n. 152/2006» (cfr. pagina n. 29 del ricorso).
Sul punto, la difesa della ricorrente ha contestato la decisione impugnata nella parte in cui ha negato la natura di rifiuti speciali sulla base dei criteri della rilevante presenza umana nell’area portuale e della mancanza di un’autorità portuale nel porto di Villasimius, opponendo a tale valutazione il rilievo secondo il quale le citate circostanze non rilevavano al fine di determinare la natura speciale dei rifiuti, dovendo essere considerati tali quelli prodotti dall’attività economica in generale, sottolineando al riguardo che il Comune di Villasimius non aveva mai operato l’assimilazione dei rifiuti prodotti all’interno dell’area portuale a quelli urbani e che la società, proprio in ragione della natura speciale dei rifiuti, aveva provveduto autonomamente allo smaltimento degli stessi, avvalendosi del citato consorzio.
5. Con il quinto motivo di ricorso la società s’è doluta, in relazione al paradigma censorio di cui all’art. 360, primo comma, num. 3 cod. proc. civ., della «violazione dell’art. 15 della Direttiva 2008/98/CE e dell’art. 188 del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, nonchè del principio UE del “chi inquina paga”» (cfr. pagina 28 del ricorso), sostenendo che la commissione tributaria regionale, nel confermare la tassazione delle aree portuali, nonostante la produzione di rifiuti speciali smaltiti dalla società, avesse palesemente violato la normativa comunitaria.
In particolare, l’istante ha segnalato che la specifica tipologia dei rifiuti derivanti dall’attività di gestione del porto di Villasimius sono contemplati dall’art. 184, comma 3, lett. f), d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 come rifiuti speciali, il cui trattamento da parte dei comuni in regime di privativa è subordinato, a mente dell’art. 198, comma 2, lett. e) del citato decreto, alla loro assimilazione ai rifiuti urbani mediante apposita disposizione regolamentare nel rispetto dei criteri qualitativi e quali-quantitativi per l’assimilazione stabiliti dai competenti organi statali (art. 195, co.2, lett. e), aggiungendo che, ai sensi della normativa nazionale, i rifiuti speciali smaltiti secondo la normativa vigente non integrano la base imponibile della tassa in oggetto (art. 14, comma 10, d.l. 6 dicembre 2011, n. 201).
Tutto ciò, per sostenere che la normativa nazionale riconosce in capo ai produttori e detentori di rifiuti speciali la possibilità di autosmaltirli con oneri a proprio carico e con necessaria conseguente esenzione dal pagamento della tassa.
Sotto altro profilo, la ricorrente ha lamentato che la valutazione del Giudice regionale circa la necessità della presentazione della denuncia di autosmaltimento, al fine di poter godere del beneficio dell’esenzione dal pagamento e/o riduzione dell’ammontare della tassa in questione, risulterebbe errata e contraria all’orientamento dei giudici comunitari, in quanto volta a privilegiare la forma rispetto alla sostanza fattuale ed economica della vicenda, senza tacere che l’avvenuto smaltimento dei rifiuti ad opera della società, che mai aveva usufruito del servizio comunale di raccolta, costituiva circostanza ben nota al Comune.
6. Con la sesta ed ultima doglianza l’istante ha lamentato, con riferimento all’art. 360, primo comma, num. 3 cod. proc. civ., la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., in ragione della «omessa pronuncia in merito alla eccepita erronea determinazione delle superfici tassabili come individuate dalla perizia depositata nel corso del giudizio di merito» (cfr. pagina n. 37 del ricorso).
7. I motivi di ricorso non hanno fondamento e vanno, quindi, respinti per le seguenti ragioni.
E ciò, non senza aver prima precisato, anche a fronte del richiamo operato dalla difesa della ricorrente nella memoria ex art. 378 cod. proc. civ., che non può assumere alcuna influenza, ai fini della decisione del presente giudizio, l’ordinanza del 25 gennaio 2022, n. 2242 resa da questa Corte tra le medesime parti.
In siffatta pronuncia, infatti, il ricorso per cassazione proposto dal Comune di Villasimius, in controversia avente ad oggetto l’impugnazione di avviso di accertamento diniego di rimborso per la TARSU/TIA relativa all’anno 2005, è stato rigettato, avendo la Corte ritenuto che fossero infondati i due motivi di impugnazione proposti dall’ente territoriale, ai sensi dell’art. 360, prima comma, num. 5, cod. proc. civ. (per non aver tenuto conto il giudice di appello che la contribuente non aveva stipulato alcun contratto di appalto per il servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti nell’area del porto turistico per l’anno 2005), nonché, a mente dell’art. 360, primo comma, num., 3 cod. proc. civ., in relazione alla dedotta violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 cod. civ. e 115 cod. proc. civ. (per non aver verificato il giudice di appello che la contribuente aveva prodotto in giudizio il piano di raccolta e di gestione dei rifiuti per l’anno 2005).
Sotto il primo profilo, questa Corte ha considerato che «il giudice di appello aveva tenuto conto della lamentata insussistenza di un contratto di appalto che fosse riconducibile alla contribuente nell’anno 2005», mentre, in ordine al secondo aspetto, ha osservato che il menzionato giudice «non si è discostato dai canoni di ripartizione dell’onere probatorio e di disponibilità delle fonti probatorie, avendo ritenuto che l’area portuale fosse esente da TARSU/TIA sulla base di un’analisi della disciplina normativa in materia di Autorità Portuali».
7.1 Risulta, allora, evidente che le ragioni della predetta decisione non possono assumere alcuna incidenza nel presente giudizio e ciò, non solo perché la tassa concerneva altro anno di imposta (2005), ma anche perché la decisione si è basata su questioni di natura meramente processuale, attinenti al dedotto omesso esame di un fatto storico ed al riparto dell’onere probatorio, che consumano la loro efficacia all’interno della relativa vicenda processuale, non avendo questa Corte – diversamente da quanto opinato dalla difesa della ricorrente – accolto l’interpretazione della società in merito alla non tassabilità dell’area portuale gestita dall’istante per avere la stessa provveduto a smaltire in proprio i rifiuti ivi prodotti.
7.2 Va ancora precisato che i temi oggetto di controversia risultano in gran parte omogenei rispetto ad altri giudizi intercorsi tra le medesime parti innanzi a questa Corte, già decisi (tra le varie pronunce), con le sentenze del 4 maggio 2023 n. 11717 e del 13 aprile 2023 n. 9887 e le considerazioni di cui appresso, nel ribadire quanto già osservato e chiarito nelle citate pronunce, aggiungono quanto segue.
8. Il primo motivo di ricorso, costruito sulla dedotta nullità della sentenza in ragione dell’asserita motivazione apparente, incomprensibile e non aderente alle risultanze processuali, non ha pregio.
8.1 Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte si è in presenza di una motivazione apparente allorché la stessa «pur essendo graficamente (e, quindi, materialmente) esistente, come parte del documento in cui consiste il provvedimento giudiziale, non rende tuttavia percepibili le ragioni della decisione, perché costituita da argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere l’iter logico seguito per la formazione del convincimento, di talché essa non consente alcun effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice…., così da non attingere la soglia del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, comma 6 Cost.” (Vedi Cass. 13248 del 2020)» (così, da ultimo, tra le tante, Cass., Sez. V, 8 aprile 2022, n. 11473 e, nello stesso senso, Cass., Sez. VI/I, 1° marzo 2022, n. 6758).
Resta, invece, esclusa [in seguito alla riformulazione dell’art. 360, primo comma, num. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54, comma 1, lett. b) del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, applicabile al caso in esame trattandosi di sentenza emessa dopo il 10 settembre 2012] qualunque rilevanza al semplice difetto di “sufficienza” della motivazione [cfr., su tali principi, anche da ultimo, Cass., Sez. T, 31 gennaio 2023, n. 2689 e, tra le tante, a partire da Cass., Sez. U., 7 aprile 2014, n. 8053, Cass., 1° marzo 2022, n. 6626; Cass., Sez. T., 23 settembre 2022, che richiama Cass., Sez. U. 19 giugno 2018, n. 16159 (p. 7.2.), che menziona Cass., Sez. U. 3 novembre 2016, n. 22232; Cass. Sez. U., nn. 22229, 22230, 22231, del 2016, Cass., Sez. U, 24 marzo 2017, n. 766; Cass., Sez. U., 9 giugno 2017, n. 14430 (p. 2.4.); Cass., Sez. U., 18 aprile 2018, n. 9557 (p. 3.5.), Cass., Sez. U., 27 dicembre 2019, n. 34476 (che cita, in motivazione, Cass., Sez. U., 18 aprile 2018, n. 9558 e Cass., Sez. U., 31 dicembre 2018, n. 33679].
Giova pure ricordare che il giudice del merito non deve dar conto di ogni argomento difensivo sviluppato dalla parte, essendo, invece, necessario e sufficiente, in base all’art. 132, secondo comma, num. 4, cod. proc. civ., che esponga, in maniera concisa, gli elementi in fatto e di diritto posti a fondamento della sua decisione, dovendo in tal modo ritenersi disattesi, per implicito, tutti gli argomenti non espressamente esaminati, ma subvalenti rispetto alle ragioni della decisione (cfr., ex multis, Cass., Sez. VI/T, 2 febbraio 2022, n. 3108, che richiama Cass., Sez. II, 25 giugno 2020, n. 12652; Cass., Sez. I, 26 maggio 2016, n. 10937; Cass., Sez. VI, 17 maggio 2013, n. 12123).
8.2 Ciò posto sul piano dei principi, l’illustrato riepilogo dei contenuti della sentenza impugnata dà conto della sussistenza di un’ampia (in taluni passaggi argomentativi sin’anche sovrabbondante) motivazione, il cui ben comprensibile e lineare nucleo concettuale risiede nell’aver considerato il porto turistico gestito dalla società non sottoposto, ai sensi della legge 28 gennaio 1994, n. 84 e del d.m. 6 aprile 1994 del Ministero dei Trasporti e della Navigazione, ad alcuna autorità portuale e su cui, quindi, opera il generale potere impositivo del Comune, come disciplinato dal regolamento comunale, individuando il presupposto della tassazione, a mente dell’art. 62 lgs. 15 novembre 1993, n. 507, nella detenzione della suddetta area, escludendo che in detto sito si producessero esclusivamente rifiuti speciali e sottolineando, in ogni caso, l’inapplicabilità della rivendicata esenzione e/o riduzione, tenuto conto dell’omessa presentazione della relativa denuncia.
Alla luce di tale apparato argomentativo deve allora convenirsi con rilievo della sussistenza di una motivazione del tutto esaustiva ed intellegibile, laddove il motivo di impugnazione intende far impropriamente transitare, sotto il suddetto profilo, le ragioni di non condivisione della sentenza impugnata, le quali, com’è evidente, non attengono alla sua motivazione.
9. Anche il secondo motivo di impugnazione, con cui l’istante ha invocato il principio di non contestazione circa la natura (speciale) dei rifiuti e l’autosmaltimento degli stessi, non ha fondamento.
9.1 Questa Corte, invero, ha ripetutamente precisato che:
– «la non contestazione, assurta dopo la novellazione dell’art. 115 cod. proc. civ., a principio generale del processo, e come tale suscettibile di essere applicato anche nel giudizio tributario, seppure al netto della specificità dettata dalla non disponibilità dei diritti controversi nel processo de quo, concerne esclusivamente il piano (probatorio) dell’acquisizione del fatto non contestato, ove il giudice non sia in grado di escluderne l’esistenza in base alle risultanze ritualmente assunte nel processo»;
– «inoltre, va altresì considerato che il principio di non contestazione, applicabile anche al processo tributario, trova qui in ogni caso un limite strutturale insito nel fatto che l’avviso di accertamento (o di rettifica) non è l’atto introduttivo del processo quanto piuttosto l’oggetto (immediato), per lo meno nei casi in cui venga in questione la pretesa fiscale in esso riportata, sicché la cognizione del giudice è limitata dai profili che siano stati contestati col ricorso, e anche laddove, in base all’art. 23 del d.lgs. n. 546/1992, l’attenzione sia rivolta […] alle difese dell’amministrazione pubblica resistente, e si intenda sottolineare che la parte resistente deve all’atto della costituzione in giudizio esporre “le sue difese prendendo posizione sui motivi dedotti dal ricorrente”, indicando “le prove di cui intende valersi” e proponendo “altresì le eccezioni processuali e di merito che non siano rilevabili d’ufficio”, non per questo può trascurarsi che l’amministrazione fonda la pretesa su un atto preesistente al processo, nel quale i fatti costitutivi sono stati già allegati in modo ovviamente difforme da quanto dal contribuente ritenuto»;
– «ne consegue che l’onere di completezza della linea di difesa, che in concreto si desume dal suddetto art. 23, per quanto interpretato in coerenza col principio di non contestazione desumibile dall’art. 115 cod. proc. civ., non può essere considerato come base per affermare esistente, in capo all’amministrazione, un onere aggiuntivo di allegazione rispetto a quanto già dedotto nell’atto impositivo […]» (così, da ultimo, Cass., Sez. T, 2 marzo 2023, n. 6268, che richiama Cass. 6 febbraio 2015, n. 2196).
Allo stesso modo, è stato chiarito che «il principio di non contestazione […] non elide l’operatività dell’altro principio – operante sul piano dell’allegazione e collegato alla specialità del contenzioso tributario – secondo cui la mancata presa di posizione sui motivi di opposizione alla pretesa impositiva svolti dal contribuente in linea di subordine non equivale ad ammissione delle affermazioni che tali motivi sostanziano, né determina il restringimento del thema decidendum ai soli motivi contestati, posto che la richiesta di rigetto dell’intera domanda del contribuente consente all’Ufficio impositore, qualora le questioni da quello dedotte in via principale siano state rigettate, di scegliere, nel prosieguo del giudizio, le diverse argomentazioni difensive da opporre alle domande subordinate avversarie (cfr. Cass. 7789/06)» (così Cass., Sez. T. 24 novembre 2022, n. 34707).
9.2 La censura va, quindi, disattesa a monte, appena osservando che la non contestazione non poteva certo assumere incidenza in relazione alla natura dei rifiuti, giacchè essa non costituisce un fatto, ma integra una valutazione, come tale rimessa all’apprezzamento del giudice, mentre la Commissione regionale ha considerato irrilevante l’autosmaltimento, il che svuota di ogni significato l’invocazione del suddetto principio.
9.3 Va, in ogni caso, aggiunto che dai contenuti della sentenza impugnata (v. pagina 2/4) risulta che il Comune aveva insistito nel corso dei due gradi di giudizio sulla sussistenza del presupposto impositivo, considerando il porto turistico ricadente nella privativa comunale ove si producevano rifiuti urbani o assimilati e l’imposta dovuta in ragione del possesso dell’area da parte della contribuente, reputando irrilevante sul piano giuridico che la società, per propria scelta, non utilizzasse il servizio messo a disposizione dell’ente territoriale, per cui anche sotto profilo la censura si rivela priva di
10. Non merita seguito neanche la terza doglianza con la quale è stata dedotta la violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. sul rilievo che il Giudice regionale avrebbe ritenuti non dimostrati la natura speciale dei rifiuti ed il loro smaltimento, benchè la documentazione comprovasse le suddette allegazioni.
10.1 Anche in tale caso, va premesso, sul piano dei principi, che la Corte ha, pure di recente, ribadito ed ulteriormente precisato che in tema di ricorso per cassazione, può essere dedotta la violazione dell’ 115 cod. proc. civ. qualora il giudice, in contraddizione con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove inesistenti e, cioè, sia quando la motivazione si basi su mezzi di prova mai acquisiti al giudizio, sia quando da una fonte di prova sia stata tratta un’informazione che è impossibile ricondurre a tale mezzo, ipotesi questa diversa dall’errore nella valutazione dei mezzi di prova – non censurabile in sede di legittimità – che attiene, invece, alla selezione da parte del giudice di merito di una specifica informazione tra quelle astrattamente ricavabili dal mezzo assunto.
Il tutto, peraltro, a condizione che il ricorrente assolva al duplice onere di prospettare l’assoluta impossibilità logica di ricavare dagli elementi probatori acquisiti i contenuti informativi individuati dal giudice e di specificare come la sottrazione al giudizio di detti contenuti avrebbe condotto a una decisione diversa, non già in termini di mera probabilità, bensì di assoluta certezza (cfr. Cass, Sez. III, 26 aprile 2022, n. 12971).
Ed ancora, sempre in relazione alla previsione dell’art. 115 cod. proc. civ., è stato chiarito che «per dedurre la sua violazione “è necessario denunciare che il giudice non abbia posto a fondamento della decisione le prove dedotte dalle parti, cioè abbia giudicato in contraddizione con la prescrizione della norma”, ossia che abbia “giudicato o contraddicendo espressamente la regola, dichiarando di non doverla osservare, o contraddicendola implicitamente, cioè giudicando sulla base di prove non introdotte dalle parti e disposte invece di sua iniziativa al di fuori dei casi in cui gli sia riconosciuto un potere officioso di disposizione del mezzo probatorio”, mentre “detta violazione non si può ravvisare nella mera circostanza che il giudice abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre», trattandosi di attività consentita dall’art. 116 c.p.c. (v. Cass. n. 11892 del 10/06/2016)”» (così, Cass., Sez. T., 4 giugno 2019, n. 15195 e, nello stesso senso, Cass., Sez. II, 7 gennaio 2019, n. 1229 e Cass., Sez. T, 23 settembre 2019, n. 27983, nonché Cass., Sez. U. civ., 30 settembre 2020, n. 20867, Cass., Sez. VI-I, 23 novembre 2022, n. 34472 ed ancora Cass., Sez. III, 22 marzo 2022, n. 9225, che richiama Cass., Sez. Un., 5 agosto 2016, n. 16598 e Cass., Sez. VI- II, 23 ottobre 2018, n. 26769 del 2018, nonché Cass., Sez. VI/T, 25 gennaio 2022, n. 2242, che richiama pure Cass., Sez. 6^-5, 19 ottobre 2021, n. 28894; Cass., Sez. 6^-5, 28 ottobre 2021, n. 30535).
10.2 Ebbene, nella fattispecie in esame, deve riconoscersi che il Giudice regionale non ha violato le predette disposizioni nella parte in cui ha escluso che nell’area gestita dalla società, stante la rilevante presenza umana, si producessero solo rifiuti speciali e nella parte in cui ha considerato irrilevante l’autosmaltimento degli stessi, operando invece una valutazione circa la debenza della tassa del tutto compatibile con i contenuti della documentazione prodotta ed in particolare con quelli del contratto di appalto concernente lo svuotamento, da parte del Consorzio COSIR, dei cassonetti stradali (come tali destinati a contenere rifiuti considerati non speciali) di proprietà della contribuente ed ubicati all’interno dell’area portuale, sulle cui evidenze la ricorrente ha articolato parte delle ragioni del motivo di impugnazione in esame.
11. Non sussiste nemmeno «la violazione degli 58, comma 1, 60 e 62, commi 1 e 3, del D.lgs. n. 507/1993, dell’art. 7, commi 2, 3, e 4 del D.lgs. n. 22/1997 e dell’art. 184, commi 2, 3 e 4 del D.L.gs. n. 152/2006», di cui al quarto motivo del ricorso.
11.1 Come sopra esposto, il nucleo concettuale di tale doglianza risiede nel rilievo secondo il quale le suddette previsioni non individuano, quali criteri discretivi per definire la natura speciale dei rifiuti, la presenza umana all’interno dell’area o il fatto che detta zona sia sottoposta ad una determinata autorità portuale.
11.2 Va premesso che è pacifico che la controversa in oggetto non concerne il (diverso) servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti prodotti dalle navi e dei residui dei carichi navali, che rientra nella competenza dell’Autorità portuale o, in mancanza, dell’Autorità marittima e per il quale il Comune non ha alcuna potestà impositiva a norma degli artt. 8 e 10 d.lgs. 24 giugno 2003 n. 182, in attuazione della Direttiva n. 2000/59/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio dell’Unione Europea del 27 novembre 2000 in materia di impianti portuali di raccolta per i rifiuti delle navi e residui del carico).
Ciò posto, va osservato che correttamente la Commissione regionale ha affermato la privativa comunale nella gestione del servizio rifiuti solidi urbani nelle aree portuali nella quali – come nelle specie – non sia stata istituita l’Autorità portuale ai sensi dell’art. 6, commi 1 e 8, della l. n. 84 del 1994.
E, del pari, correttamente, «[…] ha ritenuto, da un lato, che un’area portuale sia idonea alla produzione anche di rifiuti urbani o assimilati il cui smaltimento, oggetto di privativa, rientra nelle competenze dei comuni, e dall’altro, che risultasse priva di fondamento normativo la deduzione della contribuente che in un’area portuale si producano soli rifiuti speciali» (così tra le stesse parti Cass., Sez. T, 4 maggio 2023, n. 11717 cit.).
11.3 Più in generale l’ordine di idee espresso dalla contribuente nel motivo in esame non coglie la complessiva ratio decisoria della pronuncia impugnata, ponendo, invece, riduttivamente la sua attenzione solo su di una incidentale ed accessoria (non a caso resa in parentesi) riflessione del Giudice regionale all’interno di una più ampia valutazione dallo stesso operata, fondata sulla considerazione dell’assoggettamento a tassazione, a mente dell’art. 62 d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507, delle aree scoperte utilizzate da una comunità umana che produce rifiuti urbani da smaltire e, soprattutto, trascurando (l’istante) di considerare che la segnalata presenza umana è stata valutata dal Giudice regionale al fine di escludere che nell’area venissero prodotti «solo rifiuti speciali», vale dire a dire per negare la produzione esclusiva di detti rifiuti.
11.4 Ebbene, tale valutazione, non solo corrisponde alla stessa rappresentazione fornita dalla società nella parte in cui ha ricordato, richiamando l’art. 2 del contratto di appalto, che il servizio di gestione e di smaltimento dei rifiuti prevedeva lo svuotamento dei cassonetti stradali, in linea coerente con il genere di rifiuti (urbani) considerati dal Giudice regionale, ma si è uniformata al consolidato indirizzo interpretativo di questa Corte secondo cui «Il presupposto impositivo della TARSU, ai sensi dell’art. 62, comma 1, del d.lgs. n. 507 del 1993 si identifica nell’”occupazione o la detenzione di locali ed aree scoperte a qualsiasi uso adibiti, ad esclusione delle aree scoperte pertinenziali o accessorie di civili abitazioni diverse dalle aree a verde, esistenti nelle zone del territorio comunale in cui il servizio è istituito ed attivato o comunque reso in maniera continuativa nei modi previsti dagli articoli 58 e 59, fermo restando quanto disposto dall’art. 59, comma 4“» (così, tra le tante e da ultimo, Cass., Sez. V, 23 febbraio 2023, n. 5580).
In tale direzione, è stato precisato che «il soggetto che occupa o detiene un’area scoperta, quando produttrice, per presunzione di legge, di rifiuti solidi urbani, è tenuto al pagamento della tassa per il solo fatto della detenzione od occupazione […]» (così, Cass. Sez. T., 23 febbraio 2023, n. 5667), ribadendo, quindi, gli «[…] arresti, che avevano riconosciuto al Comune la legittimazione a chiedere la riscossione della TARSU, a fronte dell’esercizio del servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti in un’area portuale, in ragione della mancata istituzione dell’Autorità portuale (in termini: Cass., Sez. 5^, 16 febbraio 2018, n. 3798; Cass., Sez. 5^, 30 novembre 2018, n. 31058; Cass., Sez. 5^, 16 giugno 2021, n. 17030; Cass., Sez. 6^-5, 16 giugno 2021, n. 17092)» (così Cass., Sez. T, 22 febbraio 2023, n. 5568 e Cass., Sez. T., 23 febbraio 2023, n. 5667 cit.).
Allo stesso modo, la valutazione del Giudice d’appello risulta in linea con il reiterato orientamento giurisprudenziale, che ha ravvisato (in relazione ad area adibita a parcheggio, ma con affermazione di principio esportabile anche nella fattispecie in rassegna) che le aree frequentate da persone sono presuntivamente produttive di rifiuti (cfr. Cass. Sez. T., 18 luglio 2019, n. 19328, che richiama Cass., Sez. V, 13 marzo 2015, n. 5047e Cass., Sez. V, 17 luglio 2017, n. 17311).
In definitiva, «L’art. 62, comma 1, d.lgs. n. 507 del 1993 pone una presunzione legale relativa di produzione di rifiuti, sicchè, al fine dell’esenzione dalla tassazione […], è onere del contribuente indicare nella denuncia originaria o in quella di variazione le obiettive condizioni di inutilizzabilità e provarle in giudizio in base ad elementi obiettivi direttamente rilevabili o ad idonea documentazione (Cass. n. 19469 del 2014)» (così Cass., Sez. T, 16 giugno 2021, n. 17030 cit.).
Del medesimo tenore è l’art. 14, comma 3, d.l. 6 dicembre 2011, n. 201 (convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011 n. 214, secondo cui «Il tributo è dovuto da chiunque possieda, occupi o detenga a qualsiasi titolo locali o aree scoperte, a qualsiasi uso adibiti, suscettibili di produrre rifiuti urbani») in relazione al quale questa Corte ha ribadito che il tributo è dovuto indipendentemente dal fatto che l’utente utilizzi il servizio di smaltimento dei rifiuti, atteso che il presupposto impositivo si identifica con l’espletamento, da parte dell’ente pubblico, di un servizio nei confronti dell’intera collettività e non già in relazione a prestazioni fornite ai singoli utenti, sicché la sola disponibilità dell’area produttrice di rifiuti determina la debenza del tributo, salvo deroghe, riduzioni di tariffe e agevolazioni, per le quali è onere del contribuente dedurre e provare la relativa sussistenza per vincere la presunzione legale di produttività (cfr. Cass., Sez. T., 27 gennaio 2022, n. 2373).
11.5 Va, dunque, osservato che la valutazione della Commissione regionale risulta conforme all’orientamento della Corte secondo cui l’esenzione dal pagamento integra sempre l’oggetto di un’allegazione, il cui onere della prova grava sul contribuente che intende ottenerla, in quanto, se è vero che l’onere della prova dei fatti costituenti fonte dell’obbligazione tributaria grava sull’amministrazione, il diritto all’esenzione va provato dal contribuente, costituendo le esenzioni, anche parziali, eccezioni alla regola generale di pagamento del tributo da parte di tutti coloro che occupano o detengono immobili nelle zone del territorio comunale (v. in termini, tra le tante, Cass, Sez. T., 23 febbraio 2023, 5667; Cass., Sez. T., 27 gennaio 2023, n. 2623; Cass., Sez. V, 7 luglio 2022, n. 21490, che cita Cass., 16 aprile 2019, 10634; Cass., 5 settembre 2016, n. 17622; Cass., 24 luglio 2014, n. 16858; Cass., 6 luglio 2012, n. 11351; Cass., 9 marzo 2012, n. 3756; Cass., 14 gennaio 2011, n. 775).
Per tale via, tanto le deroghe alla tassazione, quanto le riduzioni delle superfici e tariffarie, non operano in via automatica, in base alla mera sussistenza delle previste situazioni di fatto, dovendo, invece, i relativi presupposti essere di volta in volta dedotti nella denuncia originaria o in quella di variazione (cfr., tra le tante, Cass., Sez. V, 7 luglio 2022, n. 21490, che richiama Cass., 13 agosto 2004, n. 15867, cui adde Cass., 17 settembre 2019, n. 23059; Cass., 3 marzo 2010, n. 5036; Cass., 15 aprile 2005, n. 7915; v., altresì, Cass., 23 febbraio 2018, n. 4602; Cass., 13 settembre 2017, n. 21250; Cass., 31 luglio 2015, n. 16235; nonché Cass., 12 dicembre 2019, n. 32741, cit. ed anche Cass., Sez. T., 13 febbraio 2023 n. 4397e Cass. 20 febbraio 2023, n. 5293 ed i riferimenti giurisprudenziali ivi contenuti).
Sulla scorta di tali consolidati principi, quindi, l’accertata, pacifica, assenza di una preventiva dichiarazione da parte della società, volta ad invocare l’esenzione dal pagamento della tassa su delimitate aree occupate dalla stessa, vale ad escludere ulteriormente la fondatezza delle ragioni del motivo di impugnazione.
12. Anche il quinto motivo di doglianza non può essere accolto.
12.1 La prima parte di esso è diretta a lamentare la violazione degli artt. 15 della direttiva 2008/98/CE, 184, comma 3 lett. f), 188, 195, comma 2, lett. e), 198, comma 3 lett. g), del d.lgs 3 aprile 2006, n. 152, 6 e 4 del d.P.R. 27 aprile 1999, n. 158, nonché dell’art. 14, comma 10, del d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, sostenendosi che i rifiuti prodotti dalla società sono speciali, che sono stati smaltiti secondo la normativa vigente e che non vanno a formare la base imponibile della tassa in esame.
Ebbene, sul punto, valgono le osservazioni in precedenza svolte in relazione alla mancata presentazione della dichiarazione concernente le aree ritenute esenti, la cui omissione esclude, per consolidato orientamento di questa Corte, l’operatività del beneficio.
12.2 Né può darsi seguito alle obiezioni svolte dalla difesa della ricorrente nella seconda parte del motivo, con cui ha posto in rilievo l’esigenza di far prevalere «la sostanza fattuale ed economica sulla forma» (v. pagina n. 34 del ricorso) e quindi il dato, conosciuto dal Comune, dell’autosmaltimento dei rifiuti e, con esso, l’applicazione del principio comunitario del «chi inquina paga».
12.3 Alle riflessioni sopra svolte (v. § 11.5.) vanno aggiunte le seguenti considerazioni.
Per quanto nella previsione dell’art. 62 d.lgs. 15 novembre 1992, n. 507 manchi un’esplicita previsione di decadenza dal beneficio per effetto della mancata denuncia, nondimeno tale conseguenza si desume agevolmente dalla stessa previsione della citata disposizione e si ricava altresì da un’interpretazione sistematica della disciplina dell’imposta, risultando, quindi, non impedita dalla predetta assenza di un’espressa statuizione dell’effetto decadenziale.
Muovendo da tale ultimo profilo, si resta nel solco di principi consolidati nel ritenere che un termine possa considerarsi perentorio anche a ragione dello scopo perseguito e della funzione assolta, pur in assenza di un’espressa indicazione della norma (cfr. sul punto, Cass., Sez. U. 23 dicembre 2004, n. 23832; Cass., Sez. T., 9 gennaio 2004, n. 138; Cass., Sez. U. 5 giugno 1998, n. 524; Cass., Sez. I, 6 giugno 1997 n. 5074; con riferimento al d.lgs. n. 504 del 1992, art. 12, c. 2, v. Cass., Sez. V, 30 giugno 2010, n. 15473; Cass., Sez. V, 18 novembre 2009, n. 24301).
Nella materia dei rifiuti il suindicato orientamento della giurisprudenza della Corte sulla necessità della dichiarazione preventiva riposa sugli specifici dati normativi della disciplina TARSU (artt. 62, commi 2 e 3, e 70 d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507), a cui è seguita la disciplina dei rifiuti assimilabili/assimilati, delle superfici di relativa produzione e delle relative discipline regolamentari adottate dai comuni.
Non è possibile in questa sede riepilogare funditus il relativo complesso panorama normativo, potendo solo richiamarsi qualche emblematica, ai fini che occupano, disposizione, come l’art. 7, comma 2, d.P.R. 27 aprile 1999, n. 158 e l’art. 49, comma 14, d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22 concernenti il coefficiente di riduzione della quota variabile della tariffa, per le utenze non domestiche, da determinarsi dall’ente locale in termini proporzionali alle quantità di rifiuti assimilati che il produttore dimostri di aver avviato a recupero ed ancora l’art. 1, comma 649, della legge 27 dicembre 2013, n, 143 sulla riduzione della superfice tassabile che non considera computabili quella parte di essa ove si formano, in via continuativa e prevalente, rifiuti speciali, al cui smaltimento sono tenuti a provvedere a proprie spese i relativi produttori, a condizione che ne dimostrino l’avvenuto trattamento in conformità alla normativa vigente.
Tali norme sono spie di un variegato contesto normativo (primario e regolamentare) volto ad assicurare ai comuni una prevedibile entrata patrimoniale da destinare al servizio pubblico istituito in regime di privativa, che non poteva e non può che fare affidamento sulla dichiarazione del contribuente e sulle procedure, contemplate in sede regolamentare, per riconoscere riduzioni del tributo o della superfice tassabile, ponendosi detta comunicazione da parte dell’interessato volta al conseguimento del beneficio quale elemento costitutivo della funzionalità dell’intero sistema di gestione dei rifiuti, tenuto conto dell’orientamento normativo ispirato al principio della copertura integrale dei costi, come si evinceva – per quanto occupa – ratione temporis dall’art. 65 d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507 (secondo cui «Le tariffe per ogni categoria o sottocategoria omogenea sono determinate dal comune, secondo il rapporto di copertura del costo prescelto entro i limiti di legge […]» e dall’art. 49, comma 2, d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22 (secondo cui «La tariffa è composta da una quota determinata in relazione alle componenti essenziali del costo del servizio, riferite in particolare agli investimenti per le opere ed ai relativi ammortamenti, e da una quota rapportata alle quantità di rifiuti conferiti, al servizio fornito, e all’entità dei costi di gestione, in modo che sia assicurata la copertura integrale dei costi di investimenti e di esercizio»), in termini poi confermati in tema di TARI dall’art. 1, comma, 654 della legge 27 dicembre 2013, n. 147 (secondo cui «In ogni caso deve essere assicurata la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio relativi al servizio […]».
L’obbligo dichiarativo previsto in tema di Tarsu e ribadito in tema di Tari ha così reso legittima (anche) la diretta iscrizione a ruolo per gli importi del tributo conseguenti alla mera liquidazione operata sulla base della dichiarazione (v. art. 72, comma 1, d.lgs. 15 novembre 1993, n. 502).
In tal senso, emblematica è la disposizione 62, comma 2, d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507 secondo cui «Non sono soggetti alla tassa i locali e le aree che non possono produrre rifiuti o per la loro natura o per il particolare uso cui sono stabilmente destinati o perché risultino in obiettive condizioni di non utilizzabilità nel corso dell’anno, qualora tali circostanze siano indicate nella denuncia originaria o di variazione e debitamente riscontrate in base ad elementi obiettivi direttamente rilevabili o ad idonea documentazione».
La testuale previsione dell’esclusione della tassa «qualora» le condizioni oggettive di non assoggettabilità alla tassa siano state dichiarate nella circostanziata e riscontrabile denuncia originaria o di variazione pone – per dettato normativo – una condizione per godere dell’esenzione o – se si vuole – un presupposto costitutivo dell’agevolazione secondo un modello esportabile per identità di ratio e di funzione anche nella diversa ipotesi (quindi rilevante) di cui all’art. 62, comma 3, del medesimo d.lgs.
Chiarissima risulta sul punto la pronuncia di questa Corte del 13 agosto 2004, n. 15867 che, proprio da tale dato normativo e dall’art. 66 del medesimo testo legislativo (che rende applicabili le riduzioni delle superfici e quelle tariffarie con effetto dall’anno successivo a quello in cui è stata presentata la denuncia originaria, integrativa o di variazione), ha dedotto l’univoca volontà legislativa di subordinare le agevolazioni alla presentazione di apposita denunzia da parte del contribuente e non già alla mera esistenza di una situazione di fatto conforme ad una delle previsioni normative, con ciò individuando nella denunzia una conditio sine qua non per escludere dalla tassazione le aree o le superfici improduttive di rifiuti ovvero per ottenere le riduzioni di superfici e tariffarie considerate dall’art. 66, trovando detto meccanismo fondamento logico nel principio di copertura del costo stabilito dall’art. 65 del citato testo normativo, per cui le agevolazioni devono essere di volta in volta dedotte (“nella denuncia originaria” o in quella “di variazione”) e accertate (“debitamente riscontrate”) con un procedimento amministrativo, la cui conclusione deve essere basata su elementi obiettivi direttamente rilevabili o su idonea documentazione.
Lo stesso ragionamento, per analogia di situazione, può essere svolto per la diversa ipotesi di cui al comma 3 dell’art. 62 del citato d.lgs.
In tale direzione, deve considerarsi impedita la possibilità di invocare in sede giudiziale un’agevolazione non precedentemente richiesta, né può valere in tal senso il principio dettato dalle Sezioni Unite di questa Corte con la pronuncia del 30 giugno 2016, n. 13378 poiché si riferisce (in tema di dichiarazione dei redditi) alla possibilità di emenda di una dichiarazione resa, nonchè alla possibilità di opporsi in sede contenziosa, alla maggiore pretesa tributaria dell’amministrazione finanziaria, allegando errori, di fatto o di diritto, commessi nella redazione della dichiarazione, incidenti sull’obbligazione tributaria, postulando quindi sempre e comunque la sussistenza di una dichiarazione (stesse considerazioni valgono per la sentenza delle Sezioni Unite 25 ottobre 2002, n. 15063, che pure ha riguardato l’ipotesi di emendabilità della dichiarazione resa).
In conclusione, anche se la decadenza dal beneficio in questione per omesso adempimento dell’onere informativo non risulti espressamente prevista, essa è chiaramente desumibile dalla previsione dell’art. 62, comma 2, d.lgs. citato, il quale con l’avverbio «qualora», ha indicato una precondizione di natura generale all’ottenimento del beneficio, dovendo altresì osservarsi che la relativa omessa denuncia e dichiarazione interdicono l’agevolazione in ragione di una preclusione di sistema, risultando tali oneri connaturali alla complessiva gestione dei rifiuti in termini funzionali alla copertura preventiva del relativo costo.
Opinare diversamente minerebbe la complessiva logica e la tenuta del sistema gestione dei rifiuti, esponendo i comuni a dover verificare, dopo anni dal periodo impositivo, nell’ambito di svariati ed incerti contenziosi, la sussistenza delle condizioni esonerative o riduttive dell’imposta, con una imprevedibile ricaduta sui non più prevedibili costi di gestione del settore.
Non si tratta, allora, come intende la difesa della ricorrente, di valorizzare un dato meramente formale, ma di considerare che la predetta dichiarazione è funzionale alle verifiche da parte dell’ente impositore circa la sussistenza delle aree sottratte alla tassazione ed al controllo sulla correttezza della rivendicata esenzione, in termini consentanei al regime relativamente presuntivo che governa il tributo in oggetto, commisurando, quindi, la tassa alle particolari condizioni debitamente denunciate.
12.4 Quanto poi alla compatibilità della disciplina in tema di rifiuti con il principio di derivazione comunitaria del «chi inquina paga», va ricordato che questa Corte:
«[…] ha già affermato (Cass. civ. sez. V n. 28676/2018; Cass. civ. sez V n. 2202/2011), che: “in tema di TARSU, la disciplina contenuta nel D.Lgs.15 novembre 1993, n. 507 sulla individuazione dei presupposti della tassa e sui criteri per la sua quantificazione non contrasta con il principio comunitario “chi inquina paga”, sia perché è consentita la quantificazione del costo di smaltimento sulla base della superficie dell’immobile posseduto, sia perché la detta disciplina non fa applicazione di regimi presuntivi che non consentano un’ampia prova contraria, ma contiene previsioni (v. art. 65 e 66) che commisurano la tassa ad una serie di presupposti variabili o a particolari condizioni” […]»;
– ha altresì precisato che «Tali pronunce hanno preso in esame, ritenendoli dirimenti in ordine all’esclusione della violazione del principio in esame, le sentenze CGUE 6.08 in causa C-188/07 e 16. 7.09 in causa C-254/08 […]» e che «nella valutazione di conformità della disciplina nazionale al principio evincibile dall’art.15 lett. a), della direttiva 2006/12 (già desumibile dall’art.11 della direttiva 75/442), la CGUE ha affermato che […] “in definitiva, “il metodo di calcolo basato sulla superficie di immobile posseduto non è, di per sè, contrario al principio “chi inquina paga” recepito dall’art. 11 della direttiva 75/442“» (così Cass. Sez. V, 3 dicembre 2019, n. 31461 e nello stesso senso, da ultimo; Cass., Sez. VI/T, 23 maggio 2022, n. 16556, nonché Cass., Sez. T. 4 maggio 2023, n. 11717).
13. Va rigettato, infine, anche il sesto ed ultimo motivo di doglianza, con il quale la ricorrente si è doluta dell’omessa pronuncia da parte del Giudice regionale sulla dedotta erronea determinazione delle superfici tassabili, come individuate nel corso del giudizio dal consulente tecnico di parte, considerando anche la stagionalità dell’attività di gestione del porto di Villasimius.
La dedotta omissione, infatti, non sussiste, giacchè le suindicate pretese sono da considerarsi implicitamente respinte o – se si vuole – assorbite in senso improprio (cfr. Cass., Sez. L., 22 giugno 2020, n. 12193, che richiama Cass., Sez. I, 27 dicembre 2013, n. 28663 e Cass., Sez. I, 12 novembre 2018, n. 28995) nella valutazione operata, a monte, dal Giudice regionale, con conseguenze anche relativa alla stagionalità, nella parte in cui – come sopra accennato (ma giova riprodurre per intero il passaggio motivazionale) – ha affermato che «per quanto attiene alla quantificazione del tributo grava sull’interessato (oltre all’obbligo di denuncia ai sensi dell’art. 70 del d.lgs. n. 507 del 1993) un onere di informazione, al fine di ottenere l’esclusione delle aree sopradescritte dalla superficie tassabile, ponendosi tale esclusione come eccezione alla regola generale, secondo cui al pagamento del tributo sono astrattamente tenuti tutti coloro che occupano o detengono immobili nel territorio comunale (v. da ultimo, Cass. Sez. 5 -, Ordinanza n. 21250 del 13/09/207 Rv. 645459 -01). E poiché nella specie l’appellata non ha mai dichiarato di produrre rifiuti speciali e non ha mai chiesto la relativa esenzione, ne discende la pretestuosità della relativa deduzione» (v. pagina n. 8/10 della sentenza impugnata).
14. Alla stregua delle complessive riflessioni sopra svolte l’impugnazione va respinta.
15. Non vi è ragione di liquidare le spese del presente grado di giudizio, stante la mancata costituzione del Comune.
16. Nondimeno, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1- quater, d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello eventualmente dovuto per la proposizione del ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1-bis del medesimo decreto.
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso e dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello eventualmente dovuto per la proposizione del ricorso.