Corte di Cassazione, ordinanza n. 20088 depositata il 13 luglio 2023
tutela del legittimo affidamento – la circolare non vincola
Rilevato che:
1. Con sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Toscana veniva respinto l’appello proposto dalla società COMPAGNIA V.A.T. (COVAT) S.R.L., quale incorporante I. S.C.R.L., contro la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Firenze n.1001/1/15 ed avente ad oggetto l’avviso di pagamento per un importo di Euro 1.090.764,52, a titolo di accise energia elettrica n.2014/A/18413 relative agli anni di imposta 2009-2014, emesso nei suoi confronti dall’AGENZIA DELLE DOGANE E DEI MONOPOLI.
2. L’atto impugnato era relativo ad energia elettrica prodotta e ceduta alle società consorziate in esenzione da accise ex 52 comma 3 lett. b) d.lgs. n.504/95, con successivo recupero di queste ultime da parte dell’Agenzia in quanto la contribuente si era erroneamente qualificata come “autoproduttore”. La ricorrente riteneva inesigibile il tributo, invocava la tutela del proprio legittimo affidamento, essendo stato già applicato l’art.10 della n.212/2000 con riferimento alle sanzioni e agli interessi. Nondimeno, tanto il giudice di prime cure quanto quello di appello ritenevano dovuto il tributo.
3. In particolare, la CTR riteneva dirimente per escludere la qualifica di “autoproduttore” in capo alla ricorrente la circostanza di essere stata l’energia elettrica consumata dai soci consorziati, terzi rispetto al produttore. Inoltre, gli effetti del legittimo affidamento dovevano essere limitati all’esclusione degli accessori e non ricorrevano nella fattispecie i presupposti dell’art.52 TUA per fruire dell’agevolazione quale “autoproduttore”, oltre a non sussistere un danno per il mancato addebito dell’imposta da parte della contribuente ai suoi acquirenti ex art.14 comma 2 del d.lgs. 26 ottobre 1995, n. 504 (Testo unico accise – TUA). Né a diverse conclusioni si giungeva in applicazione del d.lgs. 16 marzo 1999, n. 79 (c.d. decreto Bersani) non potendo essere accolta la qualifica di autoproduttore di cui all’art. 2, comma 2, del decreto, in quanto per giurisprudenza consolidata estranea alla materia fiscale.
4. Avverso la sentenza della CTR propone ricorso la contribuente affidato a cinque motivi, cui l’Agenzia replica con controricorso.
Considerato che:
5. Preliminarmente alla disamina delle singole censure, come già condivisibilmente operato dalla sentenza n.26145/2019 resa, tra l’altro, inter partes, va operata una rapida ricognizione della normativa applicabile ratione temporis alla fattispecie, anche a seguito delle modifiche al lgs. 26 ottobre 1995, n. 504 conseguenti alla attuazione, con d.lgs. 2 febbraio 2007, n. 26 e a far data dal 01/06/2007, della direttiva n. 2003/96/CE del 27 ottobre 2003, che ha ristrutturato il quadro comunitario per la tassazione dei prodotti energetici e dell’elettricità. I testi normativi che si vanno ad esaminare non hanno subito modifiche rilevanti in questa sede ad opera del d.l. 2 marzo 2012, n. 16, conv. con modif, nella l. 26 aprile 2012, n. 44.
6. Ai sensi dell’art. 52, comma 1, TUA «l’energia elettrica (codice NC 2716) è sottoposta ad accisa, con l’applicazione delle aliquote di cui all’allegato I, al momento della fornitura ai consumatori finali ovvero al momento del consumo per l’energia elettrica prodotta per uso proprio».
Obbligati al pagamento dell’accisa sono, tra gli altri, anche «gli esercenti le officine di produzione di energia elettrica utilizzata per uso proprio» (art. 53, comma 1, lett. b), TUA), purché non esclusi dal pagamento dell’imposta ai sensi dell’art. 52, comma 2, TUA. E, per quanto interessa in questa sede, non è sottoposta ad accisa solo l’energia elettrica «prodotta con impianti azionati da fonti rinnovabili ai sensi della normativa vigente in materia, con potenza non superiore a 20 kW» (art. 52, comma 2, lett. a), TUA).
7. L’officina di produzione è «costituita dal complesso degli apparati di produzione, accumulazione, trasformazione e distribuzione dell’energia elettrica esercitati da una medesima ditta, anche quando gli apparati di accumulazione, trasformazione e distribuzione sono collocati in luoghi distinti da quelli in cui si trovano gli apparati di produzione, pur se ubicati in comuni diversi» (art. 54, comma 1, TUA).
I soggetti obbligati al pagamento delle accise e, in particolare, gli esercenti officine di produzione di energia elettrica utilizzata per uso proprio, «hanno l’obbligo di denunciare preventivamente la propria attività all’Ufficio dell’Agenzia delle dogane competente per territorio e di dichiarare ogni variazione (…)» (art, 53, comma 4, TUA). A seguito della denuncia, l’Ufficio competente, verificata la sussistenza di tutte le condizioni previste dalla legge ed effettuati i necessari controlli, rilascia alle officine di produzione di energia elettrica una licenza di esercizio (art. 53, comma 7, TUA) e queste ultime sono tenute a presentare, entro il mese di marzo dell’anno successivo a quello cui la dichiarazione si riferisce, «una dichiarazione di consumo annuale, contenente, ( …) tutti gli elementi necessari per l’accertamento del debito d’imposta relativo ad ogni mese solare, nonché l’energia elettrica prodotta, prelevata o immessa nella rete di trasmissione o distribuzione» (art. 53, commi 8 e 9, TUA).
8. Ai sensi dell’art. 55, comma 1, TUA, l’accertamento e la liquidazione dell’accisa sono effettuati proprio sulla base della menzionata dichiarazione di consumo annuale, mentre «il termine di prescrizione per il recupero dell’imposta è di cinque anni dalla data in cui è avvenuto il consumo», salva la sussistenza di fatti illeciti (art. 57, comma 2, TUA). Infine, ai sensi dell’art. 52, comma 3, b), TUA è esentata da accise l’energia elettrica «prodotta con impianti azionati da fonti rinnovabili ai sensi della normativa vigente in materia, con potenza disponibile superiore a 20 kW, consumata dalle imprese di autoproduzione in locali e luoghi diversi dalle abitazioni».
8.1 La formulazione della disposizione riprende, sostanzialmente, il testo dell’art. 10, comma 6, della l, 13 maggio 1999, 133, che, con riferimento alle addizionali erariali, così recita: «Al fine di agevolare il raggiungimento degli obiettivi di cui al Protocollo sui cambiamenti climatici, adottato a Kyoto il 10 dicembre 1997, l’energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili, consumata dalle imprese di autoproduzione e per qualsiasi uso in locali e luoghi diversi dalle abitazioni è esclusa dall’applicazione delle addizionali erariali ( )». Le menzionate addizionali erariali sono state poi abrogate dall’art. 28, comma 1, della l. 23 dicembre 2000, n, 388 che, peraltro, estende all’imposta erariale di consumo di cui all’art. 52 TUA «tutte le agevolazioni previste, fino alla data di entrata in vigore della presente legge, per l’addizionale erariale sull’energia elettrica» (art. 28, comma 3, della l. n. 388 del 2000), con disposizione poi assorbita dalla nuova formulazione dell’art. 52 TUA, conseguente alla novella di cui al d.lgs. n. 26 del 2007.
8.2 Dev’essere, infine, ricordato che, l’art. 2, comma 2, del lgs. n. 79 del 1999, attuativo della direttiva n. 96/92/CE del 19 dicembre 1996, concernente norme comuni per il mercato interno dell’energia elettrica, stabilisce che, agli effetti del menzionato decreto, «autoproduttore è la persona fisica o giuridica che produce energia elettrica e la utilizza in misura non inferiore al 70% annuo per uso proprio ovvero per uso delle società controllate, della società controllante e delle società controllate dalla medesima controllante, nonché per uso dei soci delle società cooperative di produzione e distribuzione dell’energia elettrica di cui all’articolo 4, numero 8, della legge 6 dicembre 1962, n. 1643, degli appartenenti ai consorzi o società consortili costituiti per la produzione di energia elettrica da fonti energetiche rinnovabili e per gli usi di fornitura autorizzati nei siti industriali anteriormente alla data di entrata in vigore del presente decreto».
9. Dalla lettura coordinata delle superiori disposizioni si evince che tutte le officine di produzione di energia elettrica per uso proprio sono soggetti obbligati al pagamento delle accise e devono denunciare preventivamente la propria attività, ottenere il rilascio di una licenza di esercizio e depositare annualmente una dichiarazione di consumo. Sono, dunque, soggetti obbligati al pagamento delle accise anche gli autoproduttori indicati dall’art. 2, comma 2, del d.lgs. n. 79 del 1999 e, specificamente, quei soggetti che producono energia elettrica e la utilizzano in misura non inferiore al settanta per cento annuo per uso proprio ovvero per uso degli appartenenti ai consorzi o alle società consortili costituiti per la produzione di energia elettrica da fonti energetiche rinnovabili.
Vengono al contrario esentati dal pagamento delle accise unicamente le officine di produzione che producono energia elettrica per uso proprio a condizione che: a) la produzione avvenga con impianti azionati da fonti rinnovabili; b) detti impianti abbiano una potenza disponibile superiore a 20 kw; c) l’energia autoprodotta venga anche autoconsumata per usi differenti da quello abitativo.
10. Tanto premesso, con il primo motivo la ricorrente – ai fini dell’art.360 primo comma 3 cod. proc. civ. -, prospetta la violazione ed errata applicazione deqli artt. 52 del d.lgs. 504/1995, 2 comma 2 d.lgs. n.79/1999 e 2602 e ss. cod. civ. per aver la CTR negato alla contribuente la qualifica di “autoproduttore”, ritenendo dirimente la circostanza di essere stata l’energia elettrica consumata dai soci consorziati, i quali sarebbero terzi rispetto al produttore, senza debitamente considerare la natura consortile del legame tra produttore e consumatori dell’energia elettrica né la rilevanza che a tale legame attribuisce l’art.2 comma 2 del c.d. decreto “Bersani”.
11. Il motivo è infondato. Il Collegio condivide le conclusioni cui è giunta la CTR, richiamando la consolidata giurisprudenza di legittimità secondo cui la definizione di autoproduttore contenuta nel decreto Bersani non è mutuabile a fini fiscali, laddove l’art. 52, comma 3, b), TUA prevede la esenzione dalle accise unicamente per l’autoproduttore che consumi autonomamente l’energia elettrica prodotta e, dunque, non può essere applicata ai consorzi di produzione, che cedono l’energia prodotta a beneficio delle imprese consorziate.
11.1 Infatti, la nozione di autoproduzione di cui al lgs. n. 79 del 1999 non è idonea ad individuare i soggetti esentati dal pagamento delle accise ai sensi dell’art. 52, comma 3, lett. b), TUA, i quali non rientrano nella menzionata definizione. Come già chiarito da Cass. n.26145/2019 per ragioni integralmente condivise dal Collegio, l’art. 2, comma 1, del d.lgs. n. 79 del 1999 afferma che le definizioni di cui ai successivi commi valgono ai soli fini del decreto e, pertanto, la definizione di autoproduzione di cui al comma 2 trova un primo limite applicativo testuale.
11.2 Inoltre, le finalità del decreto Bersani, in linea con la direttiva n. 96/92/CE, sono quelle di perseguire un mercato concorrenziale dell’energia elettrica mentre il Testo unico accise, come modificato dal d.lgs. n. 26 del 2007, in attuazione della direttiva n. 2003/96/CE, ha come obiettivo l’armonizzazione della tassazione degli Stati membri della UE in materia di accise sui prodotti energetici: in questo contesto, la definizione di autoproduzione di cui al decreto Bersani deve fare i conti con la qualifica di soggetti obbligati al pagamento delle accise che hanno le officine di produzione di energia elettrica per uso proprio ai sensi del TUA.
11.3 Ancora, l’esenzione prevista dall’art. 52, comma 3, lett. b), TUA con riferimento all’energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili è limitata all’utilizzazione che fa dell’energia medesima il soggetto autoproduttore ed è di stretta interpretazione: deve, pertanto, riconoscersi l’esenzione unicamente alla società consortile che produce l’energia, nei limiti del consumo dalla stessa praticato, e non già per l’ipotesi in cui la società consortile ceda l’energia elettrica a distinti soggetti giuridici quali sono i consorziati (nello stesso senso, sebbene con riferimento alle addizionali locali sull’energia elettrica, Cass. n. 8293 del 09/04/2014; Cass. n. 23529 del 12/09/2008), pena facili ed intuibili elusioni della disposizione agevolativa.
11.4 La sentenza n.26145/2019 spende un ulteriore condivisibile ar- gomento a contrario, ricordando che l’art. 1, comma 911, della l. del 28/12/2015 208, applicabile solo con riferimento all’anno di imposta 2016 (e, pertanto, non alla presente controversia), ha previsto che «l’articolo 52, comma 3, lettera b), del decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504, si applica anche all’energia elettrica prodotta con impianti azionati da fonti rinnovabili ai sensi della normativa vigente in materia, con potenza disponibile superiore a 20 kW, consumata dai soci delle società cooperative di produzione e distribuzione dell’energia elettrica di cui all’articolo 4, numero 8), della legge 6 dicembre 1962, n. 1643, in locali e luoghi diversi dalle abitazioni».
La menzionata disposizione richiama pedissequamente solo la prima parte dell’art. 2, comma 2, del decreto Bersani, includendo, pertanto, nell’esenzione i soci delle società cooperative di produzione e distribuzione dell’energia elettrica, ma non estendendo l’esenzione agli appartenenti ai consorzi o società consortili costituiti per la produzione di energia elettrica da fonti energetiche rinnovabili.
Tale innovazione offre un ulteriore spunto argomentativo a contrario: l’estensione dell’esenzione alle sole società cooperative di cui all’art. 2, comma 2, del dal. n. 79 del 1999 implica che i consorzi e le società consortili, già esclusi, rimangono fuori dal campo applicativo della norma anche per gli anni d’imposta successivi al 2016.
12. Va, dunque, data continuità anche nella presente fattispecie al prin- cipio di diritto ricavabile dalla sentenza da ultimo citata, secondo cui:
«In tema di accise sull’energia elettrica, la società consortile che autoproduce energia elettrica da fonte rinnovabile, con im- pianti dalla potenza disponibile superiore a 20 kW, beneficia dell’esenzione prevista dall’art. 52, comma 3, lett. b), del d.lgs. n.504 del 1995 (nella sua formulazione applicabile ratione temporis, successiva alle modifiche introdotte con il d.lgs. n. 26 del 2007) limitatamente all’energia prodotta e consumata in proprio e non anche a quella prodotta e ceduta ai singoli consorziati.».
Per l’effetto, dal momento che nella fattispecie, non è in contestazione che si chieda l’esenzione con riferimento alla sola energia prodotta e ceduta dalla contribuente in favore dei consorziati (e non anche con riferimento all’energia autoprodotta ed autoconsumata), il motivo proposto va rigettato.
13. Con il secondo e terzo motivo la società – in relazione all’art.360 primo comma n.3 cod. proc. civ. -, deduce la violazione ed errata applicazione degli artt. 10 commi 1 e 11 della l. 212/2000, nonché dei principi di rilevanza costituzionale e di derivazione europea di certezza del diritto, buona fede, affidamento legittimo e proporzionalità, con conseguente inesigibilità delle accise, per aver l’Amministrazione mutato il proprio orientamento precedentemente espresso, avendo già riconosciuto in passato alla ricorrente la qualifica di “autoproduttore” e il relativo regime di esenzione, ingenerando un legittimo affidamento tutelabile e violando la buona fede della contribuente.
14. I motivi, connessi, sono infondati. Secondo la consolidata giuri- sprudenza di questa Corte, cui si intende dare continuità la tutela dell’affidamento è utilmente invocabile solo quanto all’esclusione delle sanzioni, non anche del tributo, si veda ad esempio Cass. n. 370 del 09/01/2019: «la tutela dell’affidamento incolpevole del contribuente, sancita dall’art. 10, commi 1 e 2, della l. n. 212 del 2000, costituisce espressione di un principio generale dell’ordinamento tributario, che trova origine nei principi affermati dagli artt. 3, 23, 53 e 97 Cost. ed, in materia di tributi armonizzati, in quelli dell’ordinamento dell’Unione europea, sicché deve ritenersi che la situazione di incertezza interpretativa, ingenerata da risoluzioni dell’Amministrazione finanziaria, anche se non influisce sulla debenza dell’imposta, deve essere valutata ai fini dell’esclusione dell’applicazione delle sanzioni» Nello stesso senso, si vedano anche n.26145 del 16/102019; Cass. n. 10499 del 03/05/2018; Cass. n. 12635 del 08/02/2017; Cass. n. 5934 del 25/03/2015; Cass. n. 16692 del 03/07/2013; Cass. n. 21070 del 13/10/2011; Cass. n. 19479 del 10/09/2009).
E stato parimenti anche precisato che «le circolari ministeriali in materia tributaria non costituiscono fonte di diritti ed obblighi, sicché, ove il contribuente si sia conformato ad un’interpretazione erronea fornita dall’Amministrazione finanziaria, è esclusa soltanto l’irrogazione delle relative sanzioni e degli interessi, senza alcun esonero dall’adempimento dell’obbligazione tributaria, in base al principio di tutela dell’affidamento, espressamente sancito dall’art. 10, comma 2, della l. n. 212 del 2000» (Cass. n. 12635 del 19/05/2017; Cass. n. 10195 del 18/05/2016; Cass. n. 3757 del 09/03/2012; Cass. n. 2133 del 14/02/2002).
14.1 E’ del resto un principio sancito dalle Sezioni Unite (n. 23031 del 02/11/2007), quello secondo il quale «la circolare non vincola addirittura la stessa autorità che l’ha emanata, la quale resta libera di modificare, correggere e anche completamente disattendere l’interpretazione adottata. Ciò è tanto vero che si è posto il problema della eventuale tutela del contribuente di fronte al mutamento di indirizzo (interpretativo) adottato dall’amministrazione e si è escluso che tale tutela sia possibile anche sotto il profilo dell’affidamento, stante la evidente collisione che si determinerebbe con il principio – coniugato secondo un diverso lessico, ma riferito ad un unico concetto – di inderogabilità delle norme tributarie, di indisponibilità dell’obbligazione tributaria, di vincolatezza della funzione di imposizione, di irrinunciabilità del diritto di imposta. Non si può, a riguardo, non concordare con quella dottrina secondo la quale ammettere che l’amministrazione, quando esprime opinioni interpretative (ancorché prive di fondamento nella legge), crea vincoli per sé e i Giudici tributari, equivale a riconoscere all’amministrazione stessa un potere normativo che, a tacer d’altro, è in palese conflitto con il principio costituzionale della riserva relativa di legge codificato dall’art. 23 . Tutt’al più, come è stato pure affermato, potrebbe ammettersi che il mutamento da parte dell’amministrazione di un precedente indirizzo (interpretativo) sul quale il contribuente possa aver fatto affidamento, eventualmente rilevi (o possa esse valutato) ai fini della applicazione delle sanzioni e della richiesta degli interessi sulle somme dovute a titolo di imposta».
Se tali principi valgono per le circolari, a maggio ragione essi valgono per risposte a fattispecie non specificamente identificabili con il caso concreto controverso, dal momento che situazioni in cui la tutela del legittimo affidamento viene ad incidere sulla stessa debenza del tributo, sono caratterizzate da circostanze concrete di natura eccezionale, dovendo escludersi che rientrino in tali ipotesi quelle in cui l’induzione in errore sia da ascriversi ad informazioni fornite dalla Amministrazione doganale con atti interpretativi di carattere generale o con erronee prassi applicative: dette ipotesi sono già espressamente contemplate dall’art. 10, comma 2, della l. n. 212 del 2000 e sono, dunque, inidonee ad esonerare il contribuente dalla obbligazione tributaria (cfr. Cass. n. 25299 del 2013).
15. Con riferimento al caso di specie, la società contribuente alle pagg.20 e 21 del ricorso afferma che in svariati atti dell’Amministrazione finanziaria le è stata e riconosciuta la qualità di autoproduttore di energia elettrica da fonti rinnovabili escluso dall’obbligo di pagamento delle accise, così ingenerando il legittimo affidamento della stessa nella menzionata Si tratta sia di valutazioni che l’Amministrazione doganale ha assunto in conseguenza, sia in sede di accertamento ispettivo, sia di atti che già rientrano a pieno regime nella formulazione dell’art. 10, comma 2, l.n. 212 del 2000, sia di provvedimenti non specifici circa la questione di cui si discute in quanto si limitano a riconoscere la qualifica di autoproduttore esentato dal pagamento dell’imposta erariale sul consumo senza specificare se, ai fini dell’esenzione, l’energia autoprodotta deve essere autoconsumata ovvero può anche essere ceduta ai soci consorziati.
Le conclusioni della CTR sono, dunque, conformi a diritto, spettando alla società contribuente, in ragione del legittimo affidamento specificamente tutelato dall’art. 10, comma 2, della l. n. 212 del 2000, unicamente l’esenzione dalle sanzioni e dagli interessi, ma non anche dal tributo.
16. La norma così interpretata non è incostituzionale, come pure paventato a pag. 39 del ricorso perché al principio, di rilievo costituzionale, del legittimo affidamento fa, comunque, da contraltare il principio, di rilevanza costituzionale, della riserva di legge, nonché gli ulteriori principi di inderogabilità delle norme tributarie, di indisponibilità dell’obbligazione tributaria, di vincolatezza della funzione di imposizione e di irrinunciabilità del diritto di imposta, già menzionati dalle Sezioni Unite di questa Corte.
17. Non è neppure accoglibile la richiesta di rinvio pregiudiziale, pure formulata a 39 del ricorso, tenuto conto che, come evidenziato dalla stessa parte ricorrente, la Corte di giustizia ha già ampiamente chiarito che, se è vero che il diritto ad avvalersi del principio della tutela del legittimo affidamento si estende a ogni individuo in capo al quale un’autorità amministrativa abbia fatto sorgere fondate speranze a causa di assicurazioni precise che essa gli avrebbe fornito (ex multis, cfr. CGUE 14 giugno 2017, in causa C-26/16, punto 76; CGUE 9 luglio
2015, in causa C-183/14, punto 44; CGUE 5 marzo 2015, in causa C-585/13, punto 95). Tuttavia, il legittimo affidamento non può basarsi su una prassi illegittima dell’amministrazione (v. CGUE 11 aprile 2018, in causa C-532/16, punto 50; CGUE 6 febbraio 1986, in causa C-162/84, punto 6).
Rientra, pertanto, nella specifica competenza del giudice nazionale stabilire se, avuto conto della specificità del caso concreto, sussistano i presupposti per il riconoscimento della inapplicabilità del tributo ovvero, più semplicemente, delle sanzioni e degli interessi, attività compiuta dalla CTR in termini pienamente coerenti con la giurisprudenza di legittimità, a sua volta rispettosa dei principi evincibili dall’insegnamento della Corte di giustizia della UE.
18. Quanto alla applicazione dell’art. 11 della n. 212 del 2000 oggetto del terzo motivo, deve osservarsi, in termini generali, che l’art. 10, comma 2, della l. n. 212 del 2000, nel tutelare l’affidamento del contribuente che si sia conformato a indicazioni contenute in atti dell’Amministrazione finanziaria, «limita gli effetti di tale tutela alla sola esclusione delle sanzioni e degli interessi, senza incidere in alcun modo sull’obbligazione tributaria». Diversamente opera l’art. 11 della medesima legge, il quale, nel disciplinare il caso in cui il contribuente si sia adeguato ad un esplicito responso dell’Amministrazione finanziaria, motivatamente espresso in esito alla particolare procedura dell’interpello, prevede la nullità degli atti impositivi che siano in contrasto con l’esito dell’interpello (Cass. n. 19479 del 10/09/2009).
Non è irragionevole, sotto il profilo costituzionale ed unionale, la diversità di disciplina degli effetti prevista dall’art. 10 della l. n. 212 del 2000 e dall’art. 11 della legge medesima. Infatti, l’ipotesi prevista da quest’ultima disposizione, che comporta la gravi conseguenza della nullità dell’atto impositivo, riguarda una situazione in cui l’Amministrazione finanziaria ha dato una risposta specifica ad un formale quesito del contribuente, ingenerando nello stesso il ragionevole convincimento della correttezza della soluzione fornita, laddove negli altri casi si tratta di indicazioni di carattere generale o particolare formulate in via di prassi generale o applicativa, senza che la specifica problematica sia stata formalmente posta dal contribuente alla puntuale valutazione dell’Ufficio.
19. Tanto premesso sulla distinzione tra le due disposizioni, va evidenziato che nessuno dei provvedimenti assunti dalla Amministrazione doganale, che hanno riconosciuto alla società incorporata nella contribuente la qualifica di soggetto esente da accisa, sono stati resi all’esito di una regolare procedura di interpello per come disciplinata dall’art. 11 della l. n. 212 del 2000. La stessa ricorrente ricorda che l’unico provvedimento emesso a seguito di regolare procedura di interpello è il provvedimento del 21/06/2005, con il quale l’interpello stesso è stato ritenuto inammissibile dall’Amministrazione doganale, sicché ogni valutazione compiuta nella risposta comunque fornita (peraltro, riguardante l’addizionale provinciale sul consumo di energia elettrica e non specificamente le accise) non può in alcun modo vincolare i successivi atti posti in essere dall’Amministrazione medesima, senza contare che, come sopra visto, con l’entrata in vigore del d.lgs. n. 26 del 2007 vi è stata un’integrale rivisitazione della materia.
20. Con il quarto motivo di ricorso – ai fini dell’art.360 primo comma n.4 cod. proc. civ. -, si prospetta anche la nullità della sentenza per vizio di ultrapetizione, in violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., censura articolata sul presupposto che sussista nel caso di specie un legittimo affidamento tutelabile con riferimento alla debenza del tributo, mentre nella sentenza impugnata sono contenute statuizioni relative ad una pretesa insussistenza della protezione di tale affidamento, a dire della contribuente situazione pacifica.
Il quinto motivo censura il medesimo capo della sentenza già oggetto del quarto motivo sotto l’angolo della pretesa estraneità al thema decidendum, – sempre agli effetti dell’art.360 primo comma n.4 cod. proc. civ. -, invocando la nullità della sentenza impugnata anche per omessa motivazione, in violazione degli artt.36 comma 2 n.4 del d.lgs. n.546/1992, 132 comma 2 n.4 e 118 cod. proc. civ. nonché 111 comma 6 Cost. per apparenza della motivazione.
21. I motivi sono connessi e non possono trovare ingresso. Il quarto motivo è inammissibile per carenza di interesse in quanto, come sopra visto, l’invocabilità dell’affidamento tutelabile è, assieme ai presupposti per la sussunzione della fattispecie concreta nella nozione di “autoproduttore” e l’energia autoprodotta debba essere autoconsumata ovvero possa anche essere ceduta ai soci consorziati, il merito della controversia e correttamente il giudice di appello ha, tra l’altro, escluso la sussistenza di affidamento tutelabile con riferimento alla debenza delle
22. La quinta censura è poi destituita di fondamento. Si deve ribadire che «La motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da “error in procedendo”, quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture» (Sez. U, Sentenza n. 22232 del 03/11/2016, Rv. 641526 – 01) e che «La riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione» (Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830).
Nel caso di specie, come ampiamente visto in dipendenza del primo motivo, la motivazione della CTR in relazione all’assenza di un affidamento tutelabile in relazione al tributo, ossia alle accise, è non solo esistente, ma anche in linea con la giurisprudenza di legittimità, puntualmente richiamata nell’ultima pagina della sentenza impugnata, a sua volta rispettosa della giurisprudenza della Corte di giustizia, ed è pertanto rispettosa del minimo costituzionale.
23. Il ricorso va conseguentemente rigettato e, in ragione del recente consolidamento della giurisprudenza in materia, sussistono i presupposti per la compensazione integrale delle spese di lite.
P.Q.M.
La Corte: rigetta il ricorso e compensa le spese di lite.
Si dà atto che, ai sensi del d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1- quater, sussistono i presupposti per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis, se dovuto.