CORTE di CASSAZIONE – Sentenza n. 25595 del 1° settembre 2023

Tributi – Rimborso delle accise corrisposte sul consumo di gas naturale – Silenzio-rifiuto – Regime di esenzione dall’accisa per i prodotti energetici destinati alla produzione di energia – Compatibilità della disciplina interna con le regole comunitarie di politica ambientale – Direttiva del Consiglio CEE 27/10/2003, n. 96 – Termine di decadenza – Decorrenza – Rigetto 

Fatti di causa

Dalla sentenza impugnata si evince che a seguito del silenzio-rifiuto formatosi sull’istanza di rimborso delle accise corrisposte sul consumo di gas naturale presso la centrale termoelettrica di (…), per il periodo 1.01.2004/31.05.2007, la società instaurò nei confronti dell’Agenzia delle dogane giudizio dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di L’Aquila.

Con sentenza n. 56/02/2019 il giudice di primo grado rigettò il ricorso, ritenendo la domanda di rimborso tardiva per il periodo 1.01.2004/28.08.2006, e comunque infondata per il periodo 29.08.2006/31.05.2007.

Con sentenza n. 111/02/2020 la Commissione tributaria regionale dell’Abruzzo accolse parzialmente l’appello.

Nel motivare la pronuncia ha ritenuto che, a fronte della richiesta di rimborso, presentata il 29.08.2008, la società fosse decaduta dal diritto per decorso del termine biennale, come previsto dal d.lgs. 26 ottobre 1995, n. 504, art. 14 (cd. TUA), calcolato dal momento del pagamento dei singoli ratei d’acconto. Ha invece riconosciuto il diritto al rimborso per il periodo successivo, in forza della Direttiva del Consiglio CEE 27/10/2003, n. 96, regolante con l’art. 14 un regime di esenzione dall’accisa per i prodotti energetici destinati alla produzione di energia. Questo in ragione della immediata esecutività della direttiva, secondo l’interpretazione resa dalla giurisprudenza unionale, ed atteso il mancato adeguamento della legislazione nazionale sino all’introduzione del d.lgs. 2 febbraio 2007, n. 26, con cui lo Stato italiano ha finalmente recepito la suddetta direttiva.

L’Agenzia delle dogane ha censurato la sentenza con tre motivi, chiedendone la cassazione, cui ha resistito la società, a sua volta instando con ricorso incidentale avverso la medesima sentenza, per quanto soccombente, a sua volta contrastata dal controricorso dell’ufficio.

All’esito della pubblica udienza celebrata il 5 luglio 2023, sentita la procura generale, che ha chiesto il rigetto del ricorso, e i difensori delle parti, la causa è stata discussa e decisa.

La società ha ritualmente depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Con il primo motivo l’Agenzia delle dogane denuncia la violazione dell’art. 14 comma 2, del TUA e dell’art. 2963 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perché, in riferimento alla decadenza dal diritto al rimborso delle accise nel termine biennale, la Commissione regionale si è diffusa su un ulteriore momento perfezionativo, ossia la trasmissione della richiesta all’Agenzia delle entrate.

Con il secondo motivo la ricorrente si duole della violazione dell’art. 14, comma 2, del TUA, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perché la Commissione, pur rilevando la decadenza, ha inutilmente trattato del preesistente diritto e della irrilevanza della liquidità o esatta determinazione del debito fiscale.

A parte la scarsa perspicuità di entrambi i motivi, che possono essere comunque trattati congiuntamente, perché indirizzati alla statuizione con cui il giudice d’appello ha rigettato la domanda di rimborso delle accise, relativamente al periodo ultrabiennale dal versamento, si tratta di censure inammissibili per difetto d’interesse.

In tema di impugnazioni, l’interesse ad agire di cui all’art. 100 c.p.c. postula la soccombenza nel suo aspetto sostanziale, correlata al pregiudizio che la parte subisca a causa della decisione, da apprezzarsi in relazione all’utilità giuridica che può derivare al ricorrente dall’eventuale suo accoglimento (ex multis cfr. Cass. 12 aprile 2013, n. 8934; 29 maggio 2018, n. 13395; 29 dicembre 2022, n. 38054). Nel caso di specie l’Agenzia delle dogane era già vittoriosa quanto al biennio anteriore alla domanda di rimborso, calcolato dal versamento e non, come preteso dalla contribuente, dalla dichiarazione annuale. L’assenza di soccombenza, e comunque l’assenza di alcuna utilità giuridica conseguibile da una diversa statuizione, svuota di interesse la formulazione dei primi due motivi, che pertanto risultano, e vanno dichiarati, inammissibili.

Con il terzo motivo l’ufficio lamenta la violazione dell’art. 14, comma 1, lett. a) della Direttiva 2003/96/CE del Consiglio del 27 ottobre 2003, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, laddove, riconoscendo in capo alla società il diritto al rimborso, per i versamenti eseguiti nel biennio dalla domanda, non ha ritenuto legittima l’aliquota già tassazione dei prodotti energetici e dell’elettricità, là dove prevede l’esenzione dei prodotti energetici utilizzati per la produzione di elettricità dalla tassazione prevista da tale direttiva, ha effetto diretto nel senso che esso può essere fatto valere da un singolo dinanzi ai giudici nazionali – per quanto riguarda il periodo durante il quale lo Stato membro interessato aveva omesso di trasporre tale direttiva nell’ordinamento nazionale entro il termine impartito – nell’ambito di una controversia, come quella della causa principale, tra il detto singolo e le autorità doganali di tale Stato al fine di evitare l’applicazione di una normativa nazionale incompatibile con tale disposizione e, pertanto, di ottenere il rimborso di un’imposta contraria a quest’ultima” (CGUE, C-226/07).

La stessa Corte di Giustizia della Comunità Europea, in causa C-360/05, del 5 ottobre 2006, pronunciandosi sul mancato recepimento della direttiva 2003/96/CE, ha condannato l’Italia, affermando che “Non avendo adottato, entro il termine stabilito, le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla direttiva del Consiglio 27 ottobre 2003, 2003/96/CE, che ristruttura il quadro comunitario per la tassazione dei prodotti energetici e dell’elettricità, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi che ad essa incombono in forza di tale direttiva“.

Dalla breve ma chiara motivazione della sentenza è dato evincere che “L’art. 28, n. 1, della direttiva prevede che gli Stati membri adottino e pubblichino le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla presente direttiva entro il 31 dicembre 2003 e ne informino immediatamente la Commissione. Non essendo stata informata delle disposizioni adottate per assicurare il recepimento della direttiva nel diritto italiano entro il termine da questa stabilito, la Commissione ha avviato il procedimento per inadempimento di cui all’art. 226 CE. Dopo aver intimato alla Repubblica italiana di presentare le sue osservazioni, la Commissione, in data 14 dicembre 2004, ha emesso un parere motivato invitando tale Stato membro ad adottare le misure necessarie per conformarvisi entro un termine di due mesi a decorrere dalla notifica dello stesso. Poiché dalla risposta delle autorità italiane risultava che le disposizioni necessarie per il recepimento della direttiva non erano state adottate, la Commissione ha deciso di introdurre il presente ricorso. Nel controricorso la Repubblica italiana indica che la l. 18 aprile 2005, n. 62 del 2007. E’ solo con tale ultima disciplina che lo Stato italiano si è adeguato alla direttiva del Consiglio n. 2003/96/CE.

D’altronde la l. 448 del 1998, art. 8 comma 4, che, nella previsione di un sistema di aliquote progressive in forza di decreti ministeriali, avrebbe soddisfatto, secondo la prospettazione difensiva della Agenzia ricorrente, “i requisiti di protezione delle energie rinnovabili emersi dalla Conferenza di Kyoto cui la legge si ispirava” (cosi l’ultimo cpv. della dodicesima pagina del ricorso) è stato abolito dalla l. 30 dicembre 2004, n. 311. In ogni caso il meccanismo di adeguamento, previsto dal comma 5 del medesimo art. 8, era fissato come termine ultimo al 31 dicembre 2004.

Ne discende che deve escludersi che la disciplina interna, invocata dalla difesa erariale, potesse reputarsi compatibile con l’art. 14 della direttiva medesima.

E’ poi appena il caso di evidenziare che nel caso di cui si controverte la richiesta di rimborso abbracciava un lasso temporale compreso tra l’1.01.2004 e il 31.05.2007 e pertanto, a prescindere dalla inidoneità della suddetta normativa, essa non risultava neppure vigente per la gran parte degli anni di competenza delle accise, di cui la società aveva chiesto il rimborso.

L’irrilevanza della disciplina interna ai fini della valutazione di compatibilità con le regole comunitarie di politica ambientale è stata già affermata da questa Corte, che, sia pur con riguardo alle “biomasse liquide” ha chiarito come L’art. 14. n. 1, lett. a), della direttiva CE del Consiglio n. 2003/96, che ristruttura il quadro comunitario per la tassazione dei prodotti energetici e dell’elettricità, là dove dispone l’esenzione dei prodotti energetici utilizzati per la produzione di elettricità dalla tassazione prevista da tale direttiva, ha natura “self executing” e può, quindi, essere direttamente applicato una volta che sia inutilmente scaduto il termine prescritto per il recepimento (31 dicembre 2003), senza che possa, in contrario, valerela l’espressa previsione del potere degli Stati membri di “tassare questi prodotti per motivi di politica ambientale”, avendo la CGUE precisato che tale previsione non esclude il carattere incondizionato dell’obbligo di esenzione fiscale. Di conseguenza, per il periodo in cui la direttiva non sia stata recepita, le biomasse liquide (oli vegetali), utilizzate per alimentare un impianto industriale, sono esenti da tassazione, e non sono prodotti soggetti ad accisa, come invece previsto dal d.lgs. 26 ottobre 1995, n. 504, art. 21 comma 5, che va disapplicato per contrarietà alla norma comunitaria (Cass. 13 febbraio 2009, n. 3553).

Da ultimo la giurisprudenza di legittimità ne ha riconosciuto l’esenzione proprio in tema di gas naturale (cfr Cass. 8 luglio 2021, n. 19398; 28 febbraio 2019, n. 5956).

Si tratta di un principio correttamente calzante in tema di accise per consumo di gas naturale utilizzato per la produzione di energia elettrica, trovando applicazione i medesimi criteri interpretativi ed i medesimi principi regolatori del rapporto tra disciplina unionale e quella interna.

Può pertanto affermarsi il principio di diritto, secondo cui «in tema di accise per consumo di gas naturale, utilizzato per la produzione di energia elettrica, la l. 23 dicembre 1998, n. 448, art. 8 comma 5, ed i suoi DPCM applicativi, nonché tutta la disciplina interna vigente in epoca anteriore all’entrata in vigore del d.lgs. n. 26 del 2007, con cui è stata tardivamente recepita dallo Stato italiano la Direttiva 2003/96/CE del Consiglio 27 ottobre 2003 riconosciuta comunque come “auto-esecutiva” e regolante il regime di esenzione dalle accise sul gas naturale-, si pone in contrasto con la direttiva medesima, e va disapplicata».

Il giudice regionale, nel riconoscere il diritto al rimborso, come richiesto dalla società, per il periodo 29 agosto 2006/31 maggio 2007, ha fatto corretta applicazione del principio, sicché il terzo motivo va rigettato perché infondato.

Con ricorso incidentale la società ha censurato la decisione con un unico motivo, denunciando la violazione e falsa applicazione dell’art. 14, comma 2, del d.lgs. n. 504 del 1995, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., perché erroneamente il giudice d’appello, confermando la statuizione di primo grado, ha ritenuto tardiva la richiesta di rimborso delle accise versate nel periodo antecedente al 29 agosto 2006, ossia a partire dall’1 gennaio 2004, avendo calcolato dal momento del pagamento dei singoli ratei d’acconto il termine biennale di decadenza del diritto alla richiesta di rimborso, previsto dall’art. 14, comma 2, del TUA.

Al contrario, nella lunga difesa articolata nel ricorso incidentale, e poi nella memoria illustrativa, la contribuente assume che il termine biennale doveva decorrere a partire dal deposito della sentenza emessa dalla Corte di giustizia, relativa alla causa C 226/07 cit., oppure a partire dalla dichiarazione annuale, cioè dal momento in cui risultava definitivamente liquidato il debito fiscale.

Il motivo è infondato.

Quanto alla prima ipotesi, essa non ha pregio. Quanto alla seconda prospettazione della difesa, questa Corte, intervenendo anche di recente sul tema, e nel solco di un indirizzo interpretativo ormai consolidato, ha affermato che il rimborso delle accise sul gas naturale, cui è applicabile ab origine il regime di esenzione, in ragione dell’efficacia diretta della direttiva n. 2003/96/CE, è soggetto al termine biennale di decadenza previsto dall’art. 14, comma 2, del d.lgs. n. 504 del 1995, decorrente dalla data dei singoli versamenti mensili, indebitamente effettuati (da ultimo Cass. 16 febbraio 2023, n. 4891; inoltre 19 dicembre 2019, n. 34089; 8 luglio 2021, n. 19398 cit.)

La ragione, assorbente, è che nel caso di specie si tratta di un indebito oggettivo ab origine, dovendosi distinguere tra il pagamento indebito in senso proprio, in quanto non dovuto, e pertanto inidoneo a rappresentare una posta destinata a confluire nel saldo creditorio, e il pagamento, eventualmente superiore al dovuto, così come emergente dalla dichiarazione annuale.

In questa seconda ipotesi il versamento è sempre legittimo -e dovuto-, trattandosi del sistema di pagamento, in via frazionata e anticipata, rispetto alla maturazione dell’imposta, che solo al momento della dichiarazione finale consente di evidenziare l’esecuzione di versamenti pari o superiori all’obbligazione fiscale. E’ solo con riguardo a questa secondo ipotesi che il termine biennale decorre dalla dichiarazione e non dal versamento effettivo.

Il motivo del ricorso incidentale va dunque rigettato.

La reciproca soccombenza giustifica la compensazione delle spese del giudizio.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso principale, rigetta quello incidentale. In riferimento al rigetto del ricorso proposto dalla contribuente, ai sensi del d.p.r. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente incidentale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, nella misura pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis del medesimo articolo 13, se dovuto.