CORTE di CASSAZIONE – Sentenza n. 25428 depositata il 29 agosto 2023
Lavoro – TFR – Fondo per l’erogazione ai lavoratori dipendenti del settore privato del trattamento di fine rapporto – Modalità del versamento con cadenza mensile da parte del datore di lavoro – Mese successivo alla consegna da parte del lavoratore del modello TFR1 quale termine per effettuare il versamento del contributo – Prescrizione – Onere della prova della decorrenza del termine di prescrizione a carico del datore di lavoro – Rigetto
Fatti di causa
1.– A V.S.A. s.p.a. è stato notificato l’avviso di addebito n. 33020170002136117000, per il mancato pagamento degl’importi di trattamento di fine rapporto dovuti al “Fondo per l’erogazione ai lavoratori dipendenti del settore privato dei trattamenti di fine rapporto”, istituito dalla legge 27 dicembre 2006, n. 296.
Il Tribunale di Catanzaro ha accolto l’opposizione della società debitrice, osservando che la pretesa è prescritta per il periodo da gennaio 2007 a giugno 2007, in quanto l’unico atto interruttivo è intervenuto il 6 agosto 2012, allorché il termine quinquennale di prescrizione era già infruttuosamente decorso.
Quanto al periodo da luglio 2007 a settembre 2007, il credito è stato soddisfatto e l’eccezione di adempimento formulata dalla debitrice non è stata efficacemente contrastata dall’Istituto.
2.– L’INPS ha interposto gravame.
3.– Con sentenza n. 303 del 2020, depositata il 21 aprile 2020, la Corte d’appello di Catanzaro ha accolto l’impugnazione e, in riforma della pronuncia di primo grado, ha respinto l’originaria opposizione di V.S.A. s.p.a.
3.1.– A fondamento della decisione, la Corte territoriale ha argomentato che la prescrizione decorre dalla scadenza del termine per il versamento degl’importi inerenti al trattamento di fine rapporto, scadenza che s’identifica nel mese successivo alla consegna da parte del lavoratore del modello TFR1.
Ad avviso dei giudici del gravame, il debitore che eccepisce la prescrizione e che la riconnette alla sollecita consegna dei modelli per effettuare i versamenti ha l’onere di dimostrare tale circostanza, che sola è idonea a far decorrere il termine dal mese successivo alla consegna dei modelli. A tale onere la società non ha ottemperato in alcun modo e nessuna allegazione si rinviene nel ricorso di primo grado.
3.2.– Si rivelano generiche, inoltre, le ulteriori deduzioni della società opponente in ordine all’an e al quantum della pretesa avanzata dall’INPS.
4.– V.S.A. s.p.a. ricorre per cassazione contro la sentenza della Corte d’appello di Catanzaro.
5.– L’INPS resiste con controricorso.
6.– Il ricorso è stato fissato per la trattazione alla pubblica udienza del 24 maggio 2023.
La causa è stata trattata in camera di consiglio, senza l’intervento del Procuratore Generale e dei difensori delle parti, in quanto nessuno degl’interessati ha formulato istanza di discussione orale ai sensi dell’art. 23, comma 8-bis, del decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137, inserito dalla legge di conversione 18 dicembre 2020, n. 176 (così come da ultimo prorogato con l’art. 8, comma 8, del decreto-legge 29 dicembre 2022, n. 198, convertito, con modificazioni, nella legge 24 febbraio 2023, n. 14).
7.– Il Pubblico Ministero ha chiesto di rigettare il ricorso.
8.– La parte ricorrente ha depositato memoria illustrativa, ai sensi dell’art. 378, secondo comma, cod. proc. civ.
Ragioni della decisione
1.– Il ricorso di V.S.A. s.p.a. procede per tre motivi.
1.1.– Con il primo mezzo (art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.), la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 1, comma 756, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, del decreto ministeriale 30 gennaio 2007, dell’art. 2935 cod. civ. e dell’art. 2697 cod. civ.
La sentenza impugnata avrebbe disatteso l’eccezione di prescrizione, in violazione dell’inequivocabile disciplina di legge, che imporrebbe ai datori di lavoro di versare mensilmente il contributo di cui alla legge n. 296 del 2006 e individuerebbe il termine per il versamento nel mese successivo alla consegna da parte del lavoratore del modello TFR1. Per questa via, la Corte territoriale avrebbe anche invertito l’onere della prova.
1.2.– Con il secondo motivo (art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.), la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ. per omesso esame della ragione subordinata posta a base del ricorso e riproposta in appello, attinente all’art. 1193 cod. civ.
La Corte territoriale non avrebbe tenuto alcun conto della volontà del debitore, manifestata all’atto del pagamento, d’imputare le somme versate al periodo di luglio, agosto e settembre 2007.
1.3.– Con la terza censura (art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.), la ricorrente lamenta, infine, violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ. per omesso esame della ragione subordinata posta a base del ricorso e riproposta in appello, con riferimento all’irregolarità formale del titolo.
Su tale irregolarità, che denoterebbe un contegno irrispettoso dei canoni di trasparenza dell’azione amministrativa, la Corte territoriale avrebbe omesso di pronunciarsi.
2.– Il primo motivo si rivela in parte infondato e in parte inammissibile.
2.1.– Occorre ricostruire, nei suoi tratti salienti, la disciplina rilevante.
Il legislatore, a far data dal 1° gennaio 2007, ha istituito il «Fondo per l’erogazione ai lavoratori dipendenti del settore privato dei trattamenti di fine rapporto di cui all’articolo 2120 del codice civile», contraddistinto da modalità di finanziamento che rispondono al principio della ripartizione.
Tale fondo è gestito dall’INPS, per conto dello Stato, su un apposito conto corrente aperto presso la tesoreria dello Stato.
L’art. 1, comma 755, della legge n. 296 del 2006 stabilisce che il predetto Fondo garantisca «ai lavoratori dipendenti del settore privato l’erogazione dei trattamenti di fine rapporto di cui all’articolo 2120 del codice civile, per la quota corrispondente ai versamenti di cui al comma 756, secondo quanto previsto dal codice civile medesimo».
L’art. 1, comma 756, primo periodo, della legge n. 296 del 2006, con riferimento ai periodi di paga decorrenti dal 1° gennaio 2007, dispone che il Fondo sia finanziato da « un contributo pari alla quota di cui all’articolo 2120 del codice civile, al netto del contributo di cui all’articolo 3, ultimo comma, della legge 29 maggio 1982, n. 297, maturata a decorrere dalla predetta data e non destinata alle forme pensionistiche complementari di cui al decreto legislativo 5 dicembre 2005, n. 252, ovvero all’opzione di cui al comma 756-bis».
Su tale contributo si controverte nel presente giudizio.
In particolare, viene in rilievo la previsione dell’art. 1, comma 756, secondo periodo, della legge n. 296 del 2006: «Il predetto contributo è versato mensilmente dai datori di lavoro al Fondo di cui al comma 755, secondo le modalità stabilite con il decreto di cui al comma 757».
L’art. 1, comma 757, della legge n. 296 del 2006, prefigura, entro un mese dall’entrata in vigore della legge, l’approvazione di un decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze.
Il decreto ministeriale in questione reca la data del 30 gennaio 2007, è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 1° febbraio 2007, Serie Generale n. 26, ed è intitolato «Modalità di attuazione delle disposizioni di cui all’articolo 1, commi 755 e 756 della legge 27 dicembre 2006, n. 296, relative al Fondo per l’erogazione ai lavoratori dipendenti del settore privato del trattamento di fine rapporto, di cui all’articolo 2120 del codice civile (Fondo tesoreria)».
In forza dell’art. 1 del predetto decreto ministeriale, i datori di lavoro del settore privato, che abbiano alle loro dipendenze almeno cinquanta addetti, assoggettati alla disciplina dell’art. 2120 cod. civ. (comma 5), sono obbligati a versare «un contributo pari alla quota di cui all’art. 2120 del codice civile maturata da ciascun lavoratore del settore privato a decorrere dal 1° gennaio 2007, e non destinata alle forme pensionistiche complementari di cui al decreto legislativo 5 dicembre 2005, n. 252» (comma 1). Sono eccettuati dall’obbligo in esame i datori di lavoro domestico.
Per la riscossione e l’accertamento del contributo «si applicano le disposizioni vigenti in materia di contribuzione previdenziale obbligatoria, con esclusione di qualsiasi forma di agevolazione contributiva» (art. 1, comma 3, del d.m. 30 gennaio 2007).
Il versamento del contributo dev’essere effettuato dai datori di lavoro «mensilmente, salvo conguaglio a fine anno o alla cessazione del rapporto di lavoro, con le modalità e i termini previsti per il versamento della contribuzione previdenziale obbligatoria» (comma 4). La fonte regolamentare, al comma 4, nel sancire i termini per il versamento del contributo, esordisce con la precisazione: «Fermo restando quanto previsto al successivo art. 3».
È proprio tale precisazione che riveste rilievo determinante nella soluzione del caso di specie, poiché regola le modalità del versamento con cadenza mensile.
L’art. 3, comma 1, lettera a), secondo periodo, del d.m. 30 gennaio 2007 disciplina la posizione dei lavoratori, il cui rapporto di lavoro risulti già instaurato alla data del 31 dicembre 2006.
Per coloro che, tra il 1° gennaio 2007 e il 30 giugno 2007, manifestino la volontà di mantenere, in tutto o in parte, il proprio TFR, senza perciò conferirlo a forme pensionistiche complementari, il datore di lavoro è obbligato a versare al Fondo il contributo dovuto «a decorrere dal mese successivo alla consegna da parte del lavoratore del modello TFR1 allegato al decreto ministeriale di cui all’art. 1, comma 765, della predetta legge n. 296 del 2006, per un importo corrispondente alla quota di TFR maturata per il medesimo lavoratore a decorrere dal 1° gennaio 2007, maggiorata delle rivalutazioni riferite alle mensilità antecedenti quella dell’effettivo versamento, ai sensi dell’art. 2120 del codice civile, in ragione del tasso d’incremento del TFR applicato al 31 dicembre 2006, rapportato al periodo intercorrente tra il 1° gennaio 2007 e la data di versamento».
2.2.– La prescrizione del contributo che il datore di lavoro è obbligato a versare al Fondo, in base all’art. 1, comma 756, della legge n. 296 del 2006 e all’art. 1, comma 1, del d.m. 30 gennaio 2007, decorre dal momento in cui scade il termine per pagarlo. Solo da tale scadenza, invero, il diritto può esser fatto valere dal creditore, secondo il disposto generale dell’art. 2935 cod. civ.
Nell’integrare la previsione di legge, la fonte secondaria individua il termine per il versamento del contributo nel «mese successivo alla consegna da parte del lavoratore del modello TFR1» (il richiamato art. 3, comma 1, lettera a, secondo periodo, del d.m. 30 gennaio 2007). È a questo momento, variabile a seconda delle circostanze del caso concreto, che occorre avere riguardo per identificare il dies a quo della prescrizione.
2.3.– Di tale disciplina la Corte territoriale ha fatto buon governo (pagina 8 della sentenza impugnata).
È lo stesso ricorso per cassazione (pagina 5) a confermare che il termine per il versamento decorre dal mese successivo alla consegna da parte del lavoratore del modello TFR1.
È ben vero che il versamento deve avvenire con cadenza mensile, ma sul presupposto che, a monte, il lavoratore abbia di volta in volta consegnato i modelli indicati dalla fonte regolamentare.
Il motivo di ricorso, nel prospettare la violazione della normativa di legge, si rivela, pertanto, infondato.
Infondate si rivelano le censure, anche nella parte in cui adombrano la violazione delle regole che presiedono alla distribuzione dell’onere della prova.
Nel dissentire dalla valutazione espressa dal giudice di prime cure, che aveva fatto gravare sull’INPS l’onere di dimostrare la data di consegna dei modelli TFR1, la Corte d’appello di Catanzaro ha ritenuto correttamente che spetti al debitore, allorché eccepisce la prescrizione, provare i fatti che consentono l’esercizio del diritto e dunque determinano l’inizio della decorrenza del termine.
Nel caso di specie, peraltro, si tratta di fatti, come la consegna dei modelli TFR1 da parte del lavoratore, che si collocano nella sfera di controllo del datore di lavoro e che è dunque agevole, da parte del datore, opporre alla pretesa dell’Istituto.
2.4.– Il motivo è inammissibile, nella parte in cui non si confronta e non si cura di scalfire quello che, della ratio decidendi, rappresenta il caposaldo.
La sentenza impugnata ha rilevato che, a fronte d’una eccezione di prescrizione, incardinata sulla tempestiva consegna dei modelli TFR1, mese per mese, da parte dei lavoratori, la società avrebbe dovuto avvalorare le connesse circostanze di fatto, imprescindibili per l’applicazione della disciplina legale invocata.
Il punto nodale della decisione impugnata attiene, dunque, alla mancanza di prova (e, prima ancora, di circostanziata allegazione) della data di consegna dei modelli TFR1 e dell’anteriorità di tale consegna rispetto al giugno 2007.
Questo dato di fatto è indispensabile per anticipare il decorso del termine rispetto a quello individuato nella sentenza d’appello (cfr., a tale riguardo, pagina 3 delle conclusioni scritte del Procuratore Generale) e per suffragare la prescrizione, secondo le peculiarità delineate a sostegno dell’eccezione.
Le doglianze della ricorrente non indirizzano, contro tali statuizioni, censure provviste del necessario grado di specificità.
Meritano di essere condivisi, pertanto, i rilievi illustrati sia dall’ufficio della Procura Generale (pagina 3 delle conclusioni scritte) sia dall’Istituto (pagina 4 del controricorso). Rilievi che gli argomenti della memoria illustrativa di parte ricorrente non valgono a confutare.
3.– Infondato è il secondo mezzo.
3.1.– La parte ricorrente si duole dell’omessa pronuncia in ordine alle questioni connesse con l’imputazione dei pagamenti, per il periodo da luglio a settembre 2007.
3.2.– Non sussiste il vizio dedotto, per le ragioni di seguito esposte.
La sentenza impugnata ha ponderato le osservazioni dell’odierna ricorrente in ordine all’imputazione dei pagamenti, nel passare in rassegna le argomentazioni addotte dal giudice di primo grado (pagina 4) e nel ripercorrere analiticamente le deduzioni svolte dalla società nel contesto del ricorso introduttivo (pagine 5, 6, 7 e 8).
Con riferimento a tali deduzioni, la Corte territoriale ha reso un’esplicita pronuncia, osservando che le contestazioni della società sono irrimediabilmente generiche in ordine all’an e al quantum (pagina 9 della sentenza impugnata).
Non si ravvisa, pertanto, l’error in procedendo che la Corte d’appello ha denunciato in una prospettiva radicale, stigmatizzando l’assoluta carenza di una risposta del giudice a una precisa eccezione sollevata dalla parte.
Né, sulla soluzione adottata dai giudici d’appello, la parte ricorrente ha devoluto a questa Corte errores in iudicando che ne inficino la tenuta logica, limitandosi a censurare in via esclusiva e dirimente il vizio di omessa pronuncia.
4.– Per le medesime ragioni, dev’essere dichiarata l’infondatezza anche del terzo motivo.
4.1.– Formulata come omessa pronuncia in ordine alle irregolarità formali del verbale unico emesso dall’INPS, la censura prescinde dalla circostanza che, delle irregolarità formali, la pronuncia impugnata abbia adeguatamente apprezzato l’incidenza.
I giudici d’appello hanno analizzato diffusamente i rilievi articolati dalla società (le già richiamate pagine 5, 6, 7 e 8 della sentenza impugnata), per approdare alla conclusione che le contestazioni siano generiche.
4.2.– Anche su tale profilo, dunque, nessuna violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. si può addebitare alla Corte d’appello.
A tacer d’altro, l’omessa pronuncia sarebbe comunque irrilevante, in quanto una valutazione favorevole in ordine alle irregolarità formali non potrebbe caducare la pretesa azionata dall’Istituto.
Come rimarcano l’ufficio della Procura Generale (pagina 3) e l’Istituto (pagina 5 del controricorso), in seguito all’opposizione proposta dal debitore s’instaura un giudizio sul merito della pretesa dedotta dall’Istituto e tale giudizio non può arrestarsi in limine al riscontro di vizi eminentemente formali, in quanto deve sindacare se il credito, dal punto di vista sostanziale, sia o meno fondato.
5.– Ne consegue che il ricorso dev’essere, nel suo complesso, respinto.
6.– Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza (art. 385, primo comma, cod. proc. civ.) e si liquidano nella misura indicata in dispositivo, alla stregua del valore della controversia e dell’attività processuale espletata.
7.– Il rigetto del ricorso, proposto successivamente al 30 gennaio 2013, impone di dare atto dei presupposti dell’obbligo della parte ricorrente di versare un ulteriore importo pari a quello previsto per l’impugnazione, ove dovuto (Cass., S.U., 20 febbraio 2020, n. 4315).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna la parte ricorrente a rifondere alla parte controricorrente le spese del presente giudizio, che liquida in Euro 8.000,00 per compensi, in Euro 200,00 per esborsi, oltre al rimborso delle spese generali nella misura del 15% e agli accessori di legge.
Dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dell’art. 13 del d.P.R. n. 115 del 2002, ove dovuto.
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